Pechino la città proibita ai botti
Vietati i fuochi d'artificio, leggendaria tradizione cinese: troppi incidenti Vietati i fuochi d'artificio, leggendaria tradizione cinese: troppi incidenti Pechino, la città proibita ai botti APechino il grande silenzio comincerà il 1° dicembre: per la prima volta, forse, nella storia millenaria della «sola civiltà sotto il cielo», il nuovo anno non avrà il coro tradizionale di scoppi e colori beneaugurali. Tersino nei giorni più duri della guerra e della Rivoluzione culturale la tradizione era stata rispettata. Ma questa volta la municipalità non concederà deroghe: fuochi d'artificio, petardi, botti e mortaretti sono rigorosamente vietati. Se qualcuno vorrà ingraziarsi gli spiriti per Capodanno e matrimoni dovrà arrangiarsi e traslocare nelle zone rurali, lontano dalla capitale. Per sette milioni di pechinesi è una vera rivoluzione, che nemmeno Mao, dispostico fabbro dell'uomo nuovo confucian-comunista, aveva osato. Ma 2400 incidenti negli ultimi sei anni e 500 feriti solo nel '93 sono un bilancio davvero eccessivo per non mettere la parola fine a questa Piedigrotta con i numeri da megalopoli. Adesso Pechino, un tempo splendida città, urbanisticamente assassinata dal regime comunista, diventerà ancora più anonima e triste. Negli hutung, i sordidi vicoli formati delle case con cortile, lo scoppiettìo dei petardi rossi per un matrimonio o la nascita di un maschio illuminava uno spesso grigiore che l'incerto boom economico non ha neppure scalfito. Eppure, da millenni, la vita del cinese è una serie quasi ininterrotta di feste, incroci di una complessa ragnatela geomantica che nessuna ideologia potrà mai spezzare: e adesso che la nuova politica di Deng ha ridato fiato alla religione e alle tradizioni, antiche date mai dimenticate si sono stratificate sulle celebrazioni «laiche» del regime ormai rosso pallido. In tutte le occasioni, alla fine, inevitabile, arriva lo spettacolo pirotecnico piccolo o grande, pubblico o privato, sfarzoso o autarchico. Non c'è famiglia, ad esempio, che alla fine di gennaio o agli inizi di febbraio, oliando per il ca¬ lendario lunare scocca la festa della primavera, a mezzanotte, non contribuisca ad illuminare il cielo grigio di Pechino con un bombardamento più o meno sontuoso di petardi. Secondo la tradizione è la data in cui bisogna aver saldato tutti i debiti. Questo dovere scaramantico è andato perduto ben prima che il capitaldenghismo togliesse al debito un contadino marchio di infamia. I botti per scacciare tutti i malefici nell'anno che arriva, invece, sono applicati con uno scrupolo che neppure le regole del Libretto Rosso hanno mai saputo suscitare. Migliaia di laboratori, più o meno clandestini, sfornano con asiatica produttività la santabarbara della festa, coniugando la fantasia cinese per lo spettacolo e il colore con le regole di una tecnica secolare. Perché la magia dei fuochi d'artificio, come tutto in Cina, ha storie millenarie, secolari paternità. Alla fine del Settecento la grande ambasceria che Londra aveva (inutilmente) in¬ viato per convincere il Figlio del Cielo a socchiudere le porte della Grande Muraglia al mondo dei barbari, raccontava uno spettacolo pirotecnico nel Giardino d'estate con la stessa stupita ammirazione di un qualsiasi moderno turista: «1 fuochi d'artificio superavano tutto quanto avevamo mai visto di questo genere per eleganza e inventiva. Una rete immensa di fuoco con cerchi, losanghe, quadrati, esagoni, ottagoni sfavillò di tutti i colori del prisma prima di un'esplosione di soli, stelle e serpentine». Eppure in questa innocua passione, ora bandita, c'è la chiave della secolare tragedia di un Paese che vanta la più antica civiltà, ma non è riuscita ad accendere il fiammifero del progresso. I cinesi inventarono la polvere pirica, ma poi la usarono, come mille altre invenzioni, appunto per giocare. Intanto il barbaro Occidente costruiva i cannoni e fucili con cui ewrebbe umiliato i figli del cielo. Domenico Ouirico
Persone citate: Domenico Ouirico, Mao
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