MOSCA Nella gabbia dei fantasmi

Vicenda di storia e fantasia nel crudele paesaggio europeo anteprima. Il romanzo di Enzo Bettiza, in duemila pagine la tragedia del bolscevismo Nella gabbia aeifantasmi MI rendo conto che le sollecitazioni a confessarmi, che alla vigilia dell'uscita dei Fantasmi di _l Mosca mi giungono ormai da diverse parti, hanno una loro ragione e meritano quindi almeno un tentativo di risposta. Per ora è soprattutto la sconcertante quantità delle duemila pagine scritte e riscritte infinite volte, quello che sembra attirare la curiosità di quanti sanno che la loro stesura s'era iniziata più di vent'anni orsono. Mi limiterò a tracciare, in breve sintesi, il lungo percorso genetico dei Fantasmi di Mosca che hanno avuto due precisi e quasi omonimi progenitori: Il fantasma di Trieste pubblicato per la prima volta nel 1958, e II diario di Mosca, uscito in volume nel gennaio del 1970. Fra la biografia e l'opera c'è stato da sempre, nel mio caso, un vincolo profondo. Al centro morale di questo vincolo c'è stato e c'è tuttora quello che per me resta il più importante e più inquietante fenomeno contemporaneo: il comunismo. Dal romanzo La campagna elettorale del 1953, ambientato in una federazione comunista padana, al Fantasma di Trieste e poi via via nei saggi IIAltra Europa, La nuova cultura tedesca, UAltra Germania, Il mistero di Lenin, comunismo, Russia ed Europa centrorientale seguitano a intrecciarsi di continuo da un libro all'altro. Nel 1958 II fantasma di Trieste terminava con l'annuncio che l'eroe, Daniele Solospin, lasciava durante la prima guerra mondiale la sua cosmopolita città adriatica per sprofondare dopo qualche anno nel caos della rivoluzione in Russia. Chi ha letto II fantasma di Trieste ritroverà in questi Fantasmi di Mosca non solo certe sue particolari cadenze stilistiche e certi suoi richiami più intensi. Ritroverà fra i corridoi dell'Hotel Lux di Mosca anche Daniele Solospin, ormai giunto, sotto il nome di Daniel Daspin, alla sua piena e lucida maturazione cadaverica (perinde ac cadaveri nelle vesti di un tenebroso ma influente dirigente dell'Oms, il braccio armato segreto della Terza Internazionale. Tutto questo sviluppo sottocutaneo fra un romanzo e l'altro probabilmente non avrebbe avuto luogo se, a un dato momento della mia vita, non avessi trascorso io stesso quattro indimenticabili anni a Mosca, quale corrispondente della Stampa. Dal 1961 al 1964 ho potuto registrare così, giorno per giorno, gli eventi di uno fra i periodi più densi e più sorprendenti della storia sovietica: l'ultima incalzante svolta kruscioviana, che va dal XXII congresso del pcus alla caduta del dissacratore di Stalin. E' su tale turbolento sfondo storico che avevo collocato in quegli anni cruciali non solo le mie corrispondenze alla Stampa, ma anche le notazioni del mio più intimo Diario di Mosca. Nel Diario c'erano già in nuce, allo stato frammentario e primario, i vari materiali destinati poi a organizzarsi e a decantarsi sinfonicamente nello spartito romanzesco dei Fantasmi di Mosca. Tutte le misteriose correlazioni umane, psicologiche, ideologiche, religiose, linguistiche fra il personaggio Russia e la mia persona avevano preso parte attiva alla lenta crescita di quell'operetta d'incubazione che era qualcosa di più d'un diario e qualcosa di meno di un saggio o di un romanzo conchiuso. L'Hotel Lux, fulcro centrale del futuro romanzo, microinferno d'abulia e d'angoscia, riscattato qua e là nell'ironia e nella paradossale comicità che il terrore abitudinario produceva sul comportamento e sul linguaggio dei semivivi che lo popolavano (il taciturno sosia romanzesco di Togliatti, il massiccio Dimitrov in carne ed ossa, l'imperturbabile Walter che diventerà il maresciallo Tito, il legnoso Ulbricht e una miriade di ibridi maggiori e minori in bilico fra realtà storiche e invenzione) era stato non a caso già presentato da me in qualche scorcio del Diario di Mosca. Costituiva già il nucleo e il pimento fantastico di un romanzo in fieri. Il Diario era stato insomma un libro chiave, un libro ponte tra II fantasma di Trieste e I fantasmi di Mosca. Tutto il materiale aperto e incompiuto che esso conteneva, le sue spinte allo sbocco verso un genere romanzesco postmoderno e composito, dovevano rovesciarsi e poi concrescere lentamente per due decenni nel volume che ho finito di scrivere, anzi di costruire nell'autunno del 1992. Sono l'ultimo a poter giudicare ora imparzialmente e serenamente la costruzione finita. So soltanto che, applicandomi con ostinata pazienza alla stesura del libro, ho seguito e inseguito consapevolmente l'idea del romanzo totale che del resto, seppure in forma più ridotta, era già presente nelle pagine del Fantasma di Trieste: ho strutturato e destrutturato, ho scavato e perforato in varie direzioni, dalla Mosca di Stalin alla Grande Vienna di Kraus e Wittgenstein, dalla Berlino di Brecht e Hitler alla Budapest di Horthy, dalla Transilvania magica fino alla Lituania pagana e mistica. Mi sono sforzato di dare consistenza a un involucro letterario dilatato e rigoroso capace di contenere entro una gabbia flessibile e proteiforme personaggi impastati di storia e di fantasia, operanti all'interno di un crudele paesaggio europeo, sociale, filosofico, ideologico, multinazionale, il più ricco e particolareggiato possibile. Un involucro proteiforme, teso alla creazione di un nuovo genere letterario riassuntivo, postmoderno e quindi postromanzesco: un misto di narrazione e di riflessione, frastagliato, polifonico, quasi multidisciplinare, distaccato dagli umori passeggeri del tempo e delle mode. Mi è parso questo, mentre negli anni che scrivevo il comunismo finiva, l'unico modo possibile per affrontare a fondo, in un'ottica già postcomunista, già decantata, l'antropologia capovolta del bolscevismo e lo spessore malefico del secolo che tuttora ci circonda. [e. b.] Fra la Vienna di Wittgenstein e la Berlino di Brecht e Hitler Vicenda di storia e fantasia nel crudele paesaggio europeo te A fianco un'immagine della Piazza Rossa a Mosca Nella foto in basso Nicolaj Bucharin Nell'immagine in basso Stalin: dalla fine degli Anni 20 impose all'Urss un terrore sempre più opprimente