Corna golpe e colonnelli come in un vecchio film

Corna, golpe e colonnelli come in un vecchio film Corna, golpe e colonnelli come in un vecchio film DONNE E MILITARI VROMA OGLIAMO i colonnelli», con un indimenticabile Tognazzi golpista. Oppure «Donne e soldati», come sostiene il ministro della Difesa Fabbri, cui un vecchio generale, uno di quelli che se ne intende, ha spiegato che in questa storia «ci sono più corna che in un cesto di lumache». E in effetti, a parte l'espressione da caserma, paiono davvero usciti fuori da gloriosi film i personaggi che in questo autunno della Repubblica occupano pagine di giornale. Scrive per esempio l'Unità che il colonnello paracadutista Michittu assomiglia a Gianni Agus. «Anche nella parlantina». Ha avuto, il colonnello, una relazione con la mamma del primo redivivo delle cronache spionistiche italiane, Gianni Nardi, l'ex, forse, «bombardiere nero», morto, forse, poi ricomparso, forse, nel quadro ancora piuttosto oscuro di convegni segreti, depositi di armi, esplosivi e svolte autoritarie. Nell'economia dell'affare l'antica e «affettuosa relazione» con la signora Nardi è secondaria, serve solo a rendere la trama - è proprio il caso - più complicata. Fondamentale, piuttosto, in questo ideale seguito di parodie cinematografiche che vanno in onda una paio di mesi dopo che si è parlato di uno strano sbarco di incursori con il nerofumo in faccia dietro al castello di Santa Severa, figura fondamentale dunque è la moglie di Michittu, che si chiama Donatella Di Rosa e proprio in questi giorni ha denunciato una specie di golpe, con tanto di occupazione - il termine è lo stesso coniato dal ministro Elia, autore appunto dell'espressione «occupazione del potere» - della nuova sede Rai di Saxa Rubra. Sempre secondo l'Unità - e la notazione non appare in contrasto con quanto hanno visto centinaia di migliaia di italiani in tv - Donatella è «una Dalila Di Lazzaro in miniatura». Non nasconde, per così dire, di aver avuto una relazione con il generale Franco Monticone che peraltro - a rendere il tutto ancora più stralunato, almeno per gli intenditori - si chiama come uno degli ultimi presidenti dell'Azione cattolica, intellettuale quasi ieratico impegnatissimo nella rifondazione della de. Il Monticone di questa storia è invece una specie di Rambo, generale brillantissimo, para pure lui, un tipo presentato come fra Clint Eastwood e Von Paulus. Da un po' Donatella lo accusa di golpismo. Oltre ad averle regalato un orologione, e ad averla accompagnata a fare la spesa (talvolta), l'incauto l'avrebbe fatta partecipare a certe riunioni di ufficiali nelle quali i partecipanti si sarebbero espressi in un modo così tradizionale e scontato da far sorgere una struggente nostalgia nel cuore di un'intera generazione di giornalisti «pistaroli» degli Anni Settanta, redivivi pure loro. Ecco: «Qui bisogna riportare l'ordine - avrebbero detto i cospiratori, tra cui il generale Canino - bisogna sistemare un po' le cose». La sceneggiatura, insomma, è ok. «Amore, ieri hanno indagato Monticone!». Così l'annuncia Donatella, dal telefono della redazione di un quotidiano friulano, con pianto e tremori, a Michittu. Quindi telefonata, sempre davanti ai giornalisti, al figlio Daniele. Risposta di Daniele: «Mamma, sono felice!». «E i grandi occhi azzurri di Donatella ancora una volta si riempiono di lacrime». Qui, a sorpresa, la commedia grottesca all'i¬ taliana finisce per bruscamente ripiegare verso il melodramma (o la telenovela). Del generale, intanto. Rifondazione comunista chiede la sospensione. Ma tener dietro ai risvolti politici e giudiziari del caso - che quelli affettivi, ex affettivi e familiari (la moglie di Monticone, secondo la Di Rosa, è agente del Sismi) sono già intricatissimi - non è agevole. Perché in mezzo, con l'allegra, stramba promiscuità che questo genere di storie si tirano appresso, ci sono pure 700 milioni, un annullamento di matrimonio alla Sacra Rota, certi kalashnikov per «i catanesi» e perfino una videocassetta con i lanci di Monticone col paracadute. Il particolare fa reimpennare di nuovo il soggetto verso la caricatura. C'è solo l'inconveniente che da Medea in poi, passando per Anna- maria Moneta Caglio, il «Cigno nero» dell'affare Montesi che inguaiò un bel po' di nomenklatura e anche per la moglie di Mario Chiesa cui si deve l'inizio dell'inchiesta di Mani pulite, una donna ferita e delusa, anche per le potenziali devastazioni che può mettere in atto non è esattamente un personaggio da commedia leggera, da pochade. A questo punto, un eventuale «Vogliamo i colonnelli 2» potrebbe abbandonare l'ambiente militare e trarre qualche utile ispirazione dalle simultanee traversie in cui si trova immerso il Sisde, servizio segreto civile. Civile, mica poi tantissimo. Qui sul burlesque, pure adattato al mercato ortofrutticolo di piazza Vittorio non lontano dalla sede di via Giovanni Lanza, buttano perfino i cognomi dei protagonisti. In carcere sono finiti tra gli altri i signori Finocchi e Broccoletti. Mentre Allocca, anche se subito ribattezzato «Gennarino o' spione», si chiama l'informatore che avrebbe fatto ritrovare su di un treno un ordigno che secondo alcuni gli era anche (forse) un po' troppo familiare. Le disavventure dei primi due e di diversi loro colleghi appaiono meno avventurose, più in linea con i dissesti diciamo ammiI lustrativi in senso lato - ruberie, in senso meno lato - che sono un po' la caratteristica occulta, talvolta occultata da un supposto golpismo, dello spionaggio non solo civile italiano. Settecento miliardi l'anno da spendere senza nessun controllo, senza nessun giustificativo, senza nessun rendiconto, anzi con i documenti che vengono distrutti ogni tanto, come fa presente Falco Accame che nella sua lunga attività di grande conoscitore e terribile osservatore critico sui servizi ha sollevato questioni addirittura poetiche: dalla barcagarconnière Islamorada al piccolo zoo di Forte Braschi, dalle «scrivanie matrimoniali», che era un modo elegante per dire del torvo familismo del Sismi, all'Ente Zolfi, che è una cosa che non si capisce bene a che serve, che copra, ma è comunque lussuosa. Perché, civili o militari, pei o non pei, da De Lorenzo fino alle esosissime consulenze di Pazienza, dal Sifar al Sid, dal Supersid al Supersismi, dal corredo della figlia di Aloia al raggio della morte venduto agli africani, dalle aragoste mangiate a Capo Marrargiu agli aerei per portare a zonzo i politici, insomma, in quel mondo lì non è che si siano negati molte cose. Bene, di recente si è scoperto che qualche miliardo del Sisde era finito nientedimeno, ed esentasse, nelle banche di San Marino. Su L'Espresso di questa settimana c'è un'istruttiva tabellina che documenta, attraverso i patrimoni di Finocchi, Broccoletti e soci, come una certa Italia ministeriale in vena di onnipotenza abbia scoperto e azzannato i simboli, le comodità, i consumi, perfino i più gagliardi investimenti della società del superbenessere. Ed ecco accanto a società dai nomi quasi blasfemi o spensierati, «Immobilcristy» e «Onda blu», la villa con piscina a Genzano, l'appartamentino a Silvi Marina, la casetta in multiproprietà a Portorotondo e a Capri, il posto-barca e il maneggio. E si può perfino sorridere, alla fine, dell'intricata vita sentimentale dei militari o dell'avidità di certi dirigenti del Sisde. Ma si sorride male, si sorride con uno strisciante senso di colpa. Lo si farebbe meglio se non ci fossero, ogni tanto, quei botti, quei morti, quei depistaggi. Se non fosse così chiaro che l'apparato di sicurezza dell'Italia è ora peggio del solito, come quello dei Paesi dell'Est: tramortito, senza più orientamento, e per giunta con una preoccupante tendenza al ridicolo. Filippo Ceccarelli Il tenente colonnello tradito il generale che gli ruba la moglie l'amante lasciata che lo accusa Maschere di una trama da feuilleton Ugo Tognazzi, mattatore di «Vogliamo i colonnelli» Sopra, il generale De Lorenzo (Sifar) Donatella Di Rosa: ha denunciato il presunto golpe. Sopra, Francesco Pazienza

Luoghi citati: Capri, Italia, San Marino