Dov'è finito l'impegno di Alberto PapuzziMarco Neirotti

Dov'è finito l'impegno Dov'è finito l'impegno Parlano Bocca, Bellocchio, Forcella "7T|OSTIENE Alberto Papuzzi zi: «E' il giornalista a proxtt durre le notizie, interprel i tando la realtà che racconb^L. I ta. Non deve essere un trascrittore fintamente obiettivo». E data la coscienza di questo ruolo di «creatori» al 1970, quando, sull'onda della strage di piazza Fonatana, nasceva U Movimento dei giornalisti democratici, deciso a «mettere in questione il tradizionale principio dell'obiettività, che era allora un criterio intoccabile». Che cosa ha significato quel periodo? Che cosa ne è rimasto? Tra i protagonisti del Movimento c'era Enzo Forcella: «Il '68 trovò nella cultura italiana e, soprattutto, in gran parte della stampa un atteggiamento di chiusura. Ciò spinse alcuni di noi a porre il problema. Fu una sorta di rivolta, che coinvolgeva soprattutto i giovani. L'establishment era centrista, le grandi firme stavano a guardare, tranne Bocca». E Bocca ribadisce il ruolo della crisi politica: «Erano gli anni della strage di Stato. Molti giornalisti sentirono rompersi quel rapporto con lo Stato che perfino durante il fascismo era rimasto di fiducia: nessuno nel Ventennio supponeva che un questore o un ufficiale mettessero bombe o aiutassero a nasconder i responsabili. Lì, per la prima v jlta, si capì che c'erano due Stati: uno ufficiale e uno che perseguiva fini politici. E questo si ripercosse nei giornali. Si ruppe anche l'aziendalismo: i redattori non si sentirono più legati come prima all'azienda, che era stata governativa. Il Movimento rappresentava chi non era più disposto a credere». Senza errori? «No. Qualunque cosa dicesse lo Stato, non si credeva più. Pinelli insegna: oggi si è tornati al suicidio, ma allora erano tutti contro Calabresi. Presto vennero altre divisioni. Accanto ai moderati, come ero io, c'erano i sessantottini. Il Movimento finì presto. Però quasi tutti li abbiamo ritrovati impegnati su "mani pulite": vuole dire che ci sono dati che non devono essere persi». «Pregi ed eccessi», dice Piergiorgio Bellocchio, fondatore dei Quaderni piacentini, che firmò come direttore responsabile Lotta continua per consentirne la pubblicazione e ne ricavò guai giudiziari. Sostiene Bellocchio: «Il giornalismo oggettivo è un mito. La novità di quegli anni è una ideologizzazione di sinistra, mentre prima era grossolanamente di destra. Portava un'apertura, un po' come nella giustizia accadde con i pretori d'assalto, che cominciavano a dar ragione agli operai». Ma si trattò di un momento di passaggio o nacque un nuovo giornalismo? ((Anche il giornalismo risente, beneficamente, dello scontro sociale, che viene alla luce e si impone alla coscienza. Ma dubito che il '70 abbia dato origine a una nuova generazione, salvo qualche caso. Ha anche creato un giornalismo d'assalto facile, che ha fatto più male che bene». Quanto ai tempi, Forcella afferma: «Quell'aria fu importante, ma la vera svolta avviene più tardi, nel '75 e '76, con la battaglia per il divorzio e le elezioni. E vengono anche le degenerazioni, gli opportunismi». Pregi e degenerazioni so no i poli del giudizio di Gianfranco Piazzesi: «L'impegno è sempre un fatto positivo, persino la faziosità può essere una strada per raggiun gere la verità. I guai cominciano dopo, quando gli innovatori sono assorbiti nelle strutture partitiche Non c'è nulla di peggio della faziosità organizzata». E che fine hanno fatto i «democratici», del '70? Piazzesi ride: «Si sono divisi, chi a de stra, chi a sinistra e qualcuno è perfino diventato un moderato. Ma gli è rimasto qualcosa in co mune: tutti hanno fatto carriera». Marco Neirotti Piazzesi: «A destra e a sinistra ma tutti in carriera»