Con lu fiumano rossa all'assalto di Mosca

Battaglia nella capitale: almeno 32 morti. Nella notte i blindati cacciano i ribelli dall'emittente Battaglia nella capitale: almeno 32 morti. Nella notte i blindati cacciano i ribelli dall'emittente Con lu fiumano rossa all'assalto di Mosca Cedono subito le difese della polizia, assediata la tv MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Camminano sul sangue, sui vetri rotti, sui mattoni sbriciolati, hanno le facce rosse da ragazzini, la testa china, lo scudo abbassato, gli sputano addosso, gli gridano «bravi», il giubbotto antiproiettile che penzola da una parte, l'elemetto sghembo. Alle 14,30 la divisione Dzerzhinskij si arrende. Il vecchio colonnello comunista si avvicina all'uomo con le stellette, gli mette una mano alla gola, gli strappa il colletto: «Bastardo, sei un ufficiale: perchè ti sei messo contro il popolo?» Lui quasi non alza gli occhi: «Signor colonnello, lei sa cosa sono gli ordini». E poi: «Ma adesso io sono qui». Il giorno di sangue e di morte, a Mosca, cambia di segno proprio in questo istante. Duecento militari della divisione scelta del ministero degli Interni passano dalla parte del parlamento. Siamo sotto la Casa Bianca, ancora si sentono i colpi di pistola, le raffiche, un odore smorzato di lacrimogeni. Si sentono le grida della gente: «Vittoria». Arrivano i camion militari presi al nemico: hanno i vetri in briciole, sventolano le bandiere rosse. Ci sono i vecchi con la testa rotta, il sangue che cola, fazzoletti e tamponi sporchi. Soldati a terra. I ragazzi della Casa Bianca hanno preso gli scudi ai poliziotti: gli uomini di Eltsin si sono arresi. Li vediamo laggiù, sul ponte del Kutuzovskij, ben lontani dalla gente. Dalla Kalinina sfila il popolo di Khasbulatov e loro si tengono lontani. Un ufficiale li mette in fila: «Battete i manganelli sullo scudo e andiamo all'assalto urlando». I ragazzi ci provano. Ma non esce un urlo dalla loro bocca, solo un sottile: «Oh». Fanno tre passi, stop. La mattinata è finita, Ruzkoi dice di assaltare il municipio: «Subito, non perdiamo tempo. E poi andiamo ad Ostankino». Non ci vuole molto per organizzarsi. Sei o sette camion presi ai militari si riempiono. Hanno la bandiera rossa. La gente applaude quando partono e rischia di farsi travolgere. Sotto le tende strappate si vedono i soldati: sono quelli del parlamento, alzano i kalashnikov in segno di vittoria. Vanno alla sede della tivù. Ci arrivano alle 4. E subito attaccano, da professionisti. Il portone del grande palazzo salta con una granata, poi viene sfondato da un camion; da dentro partono i colpi. Gli uomini di Rutzkoi strisciano per terra, si scansano, sono decisi. E' il momento più grave della domenica di Mosca: cinque ore di sparatorie, cento feriti, otto morti che bisogna aggiungere agli altri ventiquattro sparsi per la città E il conto non è chiuso. Alle 19,30 in punto Ostankino è oscurata: tre dei quattro canali della televisione di stato, svaniscono nell'etere. Solo monitor silenziosi. L'unico che sopravvive trasmette pubblicità della Le go per 20 minuti. Alle 8 in punto, come sempre, comincia il tg. Ap pare un giovane giornalista, ha il nodo della cravatta allentato, dietro le spalle solo uno sfondo azzurro, tra le mani le notizie di agenzia. Il contrattacco degli uomini di Eltsin è cominciato. A mezzanotte Ostankino sarà ripresa sotto il controllo delle truppe governative. Il grande palazzo appare bombardato, le lampade della tivù illuminano un impasto di vetri e di sangue. E' cominciato tutto suU'Oktiaberskaja, alla fine di una mattinata piena di sole e di aria leggera. L'uscita della metropolitana sulla grande piazza, dove il monumento a Lenin sopravvive al comunismo, in poco meno di mezz'ora ha riversato migliaia di persone. All'una erano già 20 mila che senza troppi indugi ha preso a marciare sul kalzò, la circonvallazione interna di Mosca. Dopo 3 cento metri il primo schieramento di polizia. Uomini con scuJi, elemetti, giubbotti antiproiettile. La gente non si ferma, i poliziotti sono disposti su due file. Troppo pochi. L'urto è violento, in pochi minuti i militari sono in rotta. I dimostranti avanzano, sono quelli che abbiamo visto sabato pomeriggio alzare le barricate sulla Smolenskaja. Nelle prime file ci sono uomini di 3040 anni. Hanno i bastoni. Dietro c'è la gente, popolo, giovani, ma anche donne, anziani, con le borse, le scarpe vecchie, le giacche a vento grigie. Non vediamo armi. Chi è questa gente che rompe l'immagine di una Mosca indif¬ ferente? Dodici giorni di assedio sono serviti a Rutzkoi e Khasbulatov per mettere insieme un qualcosa che assomiglia ad un esercito popolare. La Casa Bianca in questi giorni ha funzionato da calamita per tutti gli scontenti, disadattati, poveri, emarginati. Ma anche per ragazzoni capaci di usare le armi e di maneggiare con disinvoltura il kalashnikov. Alcuni ci hanno detto di venire dal battaglione Dniestr, altri di aver fatto parte degli omon di Riga. Ci sono dei cosacchi con i baffi, la barba, le divise e la frusta infilata negli stivali. Ragazzi con l'orecchino, paracadutisti, marmai. Uno con barba rossa e pistola nella cintura ci ha detto di essere un ufficiale del Kgb. Dietro a quest'avanguardia c'è però la gente normale, giovani che hanno difeso la Casa Bianca del putch dei comunisti due anni fa e che adesso sono delusi da Eltsin, operai, impiegati, tecnici, come quell'ingegnere di una fabbrica di aerei che sabato costruiva le barricate sulla Smolenskaja, insegnanti, quell'universo timido e grigio la cui vita dipende per intero dallo Stato ex onnipotente e che si trova ora ad avere redditi da fame, bruciati dall'inflazione e dalla liberalizzazione selvaggia dei prezzi. Ci sono i vecchi nostalgici, le babushke che portano il santino di Gesù accanto alla foto di Lenin o di Stalin e cantano: «Il mio paese è grande». Vecchi temerari che abbiamo visto affrontare con le mani nude soldati corazzati dentro i giubbotti antiproiettile e lo scudo di lamiera. Alla Smolenskaja, che ancora brucia del sangue di sabato, i poliziotti e gli omon sono schierati in forza. Dietro di loro ci sono camion, idranti, un blindato. La folla marcia, senza fermarsi un solo momento. Dalle punte dei fucili partono i gas lacrimogeni. Il fumo ci investe, ma non fa quasi niente. A Mosca c'è sempre il vento e questa mattina soffia dalla parte della gente. Si sente l'odore acre, qualcuno si alza il fazzoletto sul naso, ma non ce n'è bisogno: nessun occhio lacrima. Siamo allo scontro. Molti hanno gli scudi strappati ai poliziotti, la gente ha i bastoni, i miliziani si piegano, sembrano volerci circondare. Volano pietre. E' una sassaiola selvaggia. Dai lati delle strade, dai portoni, dagli angoli, dal ventre putrefatto di Mosca esce di tutto: mattoni sbrecciati, pietre, sassi, pezzi di legno, di ferro. E' la gente che li offre ai combattenti: ognuno strappa un pezzo di qualcosa e lo porta a chi sa tirare meglio. Vediamo vecchietti e vecchiette con la borsa della spesa da una parte e un sasso nell'altra. I militari indietreggiano: hanno le facce da ragazzi e si capisce che hanno paura. Ci sono quelli che si inginocchiano e si riparano sotto lo scudo. Si sente il tonfo delle pietre che battono sulla lamiera. I camion della polizia cercano di scappare, due auto dei militari si scontrano nella fuga. Vengono prese. La gente sale sui camion, qualche soldato scappa, qualcun'altro resta e si unisce alla gente. Adesso la colonna può marciare sulla Casa Bianca: in testa c'è un camion grigio-verde, i vetri rotti, ma la bandiera rossa che sventola dal finestrino. Quando arriviamo sulla Kali- nina, a due passi dal xarlamento, i soldati si sono già ritirati sul ponte Kutuzovskij, la via è libera. La prima linea afferra la lunga catena di filo spinato messo una settimana fa dai soldati di Eltsin intorno al parlamento, la sposta verso i soldati: i militari ci inciampano scappando. Parte l'attacco al municipio, che sta nel grande grattacielo di fronte alla Casa Bianca e dove una volta c'era la sede del Comecon. Qui si spara. Le vetrate si sbriciolano sotto i colpi. Da dentro partono le raffiche: ma dura poco. E' l'una e mezza quando esce un gruppo di soldati che si arrende. E qualche minuto dopo compare la faccia di Shaknovskij, uno dei vicesindaci, quello che andava più spesso in televisione a spiegare come si vive bene a Mosca. La gente lo riconosce, lo strattona, gli sputano in faccia, gli danno una manganellata in testa. Sembra che le cose si mettano male, quando un colpo di pistola sparato per aria, blocca tutti. Compare Ilja Konstantinov, il leader del Fronte di Salvezza nazionale, uno dei capi della rivolta: «Fermi, lo prendo io: non siete mica matti, non fategli male». E se ne vanno. Siamo sotto la Casa Bianca, ci saranno ventimila persone, ma fiumi di gente arrivano da tutte le parti, molti vecchi, coppie di fidanzati, i ragazzi che a colpi di martello sulla pietra staccano pezzi di filo spinato e li regalano alla gente come souvenir: «C'è scritto made in Usa», dice uno ridendo. Il microfono del terrazzo si accende con un gracchio fortissimo, poi arriva la voce di un uomo: «Questa domenica che ci ha mandato il sole è la domenica della Resurrezione della Russia: fratelli, Cristo è risorto anche oggi. Evviva la grande Russia». Evviva, rispondono. Alle 6 in punto Ruslan Khasbulatov entra nella sala del parlamento tra gli applausi di 250 deputati. Le donne lo abbracciano e lo baciano, gli uomini posano l'elmetto sul banco, ad ogni ingresso della sala ci sono ragazzi armati di mitra: «Abbiamo preso Ostankino, stanotte prendiamo il Cremlino». Urrah. Infuria la battaglia alla sede della tivù, ma a poco a poco la situazione si capovolge. I blindati portano soldati a Ostankino: l'attacco ai rivoltosi è furibondo. Una folla di democratici si riversa intorno al Mossoviet, la sede centrale del municipio di Mosca. Il premier Cernomyrdin appare in televisione e annuncia l'arrivo dell'esercito: «Lo facciamo per difendervi. In 24 ore l'ordine deve tornare in città». La Casa Bianca riprecipita nel buio. Rutzkoi ordina il coprifuoco: nessuno deve muoversi intorno, si spara a vista. Alle 2 il primo carrarmato appare sulla Kalinina con 10 blindati. I soldati sono sulle torrette col mitra in mano. Un gruppo di ragazzi col tricolore russo si avvicina: «Sciacciate i comunisti, porca puttana». Il soldato fa segno di sì con una smorfia. Aspettiamo l'attacco. Cesare Martinetti Guidavano l'attacco reduci e commandos dietro, gente comune erano ventimila LA BATTAGLIA DI MOSCA 15,30 I DIMOSTRANTI FORZANO IL BLOCCO DEL PARLAMENTO ISTITUITO DAI LEALISTI DI ELTSIN DAL 21 SETTEMBRE. DUE SOLDATI VENGONO UCCISI 16,00 RUTSK0I ESCE DALLA CASA BIANCA E INCITA I MANIFESTANTI A IMPADRONIRSI DEL MUNICIPIO DI MOSCA E DELLA TV COMUNITARIA DI OSTANKINO 17,45 MOSSESI DAL PARLAMENTO, ALCUNE CENTINAIA DI DIMOSTRANTI ARRIVANO DAVANTI ALLA TELEVISIONE, CON CAMION E BLINDATI. LA TV SOSPENDE LE TRASMISSIONI DEL PRIMO CANALE. 20,57 I MILITARI RICONQUISTANO LATV. 20,42 I DIMOSTRANTI CONQUISTANO LA SEDE DELLA TASS 21.10 LE TRUPPE DI ELTSIN RIPRENDONO L'AGENZIA 22 16,20 IL MUNICIPIO DI MOSCA E' OCCUPATO DAI MANIFESTANTI MENTRE INTORNO AL PARLAMENTO, SI SCHIERANO I RINFORZI DI POLIZIA E UOMINI DEL MINISTERO DELL'INTERNO 18,00 ELTSIN PROCLAMA LO STATO D'EMERGENZA. 18,20 ELTSIN ARRIVA, IN ELICOTTERO, AL CREMLINO SPRANGATO IN TUTTI ISUOI ACCESSI. UNO DEI COMANDANTI DELLA GUARNIGIONE CHE PROTEGGE IL < PALAZZO DEL POTERE;. ANNUNCIA CHE IL SUO REGGIMENTO E' STATO MESSO IN ALLARME. I ribelli sfondano il cordone di polizia al Parlamento. A fianco, Eltsin