Salvotores: no a centri sociali-ghetto di Gabriele Ferraris
Salvotores: no a centri sodali-ghetto Salvotores: no a centri sodali-ghetto Ma a Torino il regista viene subito contestato TORINO. «Scateniamo tempesto ma proferiamo il solo». Era uno slogan del Leoncavallo. Sì, preferiscono il sole, i ragazzi dei centri sociali. E quando Papa Ricky sale sul palco traballante e attacca «Lu solo mio», gli si stringono attorno c ballano e salutano con pugni chiusi di rabbia e di speranza. Nel deposito in riva al Po che chiamano «Centro sociale autogestito Murazzi» arriva Gabriele Salvatores, il famoso regista. Ha vinto l'Oscar con un film carino: opperò, por presentare «Sud» che non è un film carino ma incazzato e cattivo, con musica rap incazzata o cattiva, viene noi centri sociali. Lo contestano pure: un giuppo anarchico - «I ribelli di capitan Nemo» - gli spara sotto il naso un volantino tosto, dove si parla di «un balletto di mani che applaudono secondo necessità ad un Salvatores, promotore dei prodotti Fininvest e cossuttiani». Segue dibattito, o pubblico processo se preferite. Ma la maggioranza è salvatoregna, e lui - così fragile in apparenza - è un vecchio lupo d'assemblea, o quando dal pubblico l'accusano di cavalcare la crisi del Leoncavallo per far pubblicità al film gliela rigira alla grande, «mi sombri Formentini o Daverio sogghigna - o Bossi che mi ha definito un "registucolo del kaiser"». Però si mette in discussione, ammetto la contaminazione con il diavolo Berlusconi, «ma fare un film costa dai due ai sei miliardi, e io non li ho». E aggiunge: «Lavorando con le posso alla colonna sonora del film abbiamo pensato che fosse giusto presentarla nei posti dove questa musica è nata. Tutto qui». Ha una storia, e ci tiene: «Sono le mie radici, il Leoncavallo è stato la prima sala-prove del Teatro dell'Elfo. Però il movimento è cambiato, dal '75 a oggi». Cambiato corno? «Dna volta l'ideologia si formava sui libri e poi si cercava di applicarla alla realtà: negli ultimi tempi i centri sociali hanno invece vissuto la realtà, proponendosi come laboratori di vita diversa. Non so se sia meglio: certo è più sano». «I centri sono spazi che le città non avevano previsto; e i giovani se li sono presi. Ora, però, si deve superare la fase del ghetto. Bisogna trovare un punto d'incontro con la gestione urbana tradizionale. E' necessario, ma difficile». A Milano, poi... «Quasi impossibile, vista la giunta che abbiamo. La questione del Leoncavallo potrebbe trascinarsi per mesi. Formentini deve trovare una sistemazione alternativa: può tirare in lungo, oppure proporre una sede inaccettabile. A quel punto, non so che cosa accadrà». Bella cosa, la solidarietà degli intellettuali. Però i ragazzi del movimento le loro guerre sono abituati a combattersele da soli. «Il Leoncavallo è diventato un teatrino - bofonchia Mario lo Spesso, di «El Paso», l'altro centro torinese. - Intanto nessuno parla degli altri sgomberi, dei compagni che finiscono in galera». E allora ne parleranno fra di loro, sabato al grandi; incontro dei centri sociali: l'hanno spostato da Napoli a Milano perché a Milano c'è il Leoncavallo in pericolo. Ma ci sono cento Leoncavallo, in Italia. «Minacciati ogni giorno: dalla polizia, dai naziskin, dai trafficanti li eroina». Salvatores e l'attore Silvio Orlando, che l'accompagna in tour¬ née, ieri ai Murazzi sono stati ospiti discreti. E hanno lasciato parlare la musica. La musica della 99 Posso, dei Possessione, di Papa Ricky. Sono loro le voci dei centri sociali. Gente abituata a battagliare. E non da ieri. Cinque anni fa, davanti al Leoncavallo c'ora uno striscione: «Nessuna minaccia di sgombero potrà toglierci la rabbia e la gioia di lottare». Cinque anni fa. Gabriele Ferraris «Formentini rischia di perpetuare il conflitto» Il regista Gabriele Salvatores ai «Murazzi» di Torino
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