Guevara: «Ti amo Cristo dei ladroni»
Guevara: «Ti amo Cristo dei ladroni» Poco prima di morire in Bolivia nel '67 il Che scrisse drammatici versi di ispirazione religiosa Guevara: «Ti amo Cristo dei ladroni» Un inno rivoluzionario: «L'uomo è un povero Dio crocifisso come te» ~wlN un ricordo di Che I Guevara, apparso due I giorni fa su La Stampa, I riferendosi alla morte _JUdel famoso guerrigliero e alla foto che fecero del suo cadavere, Enrico Deaglio ha scritto: «Non si resero conto di aver fotografato un Cristo del Ventesimo Secolo; di aver riprodotto, su un lavatoio boliviano, la Deposizione del Mantegna». Questo accostamento al Crocifisso mi ricorda che diversi anni fa, credo nel 1978, un quotidiano di La Paz, Los Tiempos, pubblicò una lirica del Che Guevara, dedicata a Cristo. Il testo era stato trovato il 4 agosto 1967, quindi tre mesi prima della morte del guerrigliero, in un deposito di viveri, armi e documenti den¬ tro una grotta di Nancahuazù. Era scritta su un pezzo di carta e portava la firma del Che: un inno di un rivoluzionario a Cristo, nella consapevolezza proprio della riproduzione della Passione nella carne e nei giorni dell'uomo povero e martoriato. Ci fu una discussione, allora, sui giornali boliviani se la poesia fosse veramente di Che Guevara. Lo negò lo scrittore marxista Jesus Lara, «perché il marxismo è soprattutto antireligioso», tuttavia aggiunse: «Se il Che ne è l'autore, deve averla scritta in un momento di debolezza nel sentirsi solo e tradito». Del resto, allora, nella foresta boliviana, tra i bananeti dove si nascondeva il Che Guevara, ora dissacrati dalle pian- tagioni dei signori della droga, fioriva la poesia rivoluzionaria, anonima, oscillante tra la fede e la bestemmia. Una di queste diceva così: «Un giorno ho chiesto: / Nonno dov'è Dio? / Mi guardò coi suoi occhi tristi / e non rispose niente: / Mio nonno morì nei campi, / senza preghiera né confessione. / Lo seppellirono gli indios, / flauto di canna e tamburo. / Allora ho chiesto: / Padre, che cosa sai tu di Dio? / Mio padre si fece serio / e non rispose niente. / Mio padre è morto in miniera / senza medico né confessore. / Lo seppellirono gli indios, / flauto di canna e tamburo. / Mio fratello vive nella foresta, / ma non conosce neppure un fiore. / Sudore, malattia e serpenti / è la vita del boscaiolo. / E che nessuno gli chieda / se egli sa dove è Dio. / Non è passato da casa sua / questo importante signore! / Che Dio vegli sui poveri, / forse è vero, forse no. / Ma è certo che egli pranza / alla tavola del padrone». Ritornando al testo del Che Guevara, il quotidiano cattolico di La Paz, Presencia, citò una poesia quasi uguale di un poeta spagnolo esiliato in Messico, che era stato grande amico del Che: Leon Felice scrisse la poesia II grande urlo, che inizia con questa dedica: «Al Che Guevara, mio grande amico. Sei sempre stato un guerrigliero evangelico...». «Così si spiega», scrisse Presencia, «la poesia a Cristo del Che Guevara. Tutti e due erano poeti di grande interiorità, tutti e due avevano gli stessi sentimenti. Che Guevara, in un momento di solitudine nella foresta boliviana, si ricordò dei versi del suo amico e li trascrisse apponendovi alcune varianti». Domenico Del Rio "Cristo, ti amo: non perché sei sceso da una stella, ma perché mi hai rivelato che l'uomo ha sangue, lacrime, angosce, chiavi per aprire le porte chiuse della luce. Si, tu mi hai insegnato che l'uomo è Dio, un povero Dio crocifisso come te, e chi sta alla tua destra sul Golgota, il cattivo ladrone, anche lui e Dio In quegli anni fioriva la poesia di guerriglia in America Latina A destra, la poesia del Che, a sinistra. Guevara dopo l'uccisione in Bolivia
Luoghi citati: America Latina, Bolivia, La Paz, Messico
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