Sfila il Leoncavallo Milano assediata

«Braccio di ferro» tra autorità e diecimila giovani durante la manifestazione «Braccio di ferro» tra autorità e diecimila giovani durante la manifestazione Sfila il Leoncavallo, Milano assediata Sfiorato lo scontro con polizia e carabinieri MILANO. Di colpo, la tensione. Duecento carabinieri che si schierano su corso Venezia, caschi, fucili rovesciati. La polizia che muove una dozzina di blindati e la truppa che scende, si tiene stretta sull'angolo di via Senato. Le auto civetta sgommano via. Sono le 19. La testa del corteo è circondata. Ha superato di trecento metri il punto in cui doveva svoltare, si è lasciato sulla destra il buio di via Palestra, i ragazzi hanno tirato su i fazzoletti, almeno qui, nelle prime file, indietro chissà, si sente appena il ritmo degli slogan che viaggia all'indietro, si propaga come eco tra i cento striscioni e i 10 mila ragazzi, chiamati in piazza dai nuovi soldati dell'antagonismo sociale, gli antieroi della Milano leghista, i nemici del nemico Formentini, gli irriducibili del Leoncavallo. «Se fate ancora un passo vi carichiamo - dice quello della Digos che avanza circondato dai suoi, portandosi dietro il suono impazzito delle ricetrasmittenti -. Non potete, non potete proprio. Mi obbligate...». I blindati tengono i diesel sotto pressione. Partono i motociclisti. I carabinieri fanno muro. «Noi non vogliamo fare guai» dice uno dei leader del corteo. E un altro: «Però ne abbiamo abbastanza dei cortei in gabbia». E un altro: «Siamo 10 mila, vogliamo andare avanti». Dietro sale l'urlo scandito: «Cor-te-o! Corte-o!», ma il serpentone non si muove, spinge come fa un muscolo contratto e le prime file si trasformano in folla, ci sono fotografi, bambini, mamme, ragazzi in allerta, cordoni pronti. Dice quello della Digos: «Aspettate. Sento il questore. Datemi tre minuti». «Gli dica che vogliamo arrivare in piazza Fontana, perché è lì che è cominciato tutto...». «Datemi tre minuti, parlo con il questore» e il funzionario si allontana attaccato alla sua trasmittente. Tre minuti. Comincia a piovere. Il corteo è in giro da quasi due ore, circondato da una città bloccata, piena di autombili e di luci cristallo intrappolate in questo sabato pomeriggio che il Leoncavallo ha deciso di usare come piccolo assaggio della sua forza di piazza. Ha chiamato a raccolta i centri sociali di mezza Italia, e da mezza Italia hanno risposto. Con rabbia: «Il Leoncavallo non si tocca/lo difenderemo con la lotta». Li vedi intruppati nella lunga coda, arrivati da Cosenza e Verona, da Bologna e Nardo, da Padova, Torino, Jesi. Arrivati in treno o in macchina, alla spicciolata, ma tutti simili, con giubbe e kefiah, orecchini, anfibi, facce tese. Tutti qui a gridare: «Lega lombarda/Lega bastarda» o anche: «Bossi, Formentini è scritto nella storia/ resisteremo sino alla vittoria». E i romani che subito si fanno sentire: «Bossi babbeo/ beccati 'sto corteo» e «Formentini scemo/ guarda quanti semo». Tanti che neanche quelli del Leonka si aspettavano, anche se adesso ti dicono: «Il movimento sta crescendo, ve ne accorgerete. Non ci piegheremo a chi ce l'ha più duro». Via Leoncavallo, piazzale Loreto, corso Buenos Aires. C'è la musica della 99 Posse a tutto volume, e poi le percussioni della Sud Sound System, quattro altoparlanti in cima a un camioncino rosso, mentre il corteo salta e batte le mani e scandisce: «Se non cambierà/ Intifada pure qua». Il colpo d'occhio, a metà pomeriggio, è impressionante, an¬ che incongruo. Carabinieri dappertutto e in prima fila le mamme del Leoncavallo, con lo striscione, a braccetto con le mamme del Trotter, i bambini, gli insegnanti della scuola, insomma tutti quelli che nei giorni dell'altalena, hanno presidiato il parco per opporsi all'arrivo del Leoncavallo, ma imbufaliti contro Formentini, il prefetto, e pure il ministro dell'Interno. Comizi a singhiozzo lungo il percorso: «Con questa Lega e con questi sindacati dobbiamo farla finita - dice il compagno di Roma -. Ci accusano di essere violenti, ma è più violento di noi chi toglie lavoro, chi fa mancare le case, chi affama i pensionati, chi riempie le nostre periferie di eroina. Siamo una forza politica, lo stiamo dimostrando e il potere dovrà fare i conti con noi». C'è pure il tempo, in uno di questi comizi, di aggiornarsi sulle possibili (prossime) sedi del Leoncavallo. Formentini ha pro¬ posto tre capannoni ultra periferici (proposta respinta, anzi: «provocazione respinta»), loro ne chiedono un quarto, il capannone dismesso della Magneti Marelli che è sempre lì, nel loro quartiere: «Non vogliamo spostarci troppo dal territorio». Si vedrà. Dunque il corteo va. Lentissimo. Sino a quel benedetto incrocio, in cui, di colpo, smette la musica e cresce la tensione. Si doveva svoltare per passare davanti a quel che resta del Padigione di Arte contemporanea demolito dalla bomba del 27 luglio scorso. Invece no, si cambia percorso, si tira dritti verso piazza Fontana, o almeno si vorrebbe. Perché? Come semplice atto di forza, come segno di autoderminazione: «Basta, andiamo dove ci pare». E perciò tutto si blocca, muro contro muro, può esplodere tutto da un momento all'altro, il corteo aspetta, i carabinieri sono pronti... E invece no, l'uomo della Digos, passati i tre minuti, arriva con il sorriso: «Va bene. Vi facciamo proseguire. Prima però studiamo il percorso...». Qualcuno dice: «Poteva succedere il finimondo», ma i ragazzi del Leonka non la pensano così: «Non vogliamo arrivare all'assalto frontale, perché poi?». Il corteo passa e un'ora dopo si scioglierà. Il «Leonka» ha messo in tasca un'altra piccola vittoria, anche se questo sembra sempre spaventarlo un po' troppo. Pino Corrias Un momento della manifestazione In difesa del centro sociale Leoncavallo [FOTO AGENZIA TAM TAM]