Si schianta in auto il «re della notte»

e' morto Sergio Bernardini, ex patron della Bussola e pigmalione di Mina e' morto Sergio Bernardini, ex patron della Bussola e pigmalione di Mina Si schianta in auto il «re della notte» L'incidente sull'autostrada Torino-Piacenza, aveva 68 anni Nel suo locale erano passati tutti i miti degli Anni Sessanta E' morto correndo, d'un colpo solo, la Bmw schiacciata contro il guard-rail. Sergio Bernardini aveva 68 anni e aveva scritto un pezzo piccolo della storia d'Italia dalla tolda di comando della Bussola, nel cuore della Versilia e nel cuore di un Paese che cercava di dimenticare in fretta gli stracci e le macerie della guerra. Alla fine, questo patriarca della notte è morto così, vicino ad Asti, sull'autostrada Piacenza-Torino, mentre correva a una festa - il matrimonio di suo nipote, Marco Bernardini, inviato di Tuttosport -, nel pomeriggio tempestoso di sabato, sotto un cielo di malto e la pioggia fitta. Adesso era un uomo un po' ingrossato, alto e diritto, e aveva capelli d'argento lunghi e scomposti, l'immagine di un uomo che guarda il mondo alla finestra. Era un vecchio signore che aveva fatto il suo tempo, come confessò lui una volta, e per questo si arrese. Sognava un posto per tanti amici, una pinta di birra e il whisky scozzese per tirare la notte dietro a un tavolino, sognava un'orchestra che suonava i lenti magari sotto la luna, e altre stelle da portare sotto il tendone, dopo Marlene Dietrich e Ginger Rogers, dopo Mina e Celentano. A Sergio Bernardini, «novecento amici da coccolare» non bastavano più. Ne voleva duemila, tremila, e la Bussola era diventata così piccola. Così, da uomo della notte si era trasformato in manager. Il suo nuovo regno era diventato quello di Bussoladomani, l'enorme tendone di Lido di Camaiore. Ma poi si ritirò anche da lì. Restò nel mondo dello spettacolo, ch'era il suo più di tanti altri. Continuò a tirar le 4 di ogni mattina, a ricordare gli anni struggenti, della grande musica e del successo. «I primi tempi», ricordò una volta, «evitavo persino di passare a fianco della Bussola in auto. Facevo giri larghi e un po' assurdi per evitare il lungomare». E ai giornalisti che ogni tanto andavano a trovarlo raccontava piccole storie lontane e confessioni amare. «Io non ho mai saputo diventare ricco», diceva sempre. «Verso gli Anni 70 Berlusconi che stava facendo Milano Due mi chiamò e mi disse: io le faccio una Bussola come vuole lei ed è sua finché la gestisce. Io risposi di no. E lui mi guardò: Ma come, non si ricorda di me, quando veniva a salutare Carosone alla Porta d'Oro? Ero nell'orchestrina che gli faceva da supporto, io al contrabbasso, Confalonieri al pianoforte». Certo, Bernardini aveva davvero creato un tempio e la sua memoria era in fondo quella di un'epoca. L'Italia, allora, passò di lì. E' sicuramente esagerato attribuire a un music-hall significati superiori a quelli che contiene ogni storia minore. La Bussola di Bernardini non è stata né l'Italia, né la Toscana, né tutta la Versilia. Però è innegabile che gli Anni 50 e 60 hanno avuto in questo locale lo spec¬ chio magari deformante di una realtà nuova e diversa. La Bussola esaltò il totem del danaro facile, la voglia spendacciona degli arricchiti, il gusto della festa e del consumo. Nacque alla Focetta, la Bussola, che nel dopoguerra era una zona semideserta. Due fratelli, Aldo e Augusto Benelli, decisero di investir¬ ci un po' di milioni. Per attirare la gente, per convincerli a comprare lì vicino, pensarono a un locale di grido. Il nome prescelto fu Bussola, perché allora si diceva che Focette era un posto così fuori mano da poter essere trovato solo con la bussola, appunto. E' il 1948. Ma il successo non c'è. In quegli anni, come raccontò Bernardini, lui faceva jazz, «con Piero Angela al pianoforte, Gigi Marsico, futuro radiocronista, alla chitarra, Max Brauns, figlio di un grande dirigente della Fiat, alla batteria. E al clarinetto Piero Farinelli». Un complesso tutto torinese. Perché Bernardini è nato a Parigi, ma ha passato 20 anni della sua vita a Torino. E nel '54 si realizza il sogno della sua vita. La Bussola gli viene offerta su un vassoio d'argento. Serve un'orchestra in grado di battere tutti gli altri. Bernardini punta su Renato Carosone. E per convincerlo gli offre 160 mila lire a sera. Affare fatto. Gegé alla batteria, Piero Pizzigoni, Riccardo Rauchi e Claudio Bernardini: «Maruzzella» è la canzone dell'estate. Il successo è arrivato. Poi, ogni estate si cambia. Ecco, via via, Aznavour, Giorgio Gaber, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald. Passano le roventi stagioni di Mina, il suono struggente della tromba di Chet Baker, le paure di Celentano. Gino Paoli che insulta il pubblico perché non ha capito la bellezza di una canzone di Jacques Brel, Maurice Chevalier a seimila dollari per sera con la prima interrogazione parlamentare. E poi, Marlene Dietrich che fa le bizze, vuole il camerino tutto imbiancato, la moquette per terra, e poi non le basta ancora, e il patron allora minaccia di portarle via tutte le pellicce di visone bianco se lei non si decide. Tutto finito. Guardatevi intorno, ora. I ragazzi fanno la coda alla Canniccia, al Victoria, riempiono disordinatamente i piazzali sul lungomare. Clacson e urla, odori di fritto e di mare. E lui, proprio poco tempo fa, diceva così: «La verità è che la Bussola di quegli anni non ha più senso adesso e i rimpianti non servono a niente. Allora si trattava di coccolare mille o duemila persone per una stagione intera che durava 4 mesi: erano sempre le stesse persone, era l'Italia che veniva dalla guerra e aveva tanta voglia di divertirsi. Oggi bisogna coccolarne milioni in 40 giorni. Io non avrei saputo cambiare e mi sono fatto da parte...» E il vecchio signore si lisciava i capelli d'argento. Pierangelo Sapegno Aveva cominciato nel '54 con Carosone Poi Aznavour e Gaber e la grande Dietrich A sinistra Sergio Bernardini, qui accanto Mina. Sopra la «Bussola»