Tra i dannati di Pietroburgo di Mario Deaglio

Tra i dannati di Pietroburgo I DELUSI DELLA NUOVA RUSSIA Tra i dannati di Pietroburgo Lusso e Terzo Mondo, il prezzo delle riforme «11PSAN PIETROBURGO ERCORRERE i cinque chilometri della Prospettiva Nevskij, la celebre strada di Gogol e Dostoevskij significa attraversare dall'alto in basso, in una sorta di spaccato, non soltanto la capitale di Pietro il Grande con i suoi attuali cinque milioni di abitanti, bensì l'intera società russa. Partendo dai giardini dell'Ammiragliato, presso la Neva, Volvo scure, impermeabili di Armani, compagnie aeree, negozi occidentali: è il nuovo denaro dei nuovi ricchi che quasi sempre odora di economia nera. Ma già nella zona dei palazzi in corso di restauro, dei teatri, della riaperta cattedrale in Nostra Signora di Kazan, del celebre Literaturnaja Cafe i vestiti sono trasandati, le auto dimesse, gli edifici bisognosi di manutenzione. Questo, però, è appena il primo terzo della strada. Ogni passo in più verso Est è un passo verso una povertà che diventa rapidamente miseria. San Pietroburgo poco alla volta assume l'aspetto di una Sarajevo con l'asfalto pieno di buche, cornicioni e balconi sbreccati, vetri rotti. Se nella prima parte della strada si compra pressoché esclusivamente in dollari, qui si usa moneta russa che un'inflazione assurda trasforma in cartaccia; si paga in rubli ciò che fino a un anno o due fa si pagava in copechi. Una fila di vecchiette offre in vendita merci incredibili per un occidentale, come sacchetti di plastica usati; poco più in là altre vecchiette vendono anellini di scarso pregio. Probabilmente di famiglia e probabilmente per mangiare. La situazione alimentare di San Pietroburgo ò peggiore di quella di molti Paesi del Terzo Mondo. Si racconta che lo scorso inverno, quando scarseggiava anche il pane, molti svenivano per strada a causa del freddo e della fame. Oggi pane e uova, dal prezzo controllato, paiono relativamente abbondanti e a buon mercato; insieme al tè sono le uniche cose sulle quali una gran parte della popolazione di San Sul Nevskauto e abDopo poscene da j prospekt ti di lesso chi metri Calcutta Pietroburgo può basare la propria dieta di sopravvivenza. Se ha dato una scossa positiva ai settori più agili dell'economia, l'introduzione brutale del sistema di mercato ha spinto i ceti più deboli sotto quel livello sottile di decente povertà o di modestissimo «benessere» quasi piccolo-borghese che il comunismo garantiva loro in cambio della rinuncia alle libertà occidentali. Le storie famigliari dei russi di questi anni sono storie di gente che non ce la fa più; oltre a ridurre le spese alimentari, non rinnova il vestiario, taglia sulle medicine - oggi a pagamento, fino a ieri gratuite - sui mille piccoli oggetti di una normale vita moderna. Oppure, se è fortunata, lavora in nero come tassista, vende matrioske, sciarpe o caviale di dubbia provenienza ai turisti occidentali, spesso sotto la protezione .mm^^^v^m-m» di mafie che, a livello di quartiere, hanno sostituito il partito comunista come elemento centrale dell'organizzazione sociale. Con il suo ultimo tratto, la grande strada giunge al complesso fortificato del monastero intitolato, appunto, ad Aleksandr Nevskij, il principe diventato santo per aver respinto gli svedesi proprio sulla riva della Neva; oltre la cinta, oltre i cimiteri gemelli di San Lazzaro e Tihvin, dove riposano, tra gli altri, Dostoevskij e Stravinskij, la miseria raggiunge dimensioni apocalittiche. Qui San Pietroburgo assomiglia a Calcutta: allineati sui vialetti tra le sette chiese del monastero ci sono storpi e scrofolosi, giovani epilettici e vecchie piene di piaghe, vittime della fine dell'assistenza pubblica, dell'inflazione mangiarisparmi che li ha messi letteralmente sulla strada. Dove non soprawiveranno a lungo. Mentre gli altri vecchietti vengono sempre più frequentemente assassinati da chi vuole il loro alloggio, oggi affittabile a nuovi inquilini a prezzi liberi, o addirittura vendibile: a Mosca si calcola che solo quest'anno siano stati almeno tremila a fare questa fine. E' il nuovo questo? E' la speranza del domani? Sembra piut¬ tosto un capitalismo da caricatura che abbia adottato per motto le parole rivolte a Iliuscia ne I fratelli Karamazov: «Al mondo non c'è nessuno più forte di chi è ricco». E questo capitalismo da caricatura sta creando una realtà ben peggiore di quella del proletariato inglese di Marx o di Dickens. Nell'Inghilterra del¬ l'Ottocento una rivoluzione industriale spontanea, legata a nuove tecnologie, accettò e magari accentuò gerarchie sociali e valori nazionali; nella Russia di oggi un rivolgimento voluto dall'alto assai più che maturato da sé, molto più mercantile che industriale, provoca, come effetti collaterali, il degrado sociale, la dissoluzione del tessuto civile, la perdita del senso di appartenenza. L'attenzione di un popolo stordito e impoverito (la produzione russa in un paio d'anni è crollata di un terzo) è assorbita dalla sopravvivenza quotidiana. Le battaglie politiche non attirano più: tutta la rivolta di Mosca si è giocata tra poche decine di migliaia di persone in una città di 10 milioni di abitanti. Nel frattempo i trasporti pubblici vanno in pezzi, salta l'illuminazione stradale, i giardinetti dei grandi condomini-alveare dell'epoca staliniana sono pieni di rifiuti e nei corridoi hanno rubato tutte le lampadine. Emblematico di questo collasso della dimensione pubblica nel Paese che fu il regno delle scelte pubbliche è l'epidemia di difterite che in pochi mesi ha fatto nella sola San Pietroburgo tremila vittime e una quindicina di morti; la difterite è conseguenza diretta del venir meno delle regole perché si propaga attraverso i mercatini che vendono generi alimentari non soggetti ad alcun controllo igienico e della frana organizzativa perché viaggia anche nei tubi dell'acquedotto che attinge dal fiu- ■&™m>*mmmìss!smm me Neva e per il quale sovente scarseggiano i disinfettanti. Anche il vaccino scarseggia, negli ospedali pubblici; lo si può ottenere privatamente per cinquanta dollari, il salario medio di una settimana. I mezzi di informazione occidentali concentrano la loro attenzione sull'ufficialità moscovita: Presidente, Parlamento, Corte Suprema, Banca Centrale. Oppure vanno a scavare negli archivi dell'ex Urss alla ricerca di segreti piccanti. Solo raramente raccontano di questo impoverimento, della crescente disperazione, del disinteresse montante del russo medio passato dalla condizione di suddito dello zar a quella di suddito del comunismo reale senza aver mai pienamente raggiunto la dimensione di cittadino. Questa disperazione e questo disinteresse dovrebbero far riflettere sull'opportunità di introdurre rapidamente il sistema di mercato non solo in Russia ma in tutti i Paesi ex socialisti (e gli elettori polacchi hanno già espresso il loro parere in proposito). Un sistema economico fortemente centralizzato e integrato nelle sue parti per settantanni non può essere improvvisamente «liberalizzato» senza an- Manca ilnegli oCosta idi una s vaccino pedali salario ttimana dare in pezzi. In Urss c'era un'unica grande fabbrica di materiale ferroviario, un paio di grandi fabbriche di auto, poche, enormi acciaierie, e così di seguito. Parlare di «mercato» di fronte a questa scarsità di attori del mercato, in assenza di una molteplicità di centri di produzione, si sta rivelando spesso tecnicamente impossibile. Il mercato dovrebbe essere introdotto mediante un processo graduale che parta dai settori leggeri e modifichi poco alla volta il comportamento delle imprese maggiori come insegna l'esperienza ungherese e ora anche ceca, domani forse bulgara e romena. La «cura urto» del mercato difficilmente fa nascere imprenditori; emerge invece una categoria di «mercanti», occupati a trarre vantaggio dai divari di prezzo tra città e campagna, tra interno ed estero. Questo arbitraggio è anch'esso una funzione importante ma lo stimolo alla produzione è lento e scarso. ,,_,„,-.. Né va dimenWwreiiilll ticato che nelle antiche fiabe russe, il «mercante» finisce quasi sempre assassinato da chi vuol portargli via le monete d'oro. Può darsi che il sistema del mercato ce la faccia nonostante tutto se l'Occidente trasferirà alla Russia per molti anni una grande quantità di risorse e aiuterà i russi a rinnovare davvero l'industria; e che San Pietroburgo, in crisi economica già prima della caduta del comunismo, non sia un buono specchio del Paese. Può darsi che tutto si risolva con la proverbiale pazienza russa. Di certo, applicare immediatamente una ricetta sociale importata dall'Occidente, che avrebbe richiesto invece un adattamento a tempi lunghi, ò stato un atto temerario che si paga con una sofferenza sociale inaudita, che costituisce un elemento di instabilità e di malessere per l'intero assetto politico ed economico del pianeta. Gli avvenimenti politici russi di queste settimane lo confermano in pieno. Mario Deaglio Sul Nevskij prospekt auto e abiti di lesso Dopo pochi metri scene da Calcutta Manca il vaccino negli ospedali Costa il salario di una settimana