«Boris questo calvario è colpa tua»

U Il Presidente racconta la caduta di Sukhumi e «i tre voltafaccia del Cremlino» «Boris, questo calvario è colpa tua» Shevardnadze. pronto a morire per la mia Georgia IL LEADER SCONFITTO TBILISI 0, non ho mai avuto paura. Forse non è normale, ma io non conosco questo sentimento». Apparentemente Eduard Shevardnadze non sembra segnato dai dodici giorni passati a Sukhumi, la capitale dell'Abkhazia assediata dagli autonomisti da più di un anno, caduta lunedì 27 settembre. Abitudine da ex apparatchik a nascondere i sentimenti o pudore autentico? Fatto sta che nulla di quel che ha vissuto traspare dal suo volto. Lo stesso sguardo enigmatico, gli stessi capelli bianchi, lo stesso vestito curato che indossava quando, come ministro degli Esteri di Mikhail Gorbaciov, passava come il beniamino delle cancellerie occidentali. «Per me - spiega con voce sorda -, come per tutti i georgiani, Sukhumi era un simbolo molto importante. Per questo cinque mesi fa avevo detto che, se fosse caduta, cosa che allora mi pareva impossibile, sarebbe stato l'inizio '?lla disintegrazione della Geo'\>ìi.. Potete immaginare quel che*^ ssuto e quel che ho sofferte Se accetta, come Presidente, di assumersi la «responsabilità» assoluta della sconfitta, Eduard Shevardnadze elude, come sa fare bene, le domande più precise; in particolare sulla decisione di inviare, nell'agosto del 1992, le truppe georgiane per porre termine alla ribellione abkhaza. Per lui, e la formula ritorna come un leit-motiv, è il «tradimento» dei russi la prima causa della perdita dell'Abkhazia: «Ho firmato tre accordi con la Russia, a maggio, a settembre e a luglio, e per tre volte loro hanno mancato alla parola data». Eduard Shevardnadze, che ha tentato di telefonare una volta a Boris Eltsin dopo la caduta di Sukhumi («ma non sono riuscito a parlargli, evidentemente non aveva tempo») fa una lunga pausa prima di dire che Mosca porta tutta la responsabilità del tradimento. Se si pensa che i leader abkhazi e gli «ambienti reazionari» russi si assomigliano «come due gocce d'acqua», e che i secondi hanno sempre sostenuto i primi, «non si può certo dire che Boris Eltsin abbia visto giusto in questa crisi». L'accusa si fa più precisa: «Quando c'è un accordo firmato tra due Stati, un capo di Stato non può venir meno alla sua responsabilità. Chiunque egli sia. Confermo che, pur di salvare Sukhumi, avrei accettato l'ingresso della Georgia nella Csi. Oggi so che questo non avverrà mai». Anche l'Occidente l'ha delusa? «Sicuramente voi avreste potuto fare molte cose, in particolare mandare forze di pace in Abkhazia. La Georgia si è ritrovata completamente sola». Il Presidente, ancora senza un briciolo di emozione, descrive per l'ennesima volta la caduta di Sukhumi. «L'offensiva è stata condotta su due fronti. I mercenari russi e ceceni erano in prima linea. Sul mare i cadaveri galleggiavano come pesci avvelenati. Ci sono migliaia di profughi sulle montagne: donne, vecchi, bambini. Molti moriranno». E' ancora possibile un dialogo con i leader abkhazi? «Sono assassini, fascisti. Non me la sentirei di avviare un dialogo con loro». Shevardnadze si è fatto battezzare l'anno scorso. Ora mormora: «Penso che Dio punirà quelli che hanno gettato il no¬ stro Paese in questo inferno. La Georgia è in ginocchio». Che cosa teme di più? «O la guerra civile o la disintegrazione del Paese». Sa che il suo rivale Gamsakhurdia sta riunendo i partigiani nella sua regione natale. Senza mai nominare l'ex presidente - «questo signore», così lo chiama - Shevardnadze gli lancia un appello: «Se deciderà di marciare su Tbilisi, sarà un bagno di sangue». Accetterà d'incontrarlo? «Per il momento non sono pronto. E d'altronde non penso che lui lo voglia». Sarà impossibile sapere dalla bocca di Eduard Shevardnadze se Gamsakhurdia e i suoi hanno o non hanno partecipato con lealtà ai combattimenti contro gli abkhazi. Se Shevardnadze non pensa che lo scontro con Gamsakhurdia durerà a lungo, teme che il suo avversario («un populista») metterà a profitto la situazione catastrofica della Georgia per «promettere montagne d'oro alla popolazione». A Tbilisi è l'una di notte. Shevardnadze getta imo sguardo furtivo verso il suo orologio. Forse sono i primi segni di un grande nervosismo e di un'immensa fatica: «Per la mia natura, per la mia fede, per il mio carattere, non accetterò mai di diventare un capo militare». E poi, la confessione finale: «Sono già cambiato molto. All'inizio, quando ho cambiato la mia mentalità, se volete, comunista. Poi quando con Gorbaciov ho intrapreso la democratizzazione dell'Urss e ho lottato per evitare il conflitto nucleare sul nostro pianeta. C'è già stata una rivoluzione nella mia coscienza». Resterà in Georgia? «Quando ho accettato di rientrare in Georgia sapevo che andavo verso il suicidio. Ma questa è la mia terra e non la lascerò più». José-Alain Fralon Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» «Ho visto cadaveri galleggiare come pesci avvelenati» i m V Sukhumi è nelle mani dei ribelli Sotto, l'ex leader Gamsakhurdia Eduard Shevardnadze