Esame Somalia per Clinton di Paolo Passarini

Esame Somalia per Clinton Esame Somalia per Clinton Ieri il rapporto al Congresso L'Onu a Roma: non andatevene WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Molto preoccupato e con due giorni di anticipo sulla scadenza fissata, Bill Clinton ha inviato ieri al Congresso il rapporto sulla missione in Somalia che gli era stato formalmente richiesto attraverso una mozione parlamentare. «E' una spiegazione della politica americana», è stato l'ovvio commento di un suo collaboratore, mentre in Senato iniziava una pericolosa discussione sul futuro dell'operazione «Restore Hope». Il senatore Robert Byrd, democratico del West Virginia, continua la sua battaglia per imporre un ritiro anticipato delle truppe. In un primo tempo aveva presentato un emendamento che bloccava lo stanziamento dei fondi necessari subito dopo il 31 dicembre, tre mesi prima del termine fissato dal presidente. Poiché Byrd ha molte probabilità di raccogliere una maggioranza attorno alle sue posizioni, i due capigruppo, il democratico George Mitchell e il repubblicano Robert Dole, si sono concordemente dati da fare per individuare un compromesso che eviti un'umiliazione del presidente e, con lui, degli Stati Uniti di fronte al mondo. Il dispositivo prescelto è stato quello di far approvare un emendamento che attribui¬ sca al presidente il potere di prolungare la permanenza delle truppe in Somalia rispetto al limite fissato dal Senato previa autorizzazione del Congresso. A questo punto Byrd, per non farsi isolare in una posizione di accanimento verso il presidente del suo stesso partito, ha modificato la sua proposta, prorogando la data finale della missione al 10 febbraio e accogliendo la raccomandazione dei capigruppo. A questo punto, per quanto le 33 pagine del rapporto spedito da Clinton possano essere ben confezionate, questa posizione appare piuttosto forte e ha buone possibilità di essere approvata. Anche perché i senatori tornano da ogni fine settimana passato con i loro elettori sempre più determinati a farla finita con l'impegno in Somalia. L'opinione pubblica americana, infatti, disapprova sempre più decisamente l'operato di Clinton in politica estera. Questo vale soprattutto per la Somalia, ma riguarda anche la brutta figura fatta a Haiti. Secondo un sondaggio di ieri di «Abc-Tv», il 62% degli americani dà un giudizio negativo della politica di Clinton in Somalia e solo il 34% la approva. Il 70% considera «poco chiara» la politica su Haiti e, in generale, il 56% degli americani boccia la politica estera del presidente, che ha il soste- gno solo del 37%. «La nostra politica in Somalia comincia a funzionare - ha dichiarato ieri Clinton -. E' evidente da quanto è successo negli ultimi giorni che ci stiamo muovendo nella direzione giusta». Ma, mentre questo è ancora da vedere, restano tutte le oscillazioni e gli errori passati, peggiorati dalla sensazione che il presidente ha trasmesso di fare la politica estera con la mano sinistra. Prima si è accodato completamente alie Nazioni Unite, poi le ha criticate prendendone decisamente le distanze, quando però era ormai troppo tardi e 17 americani avevano perso la vita nella battaglia del 3 ottobre. E, se si può parlare di progressi in Somalia, questi sembrano essere soprattutto il frutto del lavoro di Robert Oakley, un battitore libero che chiede il permesso di fare le cose quando le ha già fatte e che, comunque, era l'inviato di George Bush. Se, sfortunatamente, succedesse di nuovo qualcosa di brutto a Mogadiscio, Clinton verrebbe a trovarsi in guai molto seri. Intanto, un portavoce di Boutros Ghali ha detto di sperare che l'Italia riesamini l'ipotesi di un ritiro dalla Somalia entro sei mesi, espressa ieri dal ministro degli Esteri Andreatta. Paolo Passarini Donne somale a Mogadiscio passano accanto a un blindato americano Qui a fianco Robert Oakley