Venigma del «Nuovo» partenopeo

Lista di proscrizione per i grandi inquisiti ma i loro «clientes» chi sceglieranno? NAPOLI. Sfida elettorale con voglie di vendetta e manovre nell'ombra Venigma del «Nuovo» partenopeo Tra inquisiti, giacobini e nostalgie borboniche FNAPOLI ISCHI di rondoni sopra il Maschio Angioino, all'imbrunire. E fischjptti di disoccupati in lontananza, a tutte le ore. Questi ultimi su li --uti provengono dagli «storie ,., proprio così, «Comitato disocci ti storici», Cds, a suo tempo protetto da certi assessori socialisti che favorivano un'alleanza trasversale della lista non solo con gli occupanti abusivi di case, ma pure con gruppi di immigrati extracomunitari. E perciò è rumoroso, arcaico e insieme moderno, il Nuovo, in questa Napoli a due mesi dal voto. Nuovo napoletano, con virgolette o senza, irridente o serio che sia, comunque unico, e complicato nella sua semplicità. Un vero comunista come Antonio Bassolino dato per favorito da un giornale, quello degli imprenditori, che si chiama II denaro. Una bella Mussolini che appena candidata ha detto cose ragionevolissime contro la politica-spettacolo promettendo una campagna elettorale sobria, manifesti senza neanche la sua immagine... Due vetero-estremismi anche riqualificati e in mezzo il nulla, il tutto. Un carosello di stranezze e di simulazioni, di comici riciclaggi e di commoventi invenzioni. Napoli, un brodo ristretto e annacquatissimo. Si parte da un Cirino Pomicino giusto un po' invecchiato pronto a spiegarti che in fondo voleva semplicemente togliere la miseria, «che poi è la grande ricchezza dei napoletani». E si arriva davanti alla scrivania di un quasi ragazzo, un dottorino di 29 anni, il focolarino che presentò il saluto della città al Papa, allo stadio San Paolo, insomma di fronte all'onorevole Peppe Gambale, pallido, pettinatino, perbenino, deputato della Rete. Vive, questa figura di politico indubbiamente «nuovo», con un poliziotto a fianco. Gli hanno bruciato il portone di casa. E' sposato? «Sono fidanzato», risponde lui, serissimo. Bene, De Lorenzo chiama Gambale «la belva». Cirino Pomicino, che è più spiritoso, lo descrive come uno di quelli che lo manderebbe al patibolo con una formula perfino rassicurante: «Devi morire, fratello». Al patibolo no, e tuttavia, con un sorriso, il dottorino ti spiega che a Napoli fare politica significa «anche mandare la gente in galera». Si capisce: mai come a Napoli il potere ha flirtato con la criminalità. Atmosfera, però, vagamente sudamericana. L'avversario non si batte, si fa arrestare. Al dibattito sulle idee si sostituisce quello sulla «legalità». La politica si trasfigura in un succedaneo della giustizia. Iustìtia si chiama, appunto, il giornaletto della Rete di Napoli. E' politica, perciò, il pentito Galasso, il capitano dei carabinieri Tomasone, il prossimo arrivo del giudice Cordova. Si sprecano i nastri registrati e le intercettazioni come strumento di lotta politica. I giornalisti della Voce della Campania, il battagliero mensile che ha tirato fuori anzi- tempo le magagne dei vari Pomicino e De Lorenzo, dedicano le loro migliori energie alla ricostruzione meticolosa di complicatissimi intrecci societari che partendo da Napoli arrivano in Usa, alla massoneria svizzera, a Gheddafi. Per cui, ben prima di Bassolino, della Mussolini e del sociologo verde Amato Lamberti, direttore dell'Osservatorio sulla Camorra, a parte gli altri vari ed eventuali politici in lizza, come se fosse la cosa più normale del mondo per la poltrona di sindaco di Napoli s'è fatto il nome di una mezza dozzina di magistrati. Il modello di autorità è questo, fra ordine e vendetta. Novità, quindi, non prive di una loro primordialità. Novità precarie, anche, umide e scivolosette come la stretta di mano che dava e ora non dà più ai suoi clientes l'onorevole Alfredo Vito, robot elettorale post-gavianeo da 100 mila preferenze. «Per favore - voce suadente e risoluta nel telefonino non voglio parlare, non ho nulla da dire, sono un cittadino privato». Ecco, Vito s'è precipitosamente ritirato dalla politica e se ne sta a casa. Sbarrato il portone tipo parrucchiere di lusso del suo studio a Santa Lucia, archivio abbandonato e voti dispersi, sindaci dell'hinterland atterriti e pezzi di società che slittano chissà dove. Anche questa fuga, forse, è il Nuovo. Però magari tra un po' Vito ci ripensa, e ricomincia. E dinanzi a questa possibile fuga con ritorno, dinanzi a questa plausibile, sottilissima non-fuga si resta come smarriti. Ci si salva pensando che certe cose solo nel brodo di qui si possono incontrare. Solo a Napoli, per dire, un'intera giunta minicipale è stata presa a secchiate d'acqua, nell'aula di Palazzo San Giacomo, i giorni in cui si decideva la sorte di un Consiglio eletto neanche un anno prima, ma già con 22 consiglieri (su 80) sostituiti perché inquisiti e alcuni dei subentrati a loro volta inquisiti e sostituiti in una specie di turnover giudiziario da comica finale. Finale si fa per dire, poiché l'impressione piuttosto è che questo ceto politico sia stato antropologicamente messo a punto per spostare in avanti i limiti non solo psicologici oltre i quali risuona cupa la catastrofe. Così, dubbio su dubbio, si finisce per navigare sull'ex Nuovo, o sul vecchio di giornata. E allora, sempre a proposito di elezioni - e con quel particolarissimo senso di colpa che grava sull'animo dei cercatori di colore giornalistico venuti dal Nord - tocca anche registrare che la nipotina di Achille Lauro, Donatella Dufour Grimaldi, ha promesso un'indistinta lista civica di colore bianco e azzurro. Così come, con il medesimo stato d'animo, occorre segnalare la comparsa o ricomparsa di seguaci borbonici, che hanno avuto l'accortezza di appiccicarsi il prefisso «neo», con il risultato che adesso a Napoli ci sono pure i «neo-borboni». Ma dato che ancora non bastava, l'altro giorno all'Hotel Jolly s'è presentata Anita Garibaldi, con il suo movimento «Italia Unita» e l'ex ministro socialdemocratico Preti. Di entrambi, Napoli stralunatissima sentiva davvero la mancanza. Ma tant'è. I grandi partiti sono a pezzi. Il guaio è che sono pezzi disperatamente aggressivi che lottano per la sopravvivenza. Il blocco di interessi sconfitti si esprime attraverso una lista di proscrizione: Gava-Pomicino-De Lorenzo-Di Donato-Scotti. L'ex ministro salernitano Conte è un optional. E tuttavia da questa specie di filastrocca del malgoverno ti accorgi che scivola via qualche nome, e magari è un segnale d'intesa, l'effetto di un ri¬ catto, la spia di una qualche vergogna, forse anche un barlume di pietà. Rimane l'enigma del vecchio potere. Con l'aiuto di freccette e cerchietti il sociologo Lamberti spiega che la complessa rete di clientele e di rapporti privilegiati che i potenti in disgrazia avevano coltivato per anni con settori industriali e finanziari non si sfalda in un mese. Un altro deputato vérde, Pecoraro Scanio, suggerisce di non trascurare le grandi risorse economiche messe da parte e lancia l'allarme su una possibile lista civica di inquisiti. «Un incesto» la definisce sdegnato il precario commissario della de Mario Condorelli, un signore gentile con la erre moscia che è un cardiologo di fama (maestro del retino Gambale), ha una bella moglie, una bella casa, bei mobili, bei quadri, belle porcellane, bei tappeti e davvero non si capisce chi gliel'ha fatto fare di impelagarsi negli spasmi della più spaventosa de d'Italia, dove liste incestuose (Portici, Pozzuoli) si sono già fatte vive alle elezioni parziali del giugno scorso. Non solo. Nella de alcuni spiriti giocherelloni che si proclamano «autoconvocati» hanno scoperto l'uso propagandistico e notturno-scenografico delle fiaccolate. L'onorevole Mastranzo, per dire di cui nessuno, ma nessuno sul serio ti risparmia la delicatissima storia anagrafica di una fatale «o» trasformata in «a» - ha sfidato il pacifico Condorelli a partecipare a una fiaccolata con il padre Marseglia. «Io non ci sono andato», racconta il commissario con un sussulto di orgoglio. Se ne sta seduto su un divano, Condorelli, con l'aria malinconica a discettare dell'ipemranio partenopeo, della politica come idea platonica, e solo con le tenaglie gli si riesce a strappare due parole sul «nobilissimo esempio di Vito», che fino a prova contraria almeno se n'è andato, «mentre gli altri no, e anzi tentano di buttarmi fuori». Ci stanno per riuscire. Da settimane, ormai, la de non riesce neanche a inserirsi nell'inevitabile radicalizzazione Mussolini-Bassolino. In compenso questo suo girare a vuoto non porta né vantaggi né tantomeno chiarezza ai due schieramenti, così contrapposti da potersi quasi ignorare. La bionda missina, in effetti, punta su un magma sottoproletario che solo con inguaribile schematismo si può definire «destra», mentre dietro la corsa di Bassolino, contrastato dentro il suo stesso pds, c'è qualcosa d'indistinto che non si può più chiamare «sinistra», né si può ancora chiamare «polo progressista» o con altri vaghi neo-manierismi. Bassolino, di sicuro, ha forzato la mano e si è candidato tagliando il nodo intricato e misteriosissimo delle elezioni primarie, divenute in breve nella sinistra napoletana una specie di spasmodica, novella ritualità che un po' come le fiaccolate per la de affonda le sue motivazioni nella voglia di fiction e nella necessità di prendere - o perdere, dipende - tempo. Fatto sta che in una città dove l'assenteismo elettorale tocca la quota del 34 per cento, di primarie se ne sono previste di tutti i tipi: per telefono, per radio, a campione, «giovanili», per strada con pseudocabine e pseudo-urne, interne ed esterne ai circa 11 partiti e partitini che compongono uno sciagurato, babelico Forum delle forze progressiste e che mai si sarebbero potuti ritrovare intorno ad un unico candidato. Bella faccia olivastra, occhi neri-neri, una specie di cimiero sale e pepe, questo possibile sindaco comunista fuma come un turco e a studiarlo un pochino appare anche lui al tempo stesso primordiale e aggiornato. Oratoria scassamicrofoni con risonanze autenticamente proletarie, rurali, di scuola si direbbe divittoriana. Di suo, il candidato ci mette quella pronuncia fuori dall'ordinario che a Napoli attribuiscono, arricciando il naso, all'origine afragolana. Più tecnicamente allarga in modo irresistibile le «e» sul finire della parola, quindi le aspira. Dice, ad esempio: «Schiettamèndeh». Oppure: «Lapovera gèndeh», di compagno Occhèttoh». E' un comunista di sinistra e di campagna, senza laurea e senza cravatta, opposto ai comunisti crociani, urbani, marittimi e borghesi come Amendola, Chiaromonte e Napolitano. E' sicuramente il meno compromesso, Bassolino, con il sistema di potere che ha fin qui governato Napoli. Si è esposto sul serio contro la camorra e sul caso Cirillo, ha sempre difeso i giudici della tangentopoli napoletana (che gli hanno in parte ripulito la federazione di qualche migliorista di troppo). Ad esempio della sua faziosità si racconta che una volta disse: «Cari de, io vi odio». «Era subito dopo il terremoto, e dopo averli visti scappare tutti via dalle macerie, in realtà - corregge lui - dissi: cari de, io vi disprezzo». Astuto e naif, anche Bassolino è un'incognita che va oltre al semplice dato elettorale in un brodo politico insaporito anche con turbamenti strategici e compiaciuti paradossi. Una città in cui ogni cosa è più carica che altrove, più personalizzata, più sorprendente. Pure con tutte le nefandezze del caso la tangentopoli napoletana, com'è ovvio, ha aggiornato il numero e la qualità degli spunti lasciando agli annali della cronaca cittadina storie e figure che sono uniche, a volte anche indimenticabili. L'ex assessore socialista Silvano Masciari, per esempio, è riuscito a finire in carcere con la moglie, l'amica e - attenzione qui - anche con la suocera. Uscito di prigione, e nuovamente scomparso, è stato avvistato e quindi brevemente intervistato al Casinò di Montecarlo. «Io - calcola pieno di amarezza il capogruppo missino Amedeo Laboccetta - avrò innescato il 70 per cento delle indagini giudiziarie su furti e ruberie che si sono verificati in città». Poi, però, è finito anche lui in prigione. E a questo punto, in un'altra città, la storia finirebbe. E invece a Napoli continua perché, una volta dentro, Laboccetta scopre che nella cella di destra c'è l'assessore Martino, che proprio lui ha fatto dimettere, e in quella di sinistra il segretario del Comune, che sempre lui ha fatto dimettere. Ad aumentare l'impatto surreale entrambe le vittime del capogruppo missino, che anche lui si ritiene una vittima, di cognome fanno Martino. La storia si potrà gustare nell'imminente libro autobiografico di cui Laboccetta mostra soddisfatto le bozze. S'intitola «Grand'hotel Poggioreale». Solo qui, solo a Napoli... «Fate bollire dell'acqua, immergetevi il dito, poi tiratelo fuori: avrete così il vostro brodo napoletano e potrete giurare che dentro c'era la carne» (Friedrich Hebbel, 1847). Filippo Ceccarelli Lista di proscrizione per i grandi inquisiti ma i loro «clientes» chi sceglieranno? Bassolino e la Mussolini contendenti ai due estremi In mezzo uno strano carosello Alessandra Mussolini, candidata a sindaco per il msi Sopra, Antonio Bassolino, pds, candidato a sindaco di Napoli. «Un comunista di sinistra e di campagna»