Giornalisti le illusioni perdute di Alberto Papuzzi

il caso. In un manuale vi2i, doveri e inquietudini di una professione che si trasforma il caso. In un manuale vi2i, doveri e inquietudini di una professione che si trasforma Giornalisti, le illusioni perdute Da piazza Fontana alla teledipendenza Sta uscendo in questi giorni il Manuale del giornalista, tecniche e regole di un mestiere, di Alberto Papuzzi (Donzelli editore). Una guida discorsiva, fitta di esempi e riflessioni sull'obiettività, sull'onestà, sulla libertà di informare. Anticipiamo un brano sul «Movimento dei giornalisti democratici» (del quale facevano parte, tra gli altri, Bocca, Forcella, Scalfari, Gismondi), costituito nel 70, all'indomani delle bombe di piazza Fontana. /\ ITJALE bilancio fare di 11 quella breve stagione, in11 tensa, esplosiva, contrad11 dittoria, caotica, in cui i giornalisti italiani hanno \. riflettuto e discusso sulla loro condizione e sul loro ruolo, come poi non è più accaduto? Una parte di noi ha creduto allora che fosse giusto e fosse possibile fare del giornalista l'alfiere di un contropotere, sia all'interno delle aziende editoriali, sia nei confronti delle pubbliche istituzioni: che fine ha fatto quell'idea? Quanto era legittima e realistica? (...) Senza dubbio, quella cultura produsse anch'essa i suoi burocrati e i suoi servitorelli. Giornalisti che sostituivano al senso della notizia gli eufemismi ideologici e le frasi fatte, trasferendo acriticamente sulle pagine del giornale il linguaggio sessantottino. Anteponevano schematicamente le interpretazioni dottrinarie alla ricerca delle informazioni. E' difficile dire quanto il fenomeno fosse diffuso. (...) Secondo Giampaolo Pansa si visse una «grande illusione». Nelle redazioni si ripercosse la crisi di poteri che si era abbattuta sulle istituzioni del Paese (ricordo soltanto che nei primi sei mesi del 1970 cadono due governi Rumor, mentre alla Confindustria finisce l'era di Angelo Costa, presidente dal dopoguerra). Anche gli editori e i direttori fiutano il vento che cambia. Qualche anno più tardi, Piero Ottone, diventato direttore del Corriere della Sera, dichiarerà: «Oggi la libertà di un quotidiano è affidata anche a chi ci lavora e non soltanto ai proprietari. L'immagine del redattore passivo esecutore di ordini non la sostiene più nessuno». E Arrigo Levi, chiamato a sostituire Ronchey alla Stampa racconterà: «Io avevo le idee ben chiare fin dal primo momento: non avrei accettato, se non ci fosse stata, prima, una decisione positiva del comitato di redazione». La grande illusione era scambiare una fase di transizione - in cui giornali e giornalisti si adeguavano alle nuove condizioni della società italiana - con la conquista di una autonomia che rendesse i giornalisti liberi di scrivere, secondo le loro informazioni e convinzioni, a prescindere dagli interessi e dalla politica della proprietà. Il leader sindacale più autorevole di quegli anni, Raffaele Fiengo del Corriere della Sera, cita come esempio delle libertà conquistate dai redattori di via Solferino una serie di servizi contro l'automobile e la politica delle autostrade che il giornale aveva pubblicato «pur essendo per un terzo di proprietà del Gruppo Agnelli». Ma quei servizi escono nell'estate del 1973, in un periodo di crisi del vertice della Fiat, quando una parte della dirigenza studia la possibilità di ridurre il numero di automobili che escono amencani, a limitare annualmente dalle sue fabbriche e di convertire l'organizzazione verso prodotti meno maturi. L'errore di molti di noi fu che pensammo di aver vinto una guerra, mentre avevamo vinto soltanto alcune battaglie. Nel 1974 Fiengo - nonostante i successi sindacali ottenuti (fra cui la costituzione di una Società dei redattori del Corriere della Sera, che ha per compito anche la gestione dell'informazione) - confessa: «In realtà, dopo tanto parlare, il discorso sulla libertà di stampa in Italia è ancora tutto da fare». Tuttavia il 1970 segna comunque una svolta, rappresenta comunque un confine. Non si era conquista ta la libertà di stampa dei giornali ma si cominciavano abusi, censure, manipolazioni, contraffazioni. In tutte le testate, quelle nazionali e quelle di provincia, si avvertiva un cambiamento di clima e di cultura: le questioni relative alla libertà di stampa e al diritto all'informazione entravano nelle discussioni quotidiane dei redattori, mentre i vertici aziendali non riuscivano come in passato a esercitare un controllo paternalistico sulle vertenze. Una generazione di giornalisti si misurava dunque con la denuncia del malcostume, la contestazione del potere, i pezzi di società portati a galla da un diverso rapporto fra le classi, i nuovi movimenti politici e culturali. La tecnica si saldava con una maggiore indipendenza e con l'impegno civile. Si trasferiva nei quotidiani la lezione delle battaglie giornalistiche condotte da settimanali come II Mondo e L'Espresso. (...) Se l'assemblea milanese del 15 marzo 1970 non riuscì a dar vita ad autonome forme di rappresentanza, per cui il neonato movimento dei giornalisti democratici restò un progetto abortito, tuttavia restava un deposito specifico di esperienze e di ideali, che incise sul modo di fare i quotidiani e modificò l'immagine di sé che avevano i giornalisti. Occorre non ripetere l'errore che una parte di noi commise a quell'epoca: non si deve vedere nella figura del giornalista quella di un eroe dell'indipendenza e della verità, che combatte il potere e ci riscatta dal conformismo. Tale figura esiste soltanto nell'immaginazione romantica. Alberto Papuzzi uale del giornalista, tecniche e regole di onzelli editore). Una guida discorsiva, ettività, sull'onestà, sulla libertà di in«Movimento dei giornalisti democra gli altri, Bocca, Forcella, Scalfari, Gimani delle bombe di piazza Fontana. da sinistra: Gianfranco Piazzesi e Piergiorgio Bellocchio annualmente dalle sue fabbriche e di convertire l'organizzazione verso prodotti meno maturi. L'errore di molti di noi fu che pensammo di aver vinto una guerra, mentre avevamo vinto soltanto alcune battaglie. Nel 1974 Fiengo nonostante i successi sindacali ottenuti (fra cui la costituzione di una Società dei redattori del Corriere della Sera, che ha per compito anche la gestione dell'informazione) - confessa: «In realtà, dopo tanto parlare, il discorso sulla libertà di stampa in talia è ancora tutto da fare». Tuttavia il 1970 segna comunque una svolta, rappresenta comunque un confine. Non si era conquista ta la libertà di Qui accanto, Giorgio Bocca. Nelle foto sotto, da sinistra: Gianfranco Piazzesi e Piergiorgio Bellocchio

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