OSSERVATORIO di Aldo Rizzo

1 OSSERVATORIO Un seggio per la Cee nel governo delVOnu OPO la prima settimana di dibattito all'Assemblea generale, si può fare un bilancio su due punti essenziali per l'Onu: le missioni di pace e la riforma del Consiglio di sicurezza (l'organo centrale, il solo dotato di veri poteri). Il tema è il futuro stesso delle Nazioni Unite, alle soglie del XXI secolo. Missioni di pace vuol dire anzitutto Somalia, dove, più che la pace, si vede la guerra, almeno a Mogadiscio. La guerra, in verità, la fanno, o almeno la promuovono, i miliziani di Aidid, ma l'Onu non è stata capace finora di una risposta «politica», e le sue pesanti rappresaglie militari minacciano di fare della banda di Aidid il punto di forza di un nazionalismo anarchico. Che potrebbe, di questo passo, avere la meglio sull'Onu e decretarne un'umiliante sconfitta. E qui bisogna dire che l'Italia ha riportato un indubbio successo, col discorso di Andreatta, misurato nei toni, ma deciso nella sostanza, cioè sulla necessità che la missione delle Nazioni Unite recuperi o elabori una strategia politica, ben al di là di una caccia all'uomo. Il nostro ministro degli Esteri ha riconosciuto l'importanza di un comando unico e di un'esecuzione coerente delle operazioni militari (un terreno sul quale abbiamo forse peccato); ma ha ribadito l'assoluta priorità di un «lavoro» politico, di ricucitura nazionale, da affidare a un mediatore internazionale, possibilmente lui stesso africano. Clinton ha avallato questa linea e l'ha estesa a tutto il problema delle missioni di pace dell'Onu. Che, per essere realistiche ed efficaci, non possono essere indiscriminate, ma vagliate di volta in volta con molta cura: negli obiettivi, nei modi di uscirne, nei costi. Certo, valutazioni di questo genere non sono facili, non sempre si-può capire dove si va a parare, quando si entra in situazioni complicate, in un clima di emergenza. Ma l'invito è alla prudenza, perché non ci siano altre Somalie, e perché sia preservata la credibilità dell'Onu. Un invito, purtroppo, non recepito nel modo giusto dal segretario generale Boutros Ghali, che conferma una certa contraddittorietà di carattere, o magari un contrasto in lui tra lo ^rLui slancio «internazionalista» e la capacità di pacate analisi politiche. L'altro punto è la riforma del Consiglio di sicurezza, per renderlo più rappresentativo della mutata situazione del mondo. E qui si pone anzitutto il problema se farvi entrare la seconda e la terza potenza economica mondiale, cioè il Giappone e la Germania. La risposta sembrerebbe ovvia, a parte la necessità, per entrambi i Paesi, di rivedere la propria Costituzione, per quanto riguarda gli impegni militari. Ma se l'America è favorevole, in linea di principio, nicchiano gli altri detentori del diritto di veto, che temono una riduzione del loro potere. Anche su questo c'è una proposta italiana, illustrata da Andreatta, per una specie di Senato dell'Onu: 14-15 Paesi medio-grandi, che entrerebbero a rotazione nel Consiglio di sicurezza. Può essere una soluzione, almeno transitoria? Onestà vuole che si dica che anche l'Italia ha le sue fobie. E una è quella di restare il solo dei quattro grandi Paesi delta Cee fuori dal Consiglio di sicurezza. E' comprensibile, ma il problema reale a me sembra un altro. Non bisogna mitizzare il Consiglio di sicurezza, esso funziona solo da quando è crollato il sistema comunista, può tornare a non funzionare nel caso (deprecabile, ma non imprevedibile) di un cambio di potere e di linea a Mosca e a Pechino. Il Consiglio non è il governo mondiale, ma lo specchio dei rapporti di forza nel mondo. E allora non è così importante che vi entri la Germania e non l'Italia. Importante sarebbe che vi entrasse, al posto dei suoi singoli membri, la Comunità europea, con tutto il suo potere contrattuale e stabilizzante, anche ai fini delle missioni di pace. Immagino che Andreatta, al fondo, la pensi allo stesso modo. Ma l'Europa ce la farà? Aldo Rizzo :zoJ

Persone citate: Aidid, Andreatta, Boutros Ghali, Clinton