Prossimamente di Mirella Appiotti

Prossima mente Prossima mente MA PERCHE' PRENDERSELA TANTO CON BAR1CCO? 1ITOLO: «Baricco, il nuovo ricco». Beato lui, ma che vuol dire? Ce lo spiega l'editoriale di Leggere d'ottobre. «L'avvento televisivo, qualche anno fa, di Vittorio Sgarbi - recitano le prime righe - ha inaugurato il tempo della disinibizione, cioè la fine della rimozione. Una erronea interpretazione di Freud ha dato vita a un equivoco, quello che tutti i sentimenti devono avere libero e pubblico corso: dall'invidia alla megalomania, dal livore all'arroganza. Una specie di corso di educazione "risentimentale" è stato propinato, dapprima televisivamente poi sulla carta stampata al popolo italiano (...) L'ultimo in ordine di arrivo di questi apprendisti stregoni si chiama Alessandro Baricco, autore di un romanzo che muove sincera pena...». Motivazione, nessuna. Ahi. E nel pezzo, non firmato come è regola per gli editoriali ma scritto o ispirato da Rosellina Archinto direttore responsabile della rivista, Baricco è fatto oggetto anche di colorite soprapposizioni: di volta in volta una «scimmia di Tarzan che, abbarbicata alla sua liana, sta battendosi il petto come un tam tam su tutti i giornali per ricordare che c'è anche lui, che è arrivato e che sarà difficile farlo sloggiare»; una «spelacchiata controfigura del leone della Metro Goldwin Mayen; un «bidello di Dio all'appello del primo giorno del Giudizio Universale» etc etc. Conclusione in sintonia: «Aggiungete un posto a tavola, che eravamo giusto in tredici, e meno male che c'è un Baricco in più. Il piatto non è ricco ma lui lo stesso ci si ficca». Adios. Baricco non è tipo da spaventarsi. Noi, un pochino. Dopo i sanguinosi scontri di primavera-estate tra i gentlemen del mondo letterario attorno al suo riccioluto talento, adesso ci si mettono anche le dame, sinora più che mare, addirittura oceano di ammirata devozione. E lavorano di spada, altroché fioretto. Triste destino d'un «nuovissimo»: anche «le donne non gli vogliono più bene»? Dicìotto storie di tic e manie, di felicità incostanti e di passioni che si sforzano inutilmente di arrivare all'acuto della nobiltà slorica e letteraria FORSE a quel tempo, inoltrandoci nell'adolescenza, non ce ne accorgemmo, eppure fin da allora una folata di mitteleuropa ci aveva arruffato gli animi e la tiepida pronuncia piemontese. Cercavamo plausibili sonorità per nomi come Nemecsek, Csónakos, Weisz. Per fortuna c'erano anche Boka, Géreb, Ats a renderci la vita più facile. Quando Roth e Musil, Broch e Hofmannsthal erano pianeti di altre galassie, lontani anni luce, e Magris non aveva ancora scritto il suo splendido libro sul mito absburgico, un vocio incontenibile e intigrante arrivava già dalla lontaana Budapest. Era l'impronunciabile lessico dei Ragazzi della via Pài di Ferenc Molnàr. Sillabe di coraggio, grida di sfida e di zuffe, mugolii di dolore: il canto della vita sciolto fra l'orto botanico e le cataste di legno della via Pài, più verosimile dell'esotismo di Salgari e venato di una malinconia che è la sostanza stessa dell'immaginario adolescenziale. Di Ferenc Molnàr sapevamo nulla e tanto bastava. Chi andava a leggere le sue commedie pubblicate fin dagli Anni Venti sul Dramma o in Scenario o i suoi racconti? Forse solo Ermete Zacconi o Sergio Tofano che misero in scena molto presto pièces dello scrittore ungherese. Molnàr, nato a Budapest nel 1878 da una famiglia della buona borghesia ebraica, restava per i ragazzi l'autore di quell'unico romanzo nel quale valori forti dell'esistenza sono esemplificati con epica complicità. Un impasto di De Amicis, di Erich Kàstner, noto da noi fin dal 1931 per il suo best seller Emilio e i detectives. Ed era giusto così. Non solo perché quell'opera assicurò a Molnàr fama mondiale finendo a più riprese sugli schermi cinematografici, ma perché essa aggiungeva un tocco particolare al grande affresco su Budapest I vista con insistenza, in romanzi Nel cuore di Martini Uno scrittore ebreo e il capo della più grande diocesi del mondo: Alain Elkann e il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano. Un libro-intervista, genere per il quale l'autore di Vita di Moravia sembra avere una sorta di vocazione. Cambiare il cuore uscirà da Bompiani ai primi di novembre e già dal titolo si annuncia «rivoluzionario»: i due hanno il coraggio di percorrere insieme un impervio cammino soprattutto spirituale. La complessa figura del gesuita che, grande biblista, votato allo studio deve ad un certo punto diventare, in obbedienza al Papa, anche pastore in quella ch'egli chiama la «Ninive moderna», è disegnata attraverso uno scambio continuo di domande, riflessioni, «provocazioni» che si sono incrociate, nell'arco di parecchi mesi del '93, partendo spesso da luoghi diversi, New York o Parigi, Milano o Denver a seconda degli impegni di viaggio dell'uno e dell'altro. Una situazione che ha permesso di tenere alta la tensione e di aggiornare continuamente il colloquio su temi grandissimi, ma in un percorso quasi da romanzo. Soprattutto perché, spiega Elkann, «a chi lo avvicina, oltre alla sapienza, Martini dispensa uno grande dono: la semplicità. Come tutti i veri Maestri». Mirella Appiotti

Luoghi citati: Budapest, Denver, Milano, New York, Parigi