UNA MINACCIA NASCOSTA di Francesco La Licata

Il magistrato difende le rivelazioni del pentito della 'ndrangheta: da quei fatti nuovi sviluppi r UNA MINACCIA NASCOSTA La mafia del Nord esiste da anni E nel silenzio ha potuto crescere ORA che c'è stata la consacrazione ufficiale un rapporto della Dia seguito da un mastodontico provvedimento giudiziario a carico di più di 200 persone tutti si dicono convinti dell'esistenza di una «mafia del Nord». Accade per la criminalità quello che era avvenuto, in politica, per la Lega di Bossi: tutti sapevano dell'esistenza di un vento leghista che incrociava il sentimento di protesta di gran parte del Nord ma nessuno, quasi per esorcizzare, ne parlava. Fino alle elezioni, quando la marea di voti raccolti dal «Carroccio» non ha più permesso di ignorare il problema. E' proprio un Paese senza memoria il nostro. Quanti anni sono trascorsi negando l'evidenza. E cioè che Cosa nostra aveva esportato un modello che si andava affermando anche in un territorio solo in apparenza poco ricettivo. Era il 1974 quando la Guardia di finanza scoprì che sotto le spoglie di un tranquillo commerciante milanese si nascondeva nientemeno che il terribile Luciano Liggio. E non era dovuta esattamente a una vacanza la permanenza del boss nella metropoli lombarda. Chi ha memoria sa che quello fu il periodo dei sequestri di persona in Piemonte e in Lombardia. Da allora gli investigatori non hanno fatto altro che segnalare «ai responsabili» i pericoli di una sottovalutazione del fenomeno del contagio mafioso nelle regioni «vergini». Ma erano i tempi del benessere, quelli, e nulla doveva turbare l'esaltazione dell'Italia quinta potenza industriale. Il risultato, adesso, è sotto gli occhi di tutti e la situazione sembra molto più grave di quanto lascino trasparire gli esiti ufficiali delle indagini. Basti citare, per tutte, una recente affermazione del direttore della Dia, Gianni De Gennaro. Intervenendo alla presentazione del libro su Rima di Bolzoni e D'Avanzo, l'investigatore ha detto che Cosa nostra siciliana si va sempre di più trasformando in «Cosa nostra italiana». Che vuol dire tutto ciò? Che sono avvenute numerose saldature di interessi tra le criminalità regionali e le mafie, presenti in modo ormai massiccio al Nord. Tanto da far pensare che Cosa nostra - come De Gennaro ha scritto nella relazione al ministro Mancino - sia la mente e il motore della recente strategia stragista, anche perché «unica organizzazione criminale che risulta poter disporre di una struttura dislocata in numerose regioni italiane, di un adeguato controllo del territorio, di collegamenti con la criminalità comune e con frange di quella eversiva». E' anche a causa di queste certezze che Luciano Violante, presidente della Commissióne' Antimafia, ha voluto che l'organismo parlamentare avviasse vere e proprio indagini belle regioni tradizionalmente «non a rischio». Il quadro che ne esce fuori non è rassicurante, così come non inducono all'ottimismo le conclusioni di numerose inchieste giudiziarie avviate dal Servizio Centrale Operativo del ministero dell'Interno. Per esempio quella che, a suo tempo, portò alla individuazione di una centrale del riciclaggio, proprio a Milano, dove operava tal Giuseppe Lottusi, meglio definito come consulente finanziario di un gruppo di mafia che aveva dentro dai Madonia di Palermo ai narcotrafficanti del «cartello di Medellin». Lo squarcio di luce aperto dagli ultimi pentiti - d'altra parte - ha confermato piccole verità tanto curiose quanto allarmanti: chi sapeva che a Busto Arsizio esiste una «decina» della mafia di Caltanissetta? Analoga iniziativa di «decentramento» sembra sia stata avviata a Cologno Monzese, ci informa il collaboratore Leonardo Messina. E c'è persino una ramificazione degli «stiddari» (i «contras» di Cosa nostra») addirittura a Prato. Per non parlare del fatto che a Torino da tempo si è insediata una «decina» della «famiglia» di Riesi. E la capitale? Risale alla notte dei tempi la formazione a Roma di un clan, diretta emanazione del capomafia Stefano Bontade. Ma perché meravigliarsi, se anche Nino Calderone, collaboratore catanese, aveva rivelato che Cosa nostra aveva aperto succursali persino a Tunisi? Nessuno, tranne i soliti investigatori cocciuti, aveva dato importanza al fenomeno. Adesso «è ufficiale». Francesco La Licata ata |