La battaglia delle tele tra Bottai e Farinacci
Retroscena dei premi Bergamo e Cremona Retroscena dei premi Bergamo e Cremona La battaglia delle tele tra Bottai e Farinacci BERGAMO N mito, quello del «Premio Bergamo», controllato e privilegiato nel 1939'42 da Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale e creatore nel 1940 dell'Ufficio per l'Arte Contemporanea, e riportato alla concreta realtà della storia nella Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea: Gli anni del Premio Bergamo (fino al 9 gennaio, catalogo Electa). Ma la mostra ne contiene anche un'altra. L'ambizione da parte dei principali curatori, Carlo Bertelli, Marco Lorandi, Pia Vivarelli, è stata quella di rappresentare, intorno al Premio Bergamo, una situazione complessiva delle arti figurative, nel momento in cui le svolte ideologiche e anticulturali del fascismo facevano scoppiare le contraddizioni nascoste all'interno dell'organizzazione culturale di regime. Il mito si imperniava su una contrapposizione: da una parte la «fronda» e il latente antifascismo del «Premio Bergamo», dall'altra la pittura retorica e di regime del contemporaneo «Premio Cremona», promosso da Roberto Farinacci con esplicito rimando al naturalismo accademico nazista e ariano «della terra e del sangue». I testi in catalogo, soprattutto quelli di Bertelli, di Rolandi, di Papa sottolineano giustamente che la contrapposizione, di fatto emergente nella pubblicistica fascista già nel secondo anno dei due premi, nel 1940 (il cremonese e farinacciano «Regime Fascista» confrontava le «pitture di netta e calda ispirazione fascista» esclusivamente presenti a Cremona sul tema della battaglia del grano al «Festival dell'Arte giudaica» a Bergamo), è limitativa e secondaria rispetto ai travagli reali e drammatici di un regime al tramonto. In una sezione della mostra all'Accademia Carrara, cinque quadroni di retorica contadina stanno ad illustrare, a cura di Chiara Tellini Perina, le edizioni 1939 e soprattutto 1940 di Cremona. Alla sala in cui sono esposti si arriva passando da altra sala dove figurano alcune grandi tele fondamentali esposte e premiate a Bergamo: Modelli nello studio di Mafai, primo premio 1940, Fuga dall'Etna di Guttuso, terzo premio 1940, Battaglia di Famagosta di Sassu, 1940, la famiglia in campagna di Menzio, primo premio 1942 e la celeberrima Crocifissione di Guttuso, secondo premio 1942. L'idea di questa selezione rispetto alla mostra nella sede, di fronte, della Galleria d'Arte Mo¬ CrocifisIde derna e Contemporanea è da un lato scenografica, ma dall'altro anche sottilmente critica. Essa è legata alla giusta considerazione che era fondamentale caratteristica del Premio Bergamo l'antiretorica del quadro «intimista», paesaggio, natura morta, figura ma in senso lirico o neoromantico fino al limite esistenziale, con il suo prevalente formato da cavalletto, da parete del collezionista privato. Ma questa scelta intelligente e Chirico o te lo elitario e in senso lato «crociano» di Bottai. Sassu, in quegli anni solitario anche rispetto ai giovani compagni di strada confluiti in «corrente», e Guttuso rappresentano invece il versante creativo e vincente, tragico e drammatico, nazional-popolare, antifascista, di quello stesso realismo retorico che Farinacci reclamava a Cremona in senso celebrativo ottimista e in sostanza più nazista che fascista. In nome dello spirito di cui ho detto, la miglior figurazione fra le due guerre si confronta nelle sale dedicate al Premio Bergamo. In quella del primo, nel 1939, sul tema del paesaggio, convivono la tradizione di Seibezzi, la raffinatezza «ingenua» di Usellini, il lirismo di Semeghini e Del Bon, ì! pullulare stupendo della Cortina di De Pisis, i sogni romani di Dondi e di Capogrossi. Nei tre successivi pi°mi trionfano la figura e la natura morta: accanto ai maestri fuori concorso, che si degnano di «riciclare», come Carrà con Estate del 1930 o come De Chirico che recupera da Rosemberg a Parigi in crisi un grande Gladiatore del 1928, e alla tradizione novecentesca di Saetti e di Frisia, sempre più emerge e s'impone l'espressionismo esistenziale settentrionale di Vigneco, di Birolli, di Cassinari, di Morlotti, di Badodi, di Pizzinato, di Santomaso, e infine di Vedova e di Valenti. E' un punto essenziale: sono presenti, e bene, anche i romani, oltre ad Afro anche un bel Cavalli nel 1940. Ma è evidente che il vero discorso di fondo a Bergamo, ben più che la contrapposizione a Cremona, è quello di un'alternativa reale rispetto alla egemonia romana sulle Quadriennali. Per questo è certo assai intelligente e puntuale l'idea di completare il quadro della cultura del tempo con una vera e propria seconda mostra basata con molta attenzione sulle prime collezioni di avanguardia (Valdameri, Cardazzo, Feroldi, la Astaldi, Della Ragione, PecciBlunt), sull'ultima mostra internazionale degli astrattisti al Milione di Milano nel 1938 sulle presenze comuni di astrattisti e aerofuturisti alle Biennali e Quadriennali, che permette soprattutto il recupero espositivo di bei De Chirico, dei maggiori artisti romani, Scipione in testa, e degli astrattisti; ma in questo modo risultano meno chiari i tratti e i significati fondamentali della manifestazione bergamasca. Marco Rosei I Mafai Sassu e Guttuso della fronda al regime e la retorica fascista dei quadri di vita agreste Crocifissione» di Guttuso e, sotto, un quadro di De Chirico veccni ma anche nuovi schemi storico-critici. Certo, la loro contiguità con le battaglie del grano cremonesi fa ulteriormente spiccare l'inesistenza artistica di queste ultime, ma evidenzia anche che solo Mafai e Menzio sono davvero e intrinsecamente rappresentativi dello «spirito» di fondo della manifestazione di Bergamo, che è quel¬
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