E il dio-Dalì creò l'opera di Fabio Galvano
Scoperto un suo melodramma Scoperto un suo melodramma E il dio-Dali creò l'opera LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La creazione dell'universo in musica, firmata dal dio Dali. Dalle tenebre del surrealismo affiora dopo quasi vent'anni, nota soltanto ai più stretti collaboratori dell'artista catalano, un'opera lirica - anzi «un'opera-poema in sei parti», secondo la definizione dell'autore - che affronta l'incubo della morte, il sogno dell'immortalità e la psicosi dell'essere. Affiora in compact disc, in attesa di una prima teatrale che potrebbe avvenire a San Pietroburgo e coincidere, fra due anni, con le celebrazioni per il centenario della nascita di Dali. E prima che il disco compaia nei negozi inglesi, dopo un esordio tedesco quasi in sordina, il mondo delle arti è già scosso: più divertito che incredulo, più incredulo che scandalizzato. Perché l'opera di Dali - il titolo è significativo, Etre Dieu, essere Dio - sta alle opere di Verdi e di Puccini come i suoi quadri stavano ai capolavori di Leonardo e di Raffaello. E', in sostanza, un pastiche d'immagini, frutto della sua fantasia visionaria. Caterina la Grande e Marilyn Monroe impegnate in uno spogliarello, Brigitte Bardot che si trasforma in carciofo, il Vaticano spazzato dalle cascate del Niagara, un angelo che strappa dalle cornici cinque milioni di dipinti non sono che alcune delle scene surreali di un sogno sconvolgente. Il sogno, appunto, del dio Dali. Stanco dopo avere creato il mondo, il dio-pittore sonnecchia e sogna: quanto basta per decidere, al risveglio, che tutto considerato la creazione è una sciocchezza. Al che l'universo s'infuria per quell'atteggiamento blasfemo e Dali - non più dio ma ormai uomo - riesce a stento a salvare la pelle. Anche musicalmente Etre Dieu è un pastiche. Dali, che musicista non era, aveva affidato il libretto - opera dello scrittore spagnolo Manuel Vàzquez Montalbàn - al compositore Igor Wa- khevitch. E questi, prima di scomparire qualche anno dopo in India, alla ricerca hippy della felicità, aveva prodotto una girandola musicale che raccoglie canti gregoriani e musica rock, filastrocche catalane e ottoni da banda cittadina, più rumori di specchi rotti, ticchettii d'orologio, canzonette Anni Cinquanta (lo stesso Dali si esibisce nel coro di Singing in the Bain). Secondo il pittore austriaco Ernst Fuchs, uno dei più stretti collaboratori di Dali, non ci sono dubbi sull'autenticità dell'opera. Registrata a Parigi nel 1974, con la partecipazione dello stesso Dali che presta la voce al suo alter ego divino, era scomparsa perché l'artista catalano - volubile e lunatico - a lavoro finito aveva perso ogni interesse. In Spagna era stata venduta una ristretta edizione discografica. Ma l'opera era stata per decenni nelle intenzioni di Dali. Nel suo romanzo «Le facce nascoste» egli accennava alle discussioni con Federico Garcia Lorca, seduti nel 1927 a un tavolino del Café Regina, a Madrid. Ma il poeta morì poco dopo. E soltanto nel 1962, racconta Fuchs, Dali riprese in mano il progetto. «Provava una grande delusione per il fatto di non essere divino», ricorda l'artista austriaco: «Si consolava al pensiero che, se fosse stato Dio, non avrebbe potuto essere Dali; ed essere Dali significava tutto, per lui». La scrittrice Meredith Etherington-Smith, autrice di una ponderosa biografia di Dali, dice di cadere dalle nuvole, di non avere mai sentito parlare di Etre Dieu. Ma Wolf Urban, direttore della casa discografica tedesca che ha recuperato la registrazione, non ha dubbi: gli accertamenti svolti in Spagna e in Francia, egli dice, confermano l'autenticità dell'opera. L'inevitabile controversia non farà che garantirne il successo. Fabio Galvano
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