I fantasmi di pietra della tragedia rossa

I fantasmi di pietra della tragedia rossa I LUOGHI DEL DRAMMA I fantasmi di pietra della tragedia rossa GUARDANDO sul teleschermo le incalzanti e insieme ripetitive immagini della «casa bianca» prima candida e poi avvolta da trombe fumogene e dalle fiamme, osservando i blindati in marcia lungo il Kutuzovskij Prospekt, rivedendo il ponte sulla Moscova e subito accanto la cattedrale gotico-faraonica dell'Hotel Ucraina, la mia memoria riandava al quartiere dove vissi e lavorai per quattro anni dal 1961 al 1964. Allora era un quadrilatero di Mosca relativamente nuovo e tranquillo, caratterizzato dalle costruzioni a pannelli prefabbricati dell'era kruscioviana, allineate sulle due sponde ordinate del Kutuzovskij: era lì, sorvegliato a vista dai militi del Kgb che ci guatavano dalle loro garitte grigioverdi, che si addensava il ghetto dei giornalisti e dei diplomatici stranieri coi loro alti e piuttosto squallidi edifici color ocra. Caserme ripulite, ma pur sempre caserme severe. A quel tempo non c'era ancora la «casa bianca» che poi sarebbe diventata il Parlamento russo; c'era invece, quasi eterna, lugubre, immobile, silenziosa, preistorica, la sagoma gugliata e cresputa, da dinosauro staliniano, della Gostinica Ukrajina. Mai avrei potuto immaginare che un giorno, cioè in questi giorni, dovevo rivedere in televisione stagliarsi sullo sfondo di quel quartiere una specie d'insurrezione d'Ottobre alla rovescia, con l'assalto degli ultimi sgangherati plotoni bolscevichi, sostenuti dai fantasmi dei cosacchi e dalle «cinture nere» zariste, contro i bastioni del governo a suo modo «provvisorio» di Boris Eltsin. La mezza farsa e la mezza tragedia, cui ho assi- stito per tante ore, mi hanno dato l'impressione di svolgersi quasi fuori della storia, in una città che era e non era Mosca, in un tempo remoto più che presente, in uno spazio che mi era insieme familiare e alieno. Quella marea di spettri canuti, irosi, vendicativi, armati di bastoni e di clave, che si avventavano sui giovani soldati e poliziotti sorpresi da tanta senile aggressività, costituiva ai miei occhi l'ultimo grottesco sussulto di una storia tragica che si ripeteva e concludeva definitivamente in chiave farsesca. Per fortuna quei vecchi maniacali e nostalgici, che avevano alle spalle soltanto un ceceno ostinato e un dubbio eroe «afghano», non erano più neanche l'ombra dei determinati marinai bolscevichi guidati con destrezza e mobilità nell'Ottobre del '17 dal comitato rivoluzionario di Trockij e di Lenin. E per for¬ tuna Elstin, mi dicevo, non era Kerenskij: il suo governo, «provvisorio» fino al 3 ottobre 1993, cessava di essere tale nel pomeriggio del 4 ottobre. La vera storia russa, sospesa e inceppata dall'agosto del '91 in un limbo torbido fra rigurgiti paleostalinisti e conati neoriformisti, potrà forse riprendere ora un corso più naturale. Intanto con la mente rivisitavo i tempi in cui fra il Kutuzovskij, l'Hotel Ucraina e il ponte sulla Moscova succedevano poche cose degne di nota dal punto di vista spettacolare. Questo nostro quartiere, alquanto eccentrico rispetto al Cremlino e alla Piazza Rossa, era allora come patinato da una tediosa e anemica serenità. Il rombo e le rovine del terremoto krascioviano non si udivano né si vedevano frequentemente in primo piano. 1 fragori, le esplosioni revisio¬ nistiche, le denunce antistaliniane, erano filtrati dalle riviste come «Novy Mir» che leggevamo avidamente, dai discorsi nei congressi chiusi che ci venivano sussurrati la sera o il giorno dopo da qualche soccorrevole collega comunista, dai pettegolezzi che sottovoce e di contrabbando ci venivano raccontati da un Erenburg o da Evtuscenko quando riuscivamo a incontrarli. Era una specie di cataclisma a singhiozzo, attutito, sordo, sotterraneo. La cacciata della mummia di Stalin dal Mausoleo nell'inverno del 1961 si svolse in un clima di mistero: fu in un'alba deserta che il cadavere imbalsamato del grande maestro del terrore sparì dalla cripta e si polverizzò chissà dove. Si potè capire meglio quel che era accaduto (ed era accaduto un atto sacrilego) allorché sul frontone d'alabastro del Mausoleo comparve, dopo l'eva- cuazione della mummia, un rudimentale cartello con la scritta laconica: «Zakryt dia remont», chiuso per ristrutturazione. Come se l'intera storia sovietica, in atto di ristrutturarsi, fosse stata sprangata a tempo indeterminato. Unico scandalo più visibile, più percettibile, in quei giorni di apocalisse segreta, fu l'improvvisa comparsa sulla Piazza Rossa, davanti al Mausoleo sconsacrato, di un figlio turbolento e loquace del generale Yakir, vittima illustre delle Grandi Purghe degli Anni Trenta. Il figlio del defunto generale gridò qualche frase sconnessa, lanciò un paio di maledizioni all'ombra di Stalin scomparso alla chetichella dal mausoleo, raccolse un piccolo assembramento di curiosi e agenti intorno ai suoi pugni sollevati nell'aria gelida; poi sparì e per qualche decen- nio non se ne seppe più nulla. Tipico episodio di quell'omeopatica destalinizzazione kruscioviana che voleva «ristrutturare» la storia russa senza scalfirla troppo in profondità, salvandone il quadro e gettando alle ortiche le cornice ormai scrostata e inutilizzabile. Tuttavia, è da quel momento, da quel lontano inverno del 1961, da quella seconda morte di Stalin, che il tarlo s'insinua nel tortuoso cunicolo del comunismo russo. Neppure la lunga glaciazione brezneviana riuscirà a placarne il lavorio e il rodio. Krusciov riemergerà prima nelle sembianze oscillanti di Gorbaciov e poi in quelle più coriacee di Elstin. A un certo punto, a partire dal fatale agosto di due anni or sono, la corsa verso l'uscita del tunnel si farà zigzagante ma aspra, impietosa, trafelata. Il nostro sonnolento quartiere intorno al Kutuzovskij cambierà a poco a poco faccia, carattere, antropologia, colore. La «casa bianca», simulacro d'ambigua transizione, diventerà prima il simbolo di una rinata democrazia parlamentare russa e quindi il ricordo di un resuscitato Soviet veterobolscevico. Da questa sera è anch'esso, come il Palazzo d'Inverno, un rudere bruciacchiato e sforacchiato della storia. Soltanto adesso m'accorgo di aver vissuto per anni, senza accorgermene, in un quartiere che un giorno doveva confondersi col capolinea della tragedia bolscevica russa. Enzo Bettiza Fianco a fianco le cattedrali staliniane e le nuove costruzioni borghesi dell'eretico Krusciov I militi del Kgb nelle loro garitte verdi controllavano il ghetto dorato di giornalisti e diplomatici 11 Due immagini dell'assalto compiuto ieri mattina contro la Casa Bianca A fianco Kruscev e Stalin Enzo Bettiza, di cui ih questi giorni è in libreria il romanzo «I fantasmi di Mosca», rievoca i luoghi della capitale, teatro della tragica rivolta, che conobbe negli Anni Sessanta quando era con ispondente de «La Stampa» dall'Ùrss.

Luoghi citati: Mosca, Ucraina