Mogadiscio i Caschi blu cacciano l'ultimo italiano di Foto Afp

Arrestato giorni fa dai marines per oscuri motivi, è stato rimpatriato dopo nove anni Arrestato giorni fa dai marines per oscuri motivi, è stato rimpatriato dopo nove anni Mogadiscio, i Caschi blu cacciano l'ultimo italiano Partiti i militari italiani, anche l'ultimo nostro connazionale presente a Mogadiscio, l'imprenditore Giancarlo Marocchino, di Borgosesia (Biella), arrestato martedì dai marines americani, è stato costretto a lasciare in tutta fretta la capitale somala, espulso dall'Unosom, il comando delle Nazioni Unite, «per evitare che la sua presenza possa provocare disordini nell'attuale situazione di tensione». Una motivazione che lascia perplessi ma che sembra aver trovato credito presso il nostro ministero degli Esteri, che ha aderito alla richiesta di allontanamento fatta dall'Unosom e ha rimpatriato Marocchino con un volo militare partito la notte scorsa dalla capitale somala e atterrato a Pisa nella tarda serata di ieri. A suo carico non sono state mosse accuse o incriminazioni specifiche. Secondo fonti della Farnesina, nei prossimi giorni l'Unosom trasmetterà una documentazione riservata sulla questione Poco chiari anche i motivi dell'arresto: sembra che soldati Usa si fossero recati in uno dei suoi magazzini per commissionargli dei lavori per conto del loro comando, come già accaduto in passato. Marocchino non c'era e i dipendenti somali, secondo quanto hanno riferito fonti americane, avrebbero accolto con ostilità i marines, che avrebbero visto anche delle armi in giro. Tornando indietro, i militari statunitensi hanno incrociato l'auto di Marocchino e l'hanno arrestato, insieme con due somali, uno dei quali, Hassan Mohamed Omar, soprannominato «avvocato Occhio», cugino di sua moglie Fatima, parente di Ali Mahdi, è stato liberato giovedì sera e ha raccontato che per due giorni e due notti sono stati segregati nella cella numero 7 della prigione dell'Unosom. Chi è Giancarlo Marocchino? Cinquantun anni, dal 1984 vive a Mogadiscio. C'è arrivato «con le pezze al culo», come dice lui, e ha lavorato sodo, guidando camion sulle piste sabbiose nel Nord del Paese, portando viveri e materiali ai cantieri impegnati nella costruzione di una grande strada per collegare Berbera a Bosaso. Una vita grama, di fatiche e pericoli, che però ha dato i suoi frutti. Prima della guerra civile la Sitt, la società di cui è proprietario col socio somalo Ahmed Duale, parente del pluriricercato Aidid, disponeva di trenta grossi autocarri, macchine per il movimento terra, gru mobili. Con quel che è riuscito a salvare (quindici camion) per due anni, fino all'arrivo dei caschi blu, ha garantito il trasporto dei viveri e dei medicinali inviati dai Paesi stranieri per aiutare la popolazione in preda alla fame e alle carestie. Per difendere i suoi autocarri dagli assalti dei «morian» (banditi) che infestano Mogadiscio e tutte le strade di comunicazione del Paese, ha allestito un piccolo esercito, una cinquantina di somali, quasi tutti ex militari del deposto presidente Barre, con armi leggere. In molte occasioni ha dovuto affrontare scontri cruenti. A Mogadiscio, nell'agosto '91, uscendo dal porto con un carico di 860 tonnellate destinato al «Sos Kinderdorf» (organizzazione umanitaria austriaca), i suoi autocarri furono attaccati da una banda di morian: ci fu una furiosa sparatoria, quattro dei suoi uomini vennero uccisi, ma solo otto tonnellate del carico caddero nelle mani dei predoni. Pochi giorni più tardi fu coinvolto in una vera battaglia per difendere un convoglio con 1400 tonnellate di viveri destinati ai villaggi dell'interno: gli scontri lungo il percorso durarono quasi due settimane, i banditi avevano persino dei carri armati, i suoi uomini ne distrussero un paio con i bazooka. Pur fra mille difficoltà i suoi autocarri sono sempre riusciti a portare a destinazione i soccorsi e per questo tutte le organizzazioni umanitarie si sono sempre rivolte a lui, provocando invidia e gelosia fra i concorrenti. Per i suoi nemici Marocchino è uno che fa sporchi affari sulla pelle dei somali, per i medici e le suore italiane che lavorano nell'ospedaletto del Sos Kinderdorf di Mogadiscio Nord, se molti dei bambini ricoverati sono sopravvissuti alla fame e alle malattie è merito suo. Don Elio Sommavilla, missionario italiano, lo definisce «una persona merite¬ vole che si è armata per difendere cibo destinato a moribondi e ammalati». Dal 9 dicembre, giorno del cinematografico sbarco dei marines Usa, gli stessi contingenti dell'Onu si sono serviti dei suoi mezzi e della sua organizzazione: gli americani gli hanno affidato il lavoro di pulizia e bonifica del compound della loro ambasciata, gli italiani il trasporto di viveri e masserizie dal porto nuovo di Mogadiscio fino al campo di raccolta di Balad. In queste settimane Marocchino stava allestendo una pista per gli elicotteri all'interno della nostra ambasciata mentre ha quasi ultimato la costruzione di un secondo ospedale del Sos Kinderdorf a Mogadiscio. Francesco Fornari Trasportava gli aiuti Per alcuni era un eroe per altri un affarista Il segretario dell'Onu Ghali tra i membri del Consiglio di sicurezza e a fianco Clinton [FOTO AFP]