Gli ex Br: in via Fani c'eravamo solo noi di Giovanni Bianconi

E la Digos romana conferma: «Abbiamo arrestato il quarto carceriere del presidente de E la Digos romana conferma: «Abbiamo arrestato il quarto carceriere del presidente de Gli ex Br: in via Fani c'eravamo solo noi «Non c 'entrano nulla né la mafia né i servizi segreti» ROMA. Le nuove verità e i nuovi misteri del caso Moro si snodano tra via Fani e via Montalcini, lungo il percorso che Aldo Moro - già prigioniero delle Br - fece la mattina del 16 marzo 1978. Due storie e due piste separate, legate solo dal fatto di riguardare il sequestro e l'uccisione del leader democristiano. Sulla presenza di un uomo della 'ndrangheta sul luogo dell'agguato i brigatisti di allora o ridono o si arrabbiano, ma comunque negano qualsiasi infiltrazione mafiosa. Sull'arresto del «quarto uomo», invece, il presunto brigatista Germano Maccari finito in carcere con l'accusa di essere uno dei carcerieri di Moro, la Digos romana conferma: «Crediamo sia lui». Oggi il giudice delle indagini preliminari interrogherà Maccari e deciderà se confermare l'arresto o scarcerarlo. «Ci risiamo con le rivelazioni su Moro - dice Lauro Azzolini, uno dei quattro componenti il comitato esecutivo delle Br -, coi polveroni che servono solo a coprire i problemi reali di questo Paese. Noi non abbiamo mai avuto infiltrati; l'unico fu padre Girotto, in un'epoca molto precedente, dove c'era tutt'altra mentalità. Ma lo sapete quale trafila bisognava fare per entrare nelle Br? Figuriamoci se un boss calabrese arriva e viene arruolato». E Maccari? E' vero che nella «prigione del popolo» i brigatisti erano quattro e non tre? «Io di questa storia non so niente - risponde Azzolini -, dico solo che mi sembra poco credibile. Ma non ho elementi concreti perché la compartimentazione all'interno delle Br arrivava al punto che anche nel comitato esecutivo si poteva benissimo non conoscere i nomi dei carcerieri, per motivi di sicurezza». Azzolini nella «prigione del popolo» non c'era, ma Prospero Gallinari sì. Al deputato verde Alfonso Pecoraro, che ha incontrato ieri sera nel carcere di Re- bibbia, ha detto: «Non conosco Maccari, non conosco quel compagno. Non mi interessa, non ho niente da confermare o da smentire». Una dichiarazione che, più che altro, non smentisce. Gallinari fece parte anche del commando brigatista di via Fani, e sull'infiltrato della 'ndrangheta chiamato in causa dal pentito Saverio Morabito afferma: «E' storicamente dimostrato che l'operazione Moro è roba nostra. Non c'entrano nulla la mafia né i servizi segreti». Poi una battuta: «Sì, noi abbiamo avuto a che fare coi carabinieri: ci siamo sparati addosso. Questi sono stati i nostri rapporti». Se l'avvocato difensore di Antonio Nirta, il mafioso calabrese indicato come l'infiltrato nelle Br, dice che il suo assistito con questa storia non c'entra, e fu arrestato nel giugno '78, a poco più di un mese dall'omicidio Moro, l'ex deputato de Benito Cazora conferma la «pista calabrese». E' lui che parlò col segretario di Moro Sereno Freato delle foto scattate in via Fani subito dopo l'agguato, nelle quali doveva apparire un volto noto ad alcuni malviventi calabresi, foto che poi scomparvero dagli atti dell'inchiesta. «Quei calabresi che si erano offerti di fare qualcosa per liberare Moro - dice oggi Cazora -, per dimostrare la loro credibilità mi portarono sulla Cassia cucendomi che da quelle parti c'era un covo Br; poco tempo dopo fu scoperta la base di via Gradoli, proprio lì. E quando uscì il falso comunicato delle Br, quello del lago della Duchessa, mi telefonarono subito per avvertirmi che era un falso». E il sostituto procuratore di Milano Antonio Nobili, il magistrato che ha coordinato le indagini svolte dalla Dia sulle basi delle «confessioni» di Morabito, afferma: «Le dichiarazioni sulla partecipazione di Nirta in via Fani sono da prendere in seria considerazione. Il discorso fatto dal pentito su ciò che è successo nel '78 a Roma non mi sembra frutto di follia. I magistrati romani dovranno valutarlo con serietà, non sembrano frasi dette da un pazzo». Ma per adesso Franco Ionta, il sostituto procuratore che ancora segue gli sviluppi del caso Moro, si occupa dell'altra storia, quella del «quarto uomo». Ieri ha fatto vedere Germano Maccari ad alcuni testimoni che nel 1978 abitavano in via Montalcini, per chiedere loro se riconoscono uno degli inquilini dell'appartamento al piano terra. Ma gli esiti delle «ricognizioni personali» sono incerti, non avrebbero dato indicazioni definitive. Il capo della Digos romana Marcello Fulvi spiega di essere arrivato alla convinzione che Maccari sia uno dei carcerieri di Moro attraverso una catena di «ragionamenti deduttivi». Partiti dalla convinzione che a via Montalcini, per motivi logistici e organizzativi, doveva esserci per forza un quarto brigatista oltre alla Braghetti, a Gallinari e a Moretti che per altro non abitava lì, la Digos è andata a cercarlo nella fascia di coloro che hanno gravitato intorno alle Br senza poi comparire brigatisti a tutti gli effetti nelle indagini degli Anni Ottanta. Ne è venuto fuori l'identikit di un «militante tra i 20 e i 30 anni, con un passato movimentista, uscito dalle Br subito dopo la conclusione del sequestro». Da un primo gruppo di circa 80 nomi si è andati per esclusione fino ad arrivare ad una rosa di due o tre persone. E alla fine si è giunti a Maccari, che sarebbe stato reclutato da Bruno Seghetti, uno del commando di via Fani, proveniente come lui dal quartiere romano di Centocelle. Ma Maccari continua a negare di aver partecipato all'«operazione Moro», e l'avvocato della vedova Moro, Nino Marazzita, dice: «Questa storia è ancora tutta da scrivere». Giovanni Bianconi

Luoghi citati: Centocelle, Roma