DIARIO DI MOSCA Zar Boris spegne la tv della glasnost

Gli ex comunisti DIARIO DI MOSCA Zar Boris spegne la tv della glasnost 1 MOSCA ■ ÀA sala dell'Unione Giornalisti è piena di facce più stranite che cupe. Si sono riuniti per celebrare insieme la fine della libertà di stampa, ma sono ancora increduli, sconcertati. Ma come? Non sono i democratici che hanno preso il potere, finalmente? E allora come si spiega che «Il Quadrato Rosso» non è andato in onda? Aleksandr Liubimov, eroe di «Vsgliad», Lo Sguardo, la popolarissima trasmissione dei tempi della glasnost (e, per questo, divenuto deputato del popolo di Russia), è sinceramente dispiaciuto. «Avòvo invitato Zorkin - il prendente della Corte costituzionale, ndr -, ma anche i sostenitori di Eltsin. Non hanno voluto che andasse in onda. Dicono che la trasmissione è di scarso livello artistico. Ma anche i comunisti motivavano così quando mi censuravano». Sono venuti in molti, per parlarsi dopo tanto silenzio. Sembra quasi che ciascuno sondi il terreno, per verificare se le proprie impressioni sgradevoli sono condivise anche da altri. Pavel Gutiontov, brillante giornalista delle Izvestija, apre con prudenza: qualcosa non va. L'episodio di «Quadrato Rosso» dimostra che il potere non rispetta la libertà di espressione. Ma chi è il potere? Arriva Andranik Migranian, barba foltissima ma senza il tradizionale sorriso. Chiede la parola, nella sua doppia - e scomoda - veste di consigliere del presidente e «esperto» della trasmissione censurata. «Sono fermamente critico verso il divieto censorio. E' stato un errore che getta un'ombra sul presidente e la sua politica». Fa una pausa per guardarsi attorno. L'atmosfera è gelida. «Posso anche dirvi che sono riuscito a informare il presidente dell'accaduto e che dal presidente non è partito nessun ordine censorio». Poi se ne va in fretta. Aleksandr Liubimov non porta più il distintivo da deputato. Lui non è andato nella Casa Bianca assediata, non solida- . rizza con Khasbulatov. Come lui hanno agito anche 1 Eduard Sagalaev, che presie- I I de la Confederazione delle I unioni giornalistiche, e Aleksei Simonov, presidente della Fondazione in difesa della glasnost. Ma hanno tutti l'amaro in bocca. «Tutti i media finanziati dal potere (cioè quasi tutti quelli che contano) danno solo l'informazione voluta dal potere dice lentamente Liubimov, soppesando le parole -. E' triste, è pericoloso. In questa situazione chiunque capisce che libere elezioni non sono garantite». Dire cose del genere, oggi, a Mosca, è già un gesto di coraggio. C'è il rischio di sentirsi accusare di essere un sostenitore dei nazional-patrioti. Uno degli aiutanti di Poltoranin non ha forse detto chiaro e tondo che «chiunque si opporrà ai decreti del presidente sui mass media sarà trattato come un provocatore»? Ma l'atmosfera nella Casa del giornalista si è ormai scaldata. Gleb Pavlovskij, direttore e proprietario dell'agenzia di stampa indipendente Postfactum, annuncia la sospensione della propria attività in segno di protesta. «Dal 21 settembre - dice - è in atto la censura sui media elettronici e pressioni insostenibili si esercitano sui media indipendenti. Si stanno ponendo le basi per un regime che impedirà una normale vita democratica». Poi si alza Pavel Voscianov, ex portavoce di Eltsin. «Diciamoci la verità: non siamo mai stati liberi. E non venitemi a distinguere il presidente dal suo entourage. Io li conosco bene. A quella gente non interessa e non serve una stampa libera. Se non corri al Cremlino ti accusano di correre alla Casa Bianca e ti mettono a tacere. Adesso possono farlo. Abbiamo una sola linea di difesa: dire chiaro che noi non serviamo nessun potere. Se non lo facciamo siamo tutti morti». Giuliette Chiesa SsaJ

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