La musica contemporanea da vedere porta a spasso la telecamera di Giorgio Pestelli

r TIVÙ' & TIVÙ' Za musica contemporanea da vedere porta a spasso la telecamera CON la musica classica in televisione ogni tanto c'è qualche programma che dando la spinta a considerazioni estramusicali alla fine risulta utile per rivedere ed eventualmente modificare vecchie opinioni. Nella mattinata di ieri, già stupiva che Raiuno trasmettesse alle 6,30 una «Quinta Sinfonia» di Ciaikovski, mentre Raitre presentasse un «Omaggio a Luigi Nono» alle 9,20; l'autore popolare per eccellenza confinato quando s'intravedono le prime luci dell'alba, il temibile autore contemporaneo, con lodevole intento divulgativo, portato in un'ora più confortevole ad un pubblico presumibilmente più numeroso: una collocazione che, se non è un puro caso, capovolge le abitudini televisive di programmare le cose «più facili» nelle ore più comode. L'«Omaggio a Luigi Nono», regìa di Piero Berengo Gardin, consisteva nella ripresa dal Teatro Farnese di Parma di un concerto con quattro partiture di Nono eseguite dall'Ensemble Varese diretto da Antonio Plotino; fra i singoli brani l'attore Giancarlo Ilari leggeva te¬ nie 1 Plot: I tore sti noniani, da interviste e scritti vari, il tutto per la durata di un'ora. Nell'insieme, a me è parso che la «musica contemporanea», o «d'avanguardia» che si dica, sia un buon soggetto da televisione, migliore in ogni caso di quella classica tradizionale: infatti, in Mozart, Beethoven, Brahms ecc., cioè in tutta la musica concepita secondo una sintassi unitaria, il saltellare della telecamera da uno strumento all'altro per far vedere le «entrate» è qualcosa di contrario al senso generale (oltre che puerile e alla lunga noioso); mentre nella musica d'avanguardia, che parte da una disgregazione dei nessi sintattici, sentire e vedere i singoli strumenti al lavoro può aiutare a capire come è fatto il pezzo, diventa costitutivo della sua natura: e la televisione potrebbe farci sopra un utile lavoro di diffusione e informazione, a dosi naturalmente più brevi. Di nessun interesse è invece l'indugio sul viso del direttore, e non perché la fisiognomica di Antonio Plotino non lo meriti, ma di nuovo per la differenza fra i due tipi di musica: gli oc¬ chi chiusi di Karajan, la mascella serrata di Muti, sono reazioni a una musica che nella sua espressività è sempre antropomorfica; mentre nella musica contemporanea l'espressione è finita in clausura e sostituita da altri valori: per cui ci si sente indiscreti, si ha l'impressione di disturbare, esaminando a lungo un direttore concentrato sopra tutto sulla misura del tempo; lui sta lavorando, mentre quegli altri volano sull'ippogrifo di Beethoven e compagni. Oltre le Variazioni del 1950 anche «Polifonica Monodia Ritmica» e «Canti per 13» appartenevano al primo Nono, sulle tracce di Schoenberg e Webern, seguendo l'esempio di Dallapiccola e Maderna: ma come sembrano addomesticate oggi, e persino indulgenti al piacere del suono quando si effondono nella incomparabile cornice del Teatro Farnese; belle le riprese sulla tuba (e la barba) di Giancarlo Schiaffini, un gioco di riflessi molto propizio a «Post-Prae-Ludium per Donau». Giorgio Pestelli elli |

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