La guerra delle dame avvelena le urne greche

La guerra delle dame avvelena le urne greche La guerra delle dame avvelena le urne greche ATENE AI Balcani in fiamme arrivano sotto l'Acropoli vampate che alla vigilia del voto di domenica suscitano timori nazionalistici alimentati dall'opposizione, mentre il partito di governo tira in ballo la vita coniugale dell'anziano Papandreu per rovesciare i sondaggi che lo danno vincitore. Vengono insieme in primo piano nelle ultime battute la questione della Macedonia ex jugoslava e l'influenza esercitata su Papandreu dalla prosperosa giovane moglie, l'ex hostess Mimi, 38 anni, quale pericolo per il Paese in caso d'una sua vittoria. Nella Grecia oppressa di storia e povera di risorse irrompono così tra i grandi temi politici attuali Filippo il Macedone e spezzoni da Dynasty, accanto alle gravi questioni economiche, alle accuse reciproche di incapacità e corruzione. Dall'altro giorno, spot televisivi del partito governativo Nuova Democrazia su tutti i canali mostrano Papandreu, 74 anni, operato al cuore, con impietosi primi piani del suo volto scavato e sofferente. Voce fuori campo: «Avete pensato chi alla fine avrà il potere se vince lui?». Dissolvenza, apparizione dei suoi due vice, alla cui ascesa si dice abbia contribuito la moglie del leader. Infine ecco Mimi, bella faccia volitiva, labbra tumide e carnose. Voce fuori campo: «Possiamo correre questo pericolo? In quali mani alla fine sarà la Grecia?». I messaggi sono molti: Papandreu che malandato in salute non potrebbe reggere ed essere sostituito da due mediocrità che devono a lei l'ascesa; Papandreu senile schiavo d'amore per la giovane che lo manipola; Papandreu che così malridotto non sarà in grado di governare. In ogni caso il vero primo ministro sarà la ex hostess, nel segreto delle stanze di casa, non davanti al Parlamento: oggi soffia nell'orecchio dell'affaticato marito veti, promozioni e demolizioni per il Pasok, domani farà lo stesso per lo Stato. Lui stesso ha dichiarato che lei «è l'unica persona» con cui discute «di tutto e di tutti, confidandole i pensieri più segreti». E lei improvvida gli ha fatto eco: «Lui mi chiede su questioni delicate: "Che cosa dice il tuo istinto?". Mi è maestro, mentore, compagno, da lui raccolgo tanta saggezza, non so che cosa ne l'arò». Insieme coi rapporti di parentela, le donne hanno qui un ruolo importante in politica: basti ricordare Melina Mercouri, a lungo ministro con Papandreu, e di nuovo candidata. Lo stesso è per Nuova Democrazia: la figlia del premier uscente e capo del partito, Dora Mitsokatis vedova Bakoyannis, ministro della Cultura nel governo di papà, si ripresenta e si dice sia lei il vero capo del partito. Bella donna, 42 anni, di certo è stata una vedova d'oro per Nuova democrazia: alla vigilia delle ultime elezioni terroristi non identificati uccisero suo marito, Pavlos Bakoyannis, anch'egli deputato, suscitando un'ondata emotiva che favorì il suo partito. La battaglia elettorale quindi non è solo fra i due grandi vecchi, Papandreu e Mitsotakis, che ha chiuso ieri sera la campagna con una manifestazione di massa: ma anche tra le due donne, l'una apertamente in campo, l'altra nell'ombra. La storia e il suo peso su un Paese che ne è oppresso irrompe e si fa attualità politica sulla questione della Macedonia e dei Balcani in genere. L'ex Repubblica jugoslava non è ancora riconosciuta dalla Cee per l'opposizione di Atene a che essa si denomini Macedonia. Per l'Onu, dove si sta trattando, è criptica- mente Fyrom, Former yugoslav republic of Macedonia. In aeroporto manifesti in inglese proclamano: «La Macedonia è stata, ò e sarà Grecia». Sono governativi, ma non bastano. Papandreu arringa le folle: «C'è una sola Macedonia, ed è greca», e accusa il governo di debolezza. Durante la guerra fredda Atene subì la denominazione di Macedonia quando era repubblica della Jugoslavia, non soggetto sovrano. Non accetta ora un soggetto internazionale con quel nome. Vasta da Sud di Salonicco alla frontiera serba e bulgara, la regione si distende su tre Stati in base alle intese dopo le guerre balcaniche del 1912-'13: 50 per cento in Grecia, regione della Macedonia, capoluogo Salonicco, 20 per cento in Bulgaria, 30 per cento nella zona di Skopje. Popolazione omogenea nella parte greca; mista a maggioranza slava altrove. A rafforzare le ragioni territoriali si invoca la storia: Macedonia culla e centro di diffusione dell'ellenismo, patria di Filippo II, padre di Alessandro. Gli slavi vi giungono solo nel VI secolo, ogni scavo documenta civiltà greca. Non è gelosia storica, ma qualcosa di più profondo: oscuri timori nazionali che quelli di Skopje alimentano. Sulla bandiera hanno messo il sole a sedici raggi di Filippo il Macedone, trovato vent'anni fa sull'urna d'oro nella sua tomba a Sud di Salonicco; hanno battuto moneta, poi ritirandola, mettendovi la Torre bianca di Salonicco, simbolo della città; nella Costituzione fanno riferimenti alla Macedonia Egea, cioè Salonicco. E a ciò si aggiungano la protezione della Turchia a Skopje, un certo irredentismo musulmano in Tracia, e le questioni sempre aperte sull'Egeo, in primo luogo Cipro. Se è vero che in un nome c'è tutto, in Macedonia si riassumono oggi tutti gli oscuri timori nazionalistici greci, che si impongono nella campagna elettorale e sui quali l'opposizione, forse domani vittoriosa, soffia forte. Fernando Mozzetti La figlia del premier sfida Mimi Papandreu IL VOTO DEI VELENI Il premier uscente Mitsotakis e Mimi, la moglie di Papandreu