«lo americano nelle mani di Aidid» di Foto Reuter

L'elicottero si schianta, poi 20 minuti di spari. «Finite le munizioni, ci sono stati addosso» L'elicottero si schianta, poi 20 minuti di spari. «Finite le munizioni, ci sono stati addosso» «lo, americano nelle mani di Aidid» I commilitoni linciati dalla folla «Sottratto alla morte dai miliziani» IL PILOTA CATTURATO DAI SOMALI SMOGADISCIO OMALI inferociti hanno cercato per ben tre volte di uccidere il pilota americano caduto in mano ai miliziani nella capitale Mogadiscio, secondo quanto aveva dichiarato venerdì lo stesso pilota nell'edificio dove è tenuto in ostaggio. Ora, nella prima intervista rilasciata a un giornalista occidentale dopo la cattura in una cruenta battaglia durata 15 ore, Mike Durant racconta come è stato trascinato per le vie della città, mentre si contorceva per il dolore delle gravi ferite alla schiena e alla gamba riportata quando l'elicottero «Black Hawk» che pilotava è stato abbattuto da un missile. «Credo di essere stato tirato fuori dall'elicottero da un altro membro dell'equipaggio. Penso che tutti fossero ancora vivi dopo che l'elicottero si è schiantato. Dopo l'impatto si è scatenata una fitta sparatoria e abbiamo cercato di ripararci. Hanno fatto fuoco per venti minuti». «Le ferite alla schiena e alla gamba mi impedivano di muovermi. Siamo scesi con grande difficoltà e poi io sono rimasto steso accanto al velivolo, per cui non potevo vedere niente e nessuno. Potevo udire il capo dell'equipaggio. Era stato ferito gravemente. Lo sentivo gemere. Lo udivo». Nel letto della casa di Mogadiscio dove è stato portato, gli occhi rossi di Durant sono sbarrati, senza espressione, mentre il terrore del momento della cattura riaffiora alla sua mente. Fuori, in un cortile assolato, una donna si sporge da una finestra mentre i suoi bambini si inseguono l'un l'altro con dei bastoni, attraverso l'area limitata da un recinto di mattoni essiccati. «Eravamo a terra accanto all'elicottero e vedevo gente che veniva fuori avanzando nella nostra direzione. Ho cominciato a sparare, ma presto sono rimasto senza munizioni. Loro erano in molti. Si sono raccolti sull'altro lato del velivolo, sparando. Poi ho sentito qualcuno di noi gridare: mi hanno ferito. Poi quelli mi sono arrivati addosso e hanno cominciato a pestarmi». La folla gli ha strappato di dosso i vestiti, poi lo hanno trascinato lungo una grande strada. «Mi tenevano sollevato in aria. Qualcuno cercava di farsi largo fra la folla e colpirmi. Ma allora gli altri gli sparavano addosso. Sembrava che volessero imperire che il pestaggio continuasse». Entro una decina di minuti Durant viene caricato su un camion e portato per le vie della cita mentre la gente gli grida contro. Lo portano in una casa dove lo lasciarono per mezz'ora, finché non scese il buio. Poi lo trasferiscono in una seconda casa, quella dove è stato filmato da un cameraman somalo. «Mi hanno incatenato in una stanza. La catena era una di quelle per i cani. Al mat- tino venne qualcuno. La porta si aprì e io vidi la canna di un fucile, era un Ak-47, sbucare da dietro l'uscio. Non ho visto l'uomo. Ha aperto il fuoco, poi è sparito. Le pallottole nano colpito il pavimento e sono stato centrato da una scheggia, che ho dovuto togliermi dal braccio». Quando scese ancora la notte gli furono tolte le catene e Durant fu portato in un'altra casa. «A quel punto ho pensato che mi portassero via per uccidermi. Sulla strada ci siamo fermati a un posto di blocco. Quelli che mi tenevano prigioniero hanno dovuto spiegare agli altri che cosa stava succedendo. Mi hanno dato degli spaghetti e del latte, poi mi hanno lasciato chiuso dentro un'automobile per un'ora e io ho pensato: è finita. Invece poi mi hanno portato qui». Tutte e tre le mattine che ha passato nell'edificio dove ora si trova, un dottore è venuto a visitare la sua gamba destra rot¬ ta, le escoriazioni in faccia e le ferite di proiettile. Su un tavolo accanto, nella stanza fresca e scura, ci sono pastiglie, acqua minerale e cotone idrofilo. Fogli di giornale sono stati spiegati sul letto, da dove Durant ha potuto seguire con una piccola radio quanto succedeva dopo la battaglia che lo aveva portato lì. «Ho chiesto loro ripetutamente che cosa intendevano fare di me. All'inizio mi dicevano che cercavano di organizzare uno scambio con ventiquattro dei loro catturati da noi. Ma ho sentito alla radio che la cosa non era riuscita. Non era quello che avrei voluto sentire, ma potevo capirlo. Comunque quelli dell'Alleanza nazionale somala pensano che sia un brutto impiccio per loro il fatto che io sono ferito. Vogliono mostrare al mondo di non essere dei barbari». «Tutti ora vogliono che la situazione si risolva. Troppi innocenti vengono uccisi. Ci si infuria perché si vedono dei civili venire uccisi. Credo che nessuno di coloro che vivono qui possa capire che cosa sta succedendo. Per loro l'America è il bene. Avevamo cercato di aiutarli. Le cose non sono andate per il verso giusto». «La mia più grande paura adesso è che la gente che vive attorno a questa zona di Mogadiscio - e io non so nemmeno di quale zona si tratti - scopra che mi trovo qui e venga a cercar¬ mi e ad uccidermi per vendetta». Quelli che lo hanno catturato e tenuto in un primo tempo sono, stati coloro che vivevano nelle case andate distrutte quando l'elicottero ci si è schiantato sopra. Ma adesso Durant si trova nelle mani di alti esponenti dell'Alleanza nazionale somala di Aidid. Rispetto a quando è stato filmato, poche ore dopo la cattura, Durant appare ora meno stres¬ sato, se non altro perché si rende conto di non essere più in preda a una folla inferocita ma nelle mani dei dirigenti dell'Ans, ben consapevole del valore che lui ha per loro. «Sembro Rocky» dice, guardandosi per la prima volta nel piccolo specchio che ha chiesto gli fosse dato prima di permettere che lo si fotografasse. I suoi occhi si riempiono di lacrime quando pensa ai suoi compagni sull'elicottero. «La prima cosa che mi hanno detto è che la gente in strada li ha uccisi tutti. Li hanno fatti a pezzi. Io mi considero fortunato» dice ricordando il figlio di un anno, Joey, e la moglie Laura che lo aspettavano ieri al matrimonio di sua sonila a Washington. «Mi dispiace per i miei compagni. Non potranno più rivedere le loro famiglie. Erano grandissimi americani». Mark Huband Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa» A sinistra il presidente americano Bill Clinton A destra il generale Mohammed Aidid Il pilota americano catturato dagli uomini del gen. Aidid [FOTO REUTER]

Luoghi citati: America, Italia, Mogadiscio, Washington