L'unificazione mancata Beria voleva vendere la Ddr di Emanuele Novazio

L'unificazione mancai a: Seria valeva vendere la Ddr RIVELAZIONI Dopo la morte di Stalin il ministro dell'Interno cominciò una trattativa segreta sulla Germania Est, poi finì in carcere L'unificazione mancai a: Seria valeva vendere la Ddr Era il '53, in cambio l'Occidente avrebbe investito 10 miliardi di dollari in Urss BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Beria tentò di vendere la Ddr all'Occidente: prezzo richiesto dieci miliardi di dollari, una somma che industriali e governi d'America e d'Europa avrebbero dovuto investire nell'Urss da poco orfana di Stalin e avida di moneta forte. La riunificazione tedesca avrebbe potuto avvenire quarant'anni prima, rivelano ex agenti dei servizi segreti sovietici alla «Zeit», se il potentissimo e bieco ministro dell'Interno non fosse caduto vittima delle trame di palazzo, il 26 giugno del '53, poche settimane dopo aver messo a punto il suo «pro¬ getto Germania unita». Il «grande testimone» di una vicenda dai risvolti ancora misteriosi ò il generale Pavel Sudoplatov, all'epoca agente della Ceka. Poco dopo la morte di Stalin, nella primavera del '53, Beria si rivolge a lui: bisogna avvicinare l'Occidente per liberarsi della Germania orientale. Questa volta faranno da tramite due personaggi dai contatti ambigui, negli anni della guerra e in quelli immediatamente successivi: il principe polacco Januss Rat.ziwill e l'attrice tedesca, ma di origine russa, Olga Cechova. Davanti al comitato centrale del partito comunista sovietico, Beria aveva appena spiegato di non volere ad ogni costo una Germania socialista: «Perché il socialismo nella Ddr? L'importante per noi è che la Germania diventi un Paese paficico. Bisogna creare una Germania neutrale e democratica». Quando, il 17 giugno, a Berlino scoppia la rivolta operaia e Ulbricht viene convocato al Cremlino, in Beria si rafforza la convinzione che bisogna rinunciare a quel Paese a rischio. A parte i costi politici, ci sono quelli economici: almeno il doppio di quanto si potrebbe ricavare da una «cessione della Ddr all'Occidente», sostiene. Neanche le violenze di strada lo convincono a rinunciare al suo progetto: quanto è avvenu¬ to a Berlino, ritiene, non farà che rafforzare l'interesse occidentale. Contemporaneamente Boria guarda alla Jugoslavia, e vuole la riconciliazione con Tito. A maggio riesce a inviare a Belgrado come ambasciatore un suo collaboratore, Serghei Fedossejew, al quale confessa la propria avversione per la politica di Stalin. Beria gli affida un messaggio per Tito, pensa a un incontro con lui: la politica sovietica in Jugoslavia cambierà, assicura. Ma in quelle ore, era soprattutto il «progetto Germania» a preoccuparlo. Il capo della sezione tedesca del ministero degli Esteri, Soja Rybrina (che assieme al marito aveva già guidato missioni in Svezia e Finlandia per conto di Stalin), mette a punto a Berlino i particolari del piano, mentre il principe Ratziwill si prepara a partire per gli Stati Uniti. Nelle stesse ore, a Berlino precipita la crisi: a Ulbricht che gli chiedeva due settimane per mettere a punto una nuova politica, il rappresentante militare di Mosca nella Ddr, Semionov, risponde: «E' possibile che tra 14 giorni il suo Stato non esista più». Pochi giorni dopo Beria viene arrestato. Il progetto Germania finisce nel nulla. Emanuele Novazio