I'inviato Usa tratta con Aidid di Vincenzo Tessandori

Saltano la Conferenza di Addis Abeba e la visita di Ghali a Mogadiscio, il suo vice attacca Washington Saltano la Conferenza di Addis Abeba e la visita di Ghali a Mogadiscio, il suo vice attacca Washington I/inviato Usa trafili con Aidid Oakley incontra il braccio destro del generale MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO Gli americani ci pensano o, forse, hanno già deciso: lascerebbero Mogadiscio prima del previsto. Per questa ipotesi l'Onu si dispera e Aidid si frega le mani. Gli americani ci pensano è forse hanno stabilito il contrario, perché altrimenti non si spiegherebbe l'arrivo, ieri al crepuscolo, di tre carri armati «Abrams» da oltre 50 tonnellate. Fra mille precauzioni gli ((Abrams» sono stati scaricati da tre «Galaxy» dopo un volo no stop di 18 ore dagli States, con due rifornimenti in aria. Fra mille piccoli e meno piccoli incidenti, la tregua regge, anche se ieri notte un tiratore scelto dei Rangers ha fatto secco un somalo che si avvicinava con in spalla un Rpg, che è un bazooka. A Belet Uen una nostra pattuglia è stata attaccata a colpi di bombe a mano: un soldato è rimasto leggermente ferito. Una sparatoria ha coinvolto una colonna di mezzi militari sauditi che percorreva via Afgoy, fuori Mogadiscio. I soldati hanno reagito rispondendo al fuoco. Sembra che una bambina sia stata uccisa. Al Porto Nuovo di Mogadiscio qualcuno ha tentato di sabotare l'oleodotto dal quale passa il carburante per le forze delle Nazioni Unite. Nella capitale c'è Robert Oakley, inviato di Bill Clinton, e, anche se non può prendere decisioni prima di riferire al presidente, ha già incontrato Mohammed Siad Issa, il «ministro degli Esteri» del Sna, l'Alleanza nazionale somala che fa capo ad Aidid, e Ahmed Rage, un capo degli haber ghidir che ha tentato, senza successo, la concorrenza al «generale». Oakley, che con cura evita incontri con i giornalisti del «resto del mondo», a quelli della Cnn e di Usa Today è tutto sommato apparso ottimista. «Esistono trattative, si potrebbe giungere in un tempo ragionevole al rilascio dei due ostaggi». E allude a Mike Durant, dopo la cattura e l'intervista diventato il più famoso pilota di elicotteri al mondo, e di «un soldato nigeriano». E' vero che da parte somala si insiste per uno scambio di prigionieri ma Oakley conosce le difficoltà in cui si dibatte il suo presidente, pressato da richieste continue di abbandono da parte dell'opinione pubblica. Così il diplomatico aggira il problema e ricorda che «i prigionieri somali sono in mano all'Onu, non nelle nostre». Ma la caccia ad Aidid? «E' stata troppo personalizzata». Si parla di ramo d'olivo, di offerte di pace, di tregua rispettata anche se il vento porta ogni tanto l'eco dei tamburi di guerra. E Kofi Annan, vice segretario delle Nazioni Unite, ha da far obiezioni sull'ipotesi di abbandono degli Usa, anche se dovesse avvenire fra sei mesi. Perché? «Perché sono la forza più impegnata per la logistica e il sostegno operativo. Il loro ritiro indebolisce considerevolmente tutto lo schieramento Onu». Che cosa succede se gli americani se ne vanno? «Il nodo è il momento in cui avviene il ritiro. Se le forze lasciano quando le Nazioni Unite e la comunità internazionale hanno il controllo della situazione, allora è tutto ok, ma la cosa non va certo bene se il quadro globale è diverso». Sono molti i timori di Kofi An nan, ghanese, braccio destro di Boutros Ghali. «Perché se uno se ne va prima che sia tutto a posto questo sarebbe la dimostrazione che pochi uomini determinati o un gruppo di uomini molto deciso può decidere di bloccare gli sforzi di tanti Paesi. E' un messaggio che non deve andare perduto riguardo a tutte le operazioni di mantenimento della pace». Non ci sono pressioni per nessuno, garantisce: «Non è neppure venuto in mente discutere della sovranità di ogni governo sulla decisione di partecipare a queste operazioni, quali reparti impiegare e la durata delle missioni». E per le Nazioni Unite questo genere d'impegni appare sempre più gravoso. «Bisognerà ridefinire una nuova linea dell'interven¬ to Onu sulla base della nuova realtà che stiamo vivendo e considerando fino in fondo che queste non sono operazioni prive di rischio per i soldati». Lo provano le cifre: dal 1948 al 1988, in missioni di pace, sono morti 758 caschi blu, ma oggi il numero è 1023, 53 in Somalia. Perché qui i rulli di guerra si odono appena il crepuscolo invade la città. Ma Kofi Annan aggiunge: «E' gratificante che la Nsa abbia interrotto gli atti di violenza contro i soldati Onu. Eppoi, anche se nulla è cambiato per quanto riguarda la cattura di Aidid, non vorremmo che si pensasse che i caschi blu sono stati impiegati soltanto per quello, hanno operato per rendere sicura la città». E in questo senso avranno ancora molto lavoro. Annan non ha accennato alla visita di Ghali prevista per ieri: è saltata come il previsto vertice di pace a Addis Abeba. Vincenzo Tessandori Agguato a una pattuglia italiana Ferito un soldato