Gaber, il mondo salvato dalla famiglia di Masolino D'amico

Gaber, il mondo salvato dalla famiglia L'attore al Piccolo di Milano nel monologo scritto con Luporini «Il Dio bambino» Gaber, il mondo salvato dalla famiglia Ottima interpretazione di un testo un po' riduttivo MILANO. Il protagonista del «Dio bambino», monologo di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, è mi intellettuale (professore d'università) che si domanda dove può avere sbagliato, rilevando, nel momento più brillante del copione, che la vita è un po' come le equazioni che si facevano a scuola: una piccola disattenzione, un più al posto di un meno, e poi più si va avanti, più i risultati diventano catastrofici. Per tentare di rispondere a questo interrogativo retorico il soliloquente ripercorre le tappe del suo rapporto coniugale, da quando si rese conto di amare la sua futura moglie ma goffamente se la fece portar via da un collega, a quando finalmente la conquistò durante uno stracco convegno di dotti a lagnano Sabbiadoro, a quando, passati anni di felicità senza storia e nato un frugoletto, la passione nella coppia cominciò a ristagnare, e lei si fece cogliere in flagrante adulte¬ rio; anche il nostro cominciò allora ad avere awenturette senza importanza. Poi però, senza volerlo, lei si ritrovò incinta (di lui, o comunque lui signorilmente non si pone il problema); e davanti alla freddezza del coniuge in proposito, fu còlta da crisi di disperazione, giungendo a minacciare il suicidio. Finché lui, cercando lei che è sparita e temendo il peggio, non la rintraccia nascosta nella casetta di campagna, proprio mentre le si stanno rompendo le acque; e diventa ostetrico di fortuna. La drammatica nascita di questo bambino, il cui racconto concitato costituisce il clou della serata, ha il merito di scuotere lui dal torpore; di ridargli voglia di battersi, di credere in qualcosa. Il racconto si conclude così; non è forse la risposta definitiva, ma è, almeno, una speranza per il futuro. Davanti all'invasione di intrattenitori che cavalcando la diffusa insoddisfazione per la cattiva qualità dell'esistenza si. fanno portavoce dello sdegno per Tangentopoli, per la Bosnia, per la Somalia e via dicendo, magari senza peritarsi di elargirci anche la loro ricetta per rimettere le cose a posto, sarò l'ultimo a rammaricarmi per il pudore con cui nel suo assolo Gaber parla, invece, di privato, di sentimenti, di pulsioni fondamentali verso la donna e verso la famiglia. Allo stesso però non posso fare a meno di trovare un po' riduttivo questo indicare tutto il succo dell'esperienza umana nell'alleanza con un essere di sesso opposto; trovo anche un po' ingenua, anche se teatralmente efficace, la nascita in diretta come rivelazione del vero senso della vita. Da una generazione ormai i mariti americani sono costretti dalle mogli a entrare in sala parto e vedere coi loro occhi, senza che ciò gli abbia mai impedito di cambiare compagna non appena ne sentano la necessità. E per il resto, possibile che quest'uomo non si interessi mai di niente se non di giocare a freccette al bar? Il suo lavoro è veramente così arido da meritarsi di essere nominato solo con ironia (vedi il libro che egli sta perennemente scrivendo, e che quando esce nessuno legge)? La questione non è piccola. Se infatti il male del maschio metropolitano odierno è questa mancanza di obiettivi, come possiamo credere che per smettere di gingillarsi e diventare finalmente adulto costui debba mettere al mondo altre creature a propria immagine e somiglianza? Ma per quanto poco persuasi¬ vo il testo possa sembrare, quello che conta è il suo dare occasione al solito simpatico, elegante, coordinato Gaber - malgrado, questa volta, una cotonatura che lo rende un po' robotico fin quando il sudore del gran pezzo col parto non la scioglie, e malgrado un pesante e sicuramente superfluo microfono da crooner - di dargli occasione, dicevo, per esibirsi in spiritose denunce di vitarella, con la descrizione del succitato convegno, di un anti¬ patico rivale che balla con la concupita Cristiana, di una fantozziana gita in campagna, di un'awenturetta andata comicamente a monte, e via dicendo: i fans hanno di che gioire, e infatti hanno gioito moltissimo, e spesso applaudito a scena aperta al Piccolo, dove il loro beniamino rimarrà fino al 31 ottobre. La confezione, eccellente, ripete la formula di altri one-man-shows dell'attore-autore-cantautore: scena semplice, pochi mobili e fondale disponibile a cambiare colore con le luci (ottime, di Marco Benetti), musiche (dello stesso Gaber, come la scena e la regia) che sottolineano efficacemente i passaggi di situazione e di umore; grande fluidità e leggerezza del tutto. Durata forse eccessiva (60' il primo tempo, quasi 50' il secondo) data l'unicità dell'argomento; ma esito indubbiamente trionfale. Masolino d'Amico Giorgio Gaber in un momento dello spettacolo: un intellettuale riscopre e ricostruisce il rapporto con la moglie

Persone citate: Benetti, Gaber, Giorgio Gaber, Luporini, Sandro Luporini

Luoghi citati: Milano, Somalia