Mariotto s'arruola coi kennediani Ma resta indeciso tra JFK e Sfurzo

Mariotto s'arruola coi kennediani Ma resta indeciso tra JFK e Sfurio Mariotto s'arruola coi kennediani Ma resta indeciso tra JFK e Sfurio LE NUOVE FRONTIERE ARLOTTO aveva fatto un sogno... Proprio Icome Martin Luther King. Aveva sognato Kennedy e s'è imbattuto in D'Alema. Languori kennediani e platea fervida a Caltagirone, provincia di Catania, patria di don Luigi Sturzo, ma anche del meno citato Mario Sceiba. Il Nuovo in politica, dunque, non può proprio fare a meno di miti? Pare proprio di no, e il mito forestiero vale quanto e più di quello nostrano. Applausi per Sturzo, applausi per De Gasperi, ovazione per Kennedy. Ma che vuol dire cercare Kennedy quando, a parole, tutti lo cercano e con scopi diversi o animo poco limpido? Lo cerca Occhetto, disamorato in un baleno di Bill Clinton; lo invoca Veltroni, non lo disprezza affatto, almeno per stili di vita, Massimo D'Alema, che pure Segni ha voluto indicare al pubblico ludibrio di Caltagirone come la personificazione dell'antikennedismo. Mariotto - bisogna dirlo sul kennedismo è sincero. Il 22 novembre 1963, quando il presidente fu ucciso, lui, ventiquattrenne, frequentava i corridoi del Quirinale, dove suo padre Antonio si sentiva prigioniero e terrorizzato (ne morirà pochi mesi dopo) dalla prospettiva di un Paese preda del centrosinistra. «E' una gravissima perdita per tutta l'umanità» dichiarò il Segni Capo dello Stato, che forse lo pensava, ma che se non ne era proprio convinto godeva comunque della granitica certezza del figlio. Valutare i segni esteriori, gli stili di vita, i tic, le passioni personali e familiari qui da noi è considerato quasi un'ingiuria alla politica, che dev'essere aulica, fatta soltanto di idee, di parole, di grandi principi. Allora sentite come il 21 luglio del 1960 Indro Montanelli sul Corriere presentava il giovane Kennedy, e poi fate un confronto con l'immagine che Mariotto Segni ha costruito di sé, pur con discrezione, in tutta la stagione referendaria. «Forse John Kennedy - scriveva Montanelli sarà un grande affare per gli Stati Uniti che con ogni probabilità lo eleggeranno Presidente, ma non lo è di certo per la sua famiglia. Da quan- do egli decise di puntare alla Casa Bianca tutti i Kennedy ascendenti, discendenti e collaterali - vennero da lui arruolati nella crociata, e da quel giorno non ci furono più per loro affari privati che tenessero». Sembra proprio la stessa condanna dei Segni: tutti arruolati. Quando Mariotto si buttò in politica riunì tutta la famiglia. Oggi la moglie Vicky lo segue come un'ombra, ma almeno non propone riforme come fa la più ingombrante Hillary Clinton, cui è stata paragonata con sua grande indignazione, e le figlie - raccontano i biografi - si danno da fare come possono: Laura al centralino, Cristina alla rassegna stampa, Lucia alla posta. Il ceppo borghese, il denaro («Ma in quantità sarde, non milanesi», si giustifica lui), perfino la vela e Stintine come fosse Newport. Mariotto - bisogna dargli atto - è un kennediano doc. E gli altri, quelli di Alleanza Democratica (richiama l'Alleanza per il Progresso fondata da Kennedy nel 1961): possiamo forse non dirli kennediani? Che cosa gli manca? Cosa manca ad Adornato? Cosa ad Ayala? Diciamolo, Willer Bordon, almeno per l'abbigliamento, è più su un filone carteriano, ma lo stesso D'Alema, tolti i revers della giacca un po' troppo larghi, in fondo che ha mai da invidiare allo sconfinato popolo kennediano? Non si scherza con i santi, lo sappiamo, ma se il Nuovo s'impantana sulle mitologie ne sarà rapidamente inghiottito. Con Kennedy ci provò già, un secolo fa, Claudio Martelli, che aveva anche il tipo fisico e le camicie coi bottoncini, con la società dei meriti e dei bisogni. E sappiamo com'è finita. Ma oggi a che cosa può servire qualche sogno di conciliazione universale per ricostruire l'Italia dei Curtò e dei Duilio Poggiolini? Se Mariotto Segni, dopo trent'anni, cerca Kennedy e trova D'Alema, forse è anche un po' colpa sua. Walter Veltroni, autore di un libro sui Kennedy e perciò non sospettabile come D'Alema, sostiene che Kennedy (ma si riferisce più specificamente a Bob) inseguiva un modello di svi¬ luppo sociale che è davvero l'altra faccia della medaglia del laissez fair e reganiano. Richiedeva uno Stato non interventista, ma «suscitatore, pianificatore, finalizzatore e richiamava la necessità di una sapiente utilizzazione delle leve fiscali per accendere la possibilità di investimenti privati per lo sviluppo». E' così che intende la frontiera sociale oggi in Italia il cattolico-liberal Mariotto Segni? O la sua visione è un po più liberal che cattolica, come dicono tutti quei suoi ex compagni dì strada democristiani, in testa Sbardella, ma anche De Mita, che ne fanno il paladino dell'industrialismo, dell'alta finanza e dell'alta banca, di regole di mercato più definite, in una parola l'interprete politico di Cuccia? Se è così, forse, più che Kennedy, basta recuperare don Sturzo da Caltagirone, che in qualche modo previde con trent'anni d'anticipo la dannazione dell'impresa pubblica, il fallimento dell'economia mista nata nell'ambiguità di Camaldoli. Se è così, Mariotto Segni, invece di invocare Kennedy, potrebbe forse enumerare sulle dita di una mano i motivi per cui Adornato e Ayala gli sono simpatici, ma lui non può sta- re con D'Alema: perché non si può fare dell'Italia un'immensa Crotone con il fosforo che brucia, perché non si può scardinare il bilancio pubblico più di quanto lo sia, pena il Terzo Mondo che Kennedy voleva salvare al grido: «Techo, trabajos y terra, salud y esquela». Certo, D'Alema, poi ha quei baffetti da cattivo di Dynasty che mal si conciliano con l'umanità kennediana, negri, ispanici, emarginati. Molto meglio Francesco Rutelli, candidato sindaco di Roma, che anche per il taglio delle giacche è più in carattere. Non si scherza su Kennedy, e non lo faremo, anche perché proprio Veltroni, un ex comunista, dà nel suo libro il senso vero della mitologia kennediana rilanciata ieri a Caltagirone: «A forza di aprire e chiudere - ha scritto - alla fine la politica italiana è sembrata una di quelle porte girevoli degli alberghi. Grande movimento, del tutto inutile». Per questo, forse, il kennedismo è importante, perché può indurci finalmente a coniugare ideali e programmi, obiettivi e scelte. Insomma, fatti. Vero kennediano o no, Mariotto Segni ha di certo l'ansia del realizzare, un'ansia che travalica la cultura di sinistra o quella moderata. Gliene va dato atto, purché non dimentichi che se in Ad ha trovato D'Alema, anche nel suo stretto circolo non c'è da scherzare: abbondano i ruderi, vecchi fanfaniani ottusamente efficientisti, vescovi reazionari... Alberto Staterà Qualcuno lo accusa «Sei più liberal che cattolico» Analogie anche nelle vite private Come il presidente Usa ha ingaggiato i familiari nella sua battaglia Da sinistra, Walter Veltroni direttore dell'«Unità» e Claudio Martelli A sinistra il presidente americano John Kennedy con Antonio Segni, allora capo dello Stato italiano A sinistra Massimo D'Alema Nella foto sopra Ferdinando Adornato