L'Est proibito di Wojtyla di Sergio Romano

Cattolici-ortodossi, scisma infinito Cattolici-ortodossi, scisma infinito L'Est proibito di Wojtyla N una fotografia scattata durante uno dei suoi viaggi Giovanni Paolo li camminava lentamente lungo il bordo di un bosco, appoggiandosi a una specie di rozzo pastorale, come un vecchio pellegrino affaticato dal viaggio e dagli anni. L'immagine è ingannevole. Il pellegrino è in realtà un imperatore che visita le sue terre per verificare di persona la salute morale dei sudditi e prescrivere le terapie necessarie alla loro salvezza. Può capitargli, come è accaduto in Scandinavia e negli Stati Uniti, di scontrarsi con i discendenti di vecchi ribelli o con sudditi insofferenti. Ma nessuno, in Occidente, oserebbe sbarrargli la porta o disconoscere il suo potere. Nel grande impero della cristianità occidentale, romana o riformata, che si estende dall'Ucraina all'Australia, il Signore è lui, Karol Wojtyla. Ma l'impero ha un «limes» oltre il quale il Papa polacco non è ancora riuscito a mettere piede. Nel 1989, quando cadde il muro di Berlino e Gorbaciov gli fece visita in Vaticano, Giovanni Paolo II sperò che il leader sovietico gli avrebbe finalmente permesso la grande visita pastorale a cui egli pensava dal giorno in cui era stato elevato al trono pontificio. Da Mosca e da Kiev vennero, nei mesi seguenti, segnali favorevoli. Fu nominato un ambasciatore sovietico presso la Santa Sede e i cattolici di rito greco - gli uniati - ripresero possesso delle chiese ucraine da cui erano stati cacciati dopo il concilio di Leopoli del 1946. Con le sue arti misteriose la Divina Provvidenza stava lavorando per la Chiesa di Roma. Grazie alla perestrojka e al crollo del comunismo la Russia apparve a papa Wojtyla, in quei mesi, una grande terra irredenta di cui era finalmente possibile tentare la riconquista. Il sogno ecumenico di Giovanni XXIII e di Paolo VI dovette sembrargli a portata di mano. Quattro anni dopo il Papa è riuscito ad attraversare il vecchio confine dell'Urss per visitare le Repubbliche del Baltico, ma il limes orientale resta invalicabile e la Chiesa ortodossa è molto più ostile alla Chiesa romana di quanto non fosse negli anni di Breznev. Il vuoto spirituale delle coscienze dopo la morte della religione leninista offre al Papa polacco grandi prospettive apostoliche, ma l'ortodossia russa e di altri Paesi dell'Europa orientale si è mobilitata contro l'«invadenza» di Roma. Si profila una nuova «guerra patriottica» degli slavi «greci» - russi, ucraini, bielorussi, serbi, bulgari -, contro gli slavi «latini» - polacchi, croati, sloveni, boemi, slovacchi - e i loro alleati romani. Sul fronte balcanico le ostilità sono cominciare nel momento in cui il Vaticano è sceso in campo per sostenere prima il riconoscimento della Croazia, poi l'intervento militare contro i serbi. In Ucraina uniati e ortodossi si guardano con rancore e sospetto. Al posto del sipario di ferro sta calando attraverso l'Europa una cortina teologica che rischia di frustrare il grande sogno unitario di papa Wojtyla. Tentativi generosi e fallimenti Colpisce in questa vicenda un singolare ricorso storico. Anche Benedetto XV credette nel 1917 che le due grandi rivoluzioni russe - quella democratica del febbraio e quella bolscevica dell'ottobre - avrebbero aperto alla Chiesa la strada di Mosca. Anche Pio XI, allora nunzio a Varsavia, attese per qualche mese il momento in cui avrebbe potuto attraversare la frontiera. Ambedue dovettero constatare che la Russia di Lenin era, anche se per ragioni diverse, altrettanto impermeabile alle crociate romane della Russia zarista. Questi episodi sono soltanto i momenti salienti di una lunga storia ratta li incontri, clamorosi dissensi, prospettive ecumeniche, iniziative generose e tentativi falliti. Sugli ultimi due secoli di questo difficile rapporto esiste ora un libro che fa onore alla storiografia italiana. S'intitola Chiesa cattolica e Ortodossia russa, è apparso presso le Edizioni Paoline ed è opera di uno studioso, Angelo Tamborra, che è, con Riccardo Picchio, Sante Graciotti e Franco Venturi, il decano degli studi slavi in Italia. Il libro di Tamborra prende le mosse da un trattato internazionale, la Santa Alleanza, che fu anche un singolare avvenimento ecumenico. Redatto «in nome della Santissima Trinità» I'«Atto della Fraterna Alleanza Cristiana» fu firmato nel giorno della Esaltazione della Santa Croce da tre sovrani che rappresentavano le grandi famiglie della cristianità divisa: un imperatore ortodosso, Alessandro I di Russia, un imperatore cattolico, Francesco II d'Austria, un re luterano, Federico Guglielmo III di Prussia. In Russia, ricorda Tamborra, l'Atto fu appeso all'ingresso di tutte le chiese, e fu letto da allora ogni anno, nel giorno dell'Elevazione, «cosicché tutti potessero adempiere il voto del servizio all'unico Signore e Salvatore che parlava a tutto il popolo per bocca del Sovrano». La «crociata» diPioLX La Santa Alleanza non piacque né ai liberali né al Papa di Roma, il quale vide nel trattato la mano dell'imperialismo russo e la minaccia dell'egemonia ortodossa sull'Europa latina. Le parti si rovesciarono nel 1847 quando Pio IX, sollecitato da uno scrittore dalmata, Niccolò Tommaseo, e da un prete ruteno, Hipolyt Terleckyi, lanciò con le Lettere agli Orientali una grande «crociata» per la nuova evangelizzazione dell'Oriente cristiano. A Costantinopoli e Mosca l'ortodossia reagì con la stessa diffidenza con cui Roma, trent'anni prima, aveva accolto il «pancristianesimo» di Alessandro I. Gli interventi dello zar a favore dei cristiani d'Oriente, la guerra di Crimea e le vicende della penisola balcanica negli ultimi decenni del secolo contribuirono a rendere i rapporti ancora più delicati e sospettosi. Accanto alla storia ufficiale corre tuttavia quella degli uomini e delle donne che dedicarono la loro vita a gettare ponti fra le Chiese divise o vissero personalmente il dramma della loro separazione: De Maistre, ambasciatore del re di Sardegna a Pietroburgo, Gogol e Tommaseo, August von Haxthausen, la principessa Zinaida Volkonskaja, convertita al cattolicesimo con grande stizza dello zar Nicola I, il barnabita Cesare Tondini de' Quarenghi, Josip Strossmayer, vescovo croato di Dakovo, Gagarin e i gesuiti russi di Versailles, Caadaev, Soloviov, Merezkovskij e il vescovo d'Herbigny che a Mosca, nel 1926, consacrò segretamente quattro vescovi di rito latino e nove ammir.istratori apostolici. E' a loro che Tamborra dedica alcune fra le pagine più belle di questo bellissimo libro. La competenza scientifica e la precisione storica non gli impediscono di lasciar comprendere che questi sono i personaggi a cui vanno le sue maggiori simpatie. L'ultimo nella galleria dei mediatori è Nikidim, metropolita di Leningrado e Novgorod, osservatore al Concilio Vaticano e autore di una biografia di Giovanni XXIII che apparve sotto il titolo Uno scomodo ottimista. Nikidim morì a Roma il 5 settembre 1978 fra le braccia di Giovanni Paolo I che gli aveva dato udienza dieci giorni dopo la sua elezione al papato. Con questo tragico episodio ecumenico termina il libro di Tamborra. Se avesse continuato la sua storia sino ai nostri giorni avrebbe constatato che le grandi speranze degli Anni 70 appaiono oggi lontane, forse pregiudicate per un lungo periodo. Ma avrebbe misurato la strada fatta dall'inizio dell'800 e ne avrebbe tratto la convinzione che altri instancabili mediatori si metteranno al lavoro per ricucire lo strappo dello scisma. Sergio Romano