La danza dei samurai di Sergio Trombetta

Intervista con il grande coreografo, che torna in Italia con il Tokyo Ballet Intervista con il grande coreografo, che torna in Italia con il Tokyo Ballet Intervista con il g" L La danza M samurai LOSANNA DAL NOSTRO INVIATO Maurice Béjart ha una cerchia speciale di amici con i quali intrattiene relazioni molto strette, esclusivamente spirituali. Dialoga attraverso il tempo con Federico II di Svevia, con Friedrich Nietzsche o Charles Baudelaire. Si immerge nel mondo maledetto di Pier Paolo Pasolini. Viaggia fra i samurai del Giappone di Mishima. Sono amici che tornano spesso nel suo lavoro, nei suoi balletti, nei suoi libri. Non ò difficile trovare Federico II (che poi per magia letteraria si trasforma e prende le fattezze di un altro grande Federico: Fellini) nel suo ultimo libro di memorie La Mort Subite (La morte improvvisa) appena pubblicato in Italia da Di Giacomo, tradotto da Elena Grillo; ancora più facile imbattersi in Yukio Mishima. Lo scrittore giapponese, morto clamorosamente suicida ventitré anni fa, è uno dei fantasmi più ricorrenti nel mondo artistico del grande coreografo marsigliese. Era al centro di uno «scherzo coreografico» intitolato prolissamente Patrìce Chéreau devenu danseur règie la rencontre de Mishima et Eva Peron. E' l'autore di pièce ispirate al teatro tradizionale dei «No» con cui Béjart si è cimentato in veste di regista. Ora torna protagonista di M, il balletto che Béjart ha creato per il Tokyo Ballet. Accanto al «Rudra Béjart», che ha per sede Losanna, il Tokyo Ballet è una delle poche compagnie per cui il coreografo lavora. La compagine giapponese sta compiendo una tournée in Europa. Nel nostro Paese sarà a Bologna e alla Scala: a Milano, dal 18 al 20 ottobre, M sarà presentato in esclusiva italiana. A che cosa è dovuto questo interesse per Mishima? «Ci sono sempre stati nella mia vita degli eroi, dei modelli. Col passare del tempo sono diventati spiritualmente fratelli. Uomini come Pasolini o Mishima hanno un fondo ideologico comune. Si dice in termini stupidamente politici che Pasolini era di sinistra e Mishima di destra. Ma non vuol dire niente. In realtà sono vicinissimi sul piano ideologico e umanistico». Quando è incominciato l'amore per lo scrittore giapponese? «Il processo di avvicinamento a Mishima è stato lungo. Ho incominciato a leggere i suoi romanzi, il teatro, e poi la biografia, gli scritti di Marguerite Yourcenar che aveva adattato e tradotto il teatro e ne aveva raccontato il suicidio». Colpisce la ritualità sontuosa, l'esibizionismo della sua morte: il «seppuku» (quello che in Occidente viene chiamato «harakiri») eseguito dopo una irruzione nel quartier generale militare di Tokyo, circondato da un gruppo di fedeli appartenenti a una formazione paramilitare e filmato dalla televisione. «L'esibizionismo non è in sé interessante, ma se arriva sino alla morte, allora diventa qualche cosa di profondamente tragico. Non bisogna dimenticare che i samurai, quando facevano "seppuku", sceglievano un luogo pubblico ed erano circondati da altri samurai: il loro era un atto sociale. Ma nel mio balletto la morte di Mishima è molto simbolizzata, suggerita da un bambino che si suicida con un ventaglio. E non è neppure un suicidio perché poi c'è la resurrezione: Mishima credeva nella reincarnazione, nell'eterno ritorno. Alla fine si vede, come all'inizio, un bambino che passeggia sulla spiaggia con la madre. Ho seguito soprattutto i temi spirituali di Mishima». Quali temi in particolare? «Per esempio il mare, presente anche nel suo ultimo romanzo II mare della fertilità. E poi la morte, il senso del tragico, del comico, dell'erotico, l'omosessualità. Un po' come i Leitmotiv delle opere wagneriane che tornano continuamente e formano una partitura, questi temi costituiscono il corpus molteplice ma al tempo stesso compatto dell'opera di Mishima». C'entra con l'omosessualità il culto per il corpo di Mishima che amava farsi fotografare nudo in pose da samurai? «Non obbligatoriamente. Deriva piuttosto da un complesso. Spesso i culti sono compensazioni. Mishima era piccolo e magro. Alla visita di leva è stato scartato e questo l'aveva fatto soffrire molto. Decise di ingaggiare una lotta con il suo corpo per renderlo muscoloso. Alla fine era fiero del risultato perché era riuscito a realizzare un'opera d'arte. Era stato come prendere una pietra e trasformarla nel Davide di Michelangelo». Ma un maschio che si pavoneggia e esibisce il suo corpo nudo rimanda facilmente a certi cliché omosessuali. «Non dimentichiamo che siamo il prodotto della civiltà anglosassone puritana del XIX secolo. Nel mondo animale è il maschio che solitamente ha più colori ed è più bello. Sino al secolo scorso in tutte le civiltà gli uomini si coprivano di piume, nastri, gioielli: per esempio nell'Italia del Rinascimento o nella Francia di Luigi XIV. Nella Venezia del '700 l'uomo era truccato e vestito con cu¬ ra tanto quanto la donna. Spesso nei costumi gli attributi sessuali venivano messi in evidenza. Quando tutti hanno incominciato a imitare il puritanesimo della Regina Vittoria questo atteggiamento è scomparso». Nel suo libro «La Mort Subite» lei racconta di una sciabola da «seppuku» che porta a letto con sé. «E' vero, nella mia camera ho quattro sciabole che mi sono costantemente vicine e spesso me ne porto una a letto: mi piace sentirla, è come un amore fisico». Idea curiosa, quasi quanto quella di intitolare un libro «La Mort Subite». «La mort subite è una marca di birra e un caffè di Bruxelles che produce quella birra. Si trova a 150 metri dal Teatro della Monnaie dove ho lavorato per molti anni con il Ballet du XX Siècle. In quel caffè ho incontrato Wieland Wagner, Franco Zeffirelli, tutti quelli che lavoravano al teatro. Un giorno ero seduto a un tavolino e ho sentito l'urgenza di scrivere. Ho chiesto carta e penna. Mentre scrivevo mi sono reso conto che erano esattamente 30 anni che mio padre era morto (una "mort subite" anche la sua, in un incidente d'auto); che io avevo esattamente l'età che aveva lui al momento della morte; che avevo visto mio padre per l'ultima volta proprio in quel caffè. Questa serie di coincidenze mi ha traumatizzato come un segnale». Suo padre, il filosofo Gaston Berger, grande conoscitore della cultura tedesca, traduttore di Husserl, è al centro del libro. «Sì, sono ricordi d'infanzia che poco per volta si sono mescolati con le note del Journal intime, il diario di mio padre che avevo conservato. Scrivendo mi è successo, . a po' alla maniera di Prous' ritrovare il tempo per¬ duto, ciò che ero, quindi anche la sentimentalità e l'emotività di un ragazzo fra i sette e i quindici anni». Anni difficili, di sofferenza, fame e guerra «Io non mi lamento della mia vita. Mi sento felice e privilegiato. Ma allora era dura. Ho perduto mia madre a sette anni. Poi c'è stata la guerra. Un ricordo forte è quello della fame: per cinque anni sempre fame. Ho avuto talmente fame che ancora oggi a 66 anni mangio molto di più di quanto dovrei». Lei racconta anche della Resistenza. Vi ha preso parte? «No, ero troppo giovane. Mio padre mi aveva portato con sé sui monti dell'Alta Provenza perché in città facevano rastrellamenti. Si dormiva nei boschi e si andava a chiedere pane e uova nelle cascine. Si viveva sempre all'aperto. E' durata tre o quattro mesi prima dell'arrivo degli alleati». Le deriva da suo padre questo amore per Nietzsche e la cultura tedesca? «Evidentemente. Quando ho scoperto la mia creatività, l'universo poetico e filosofico tedesco mi ha influenzato, insieme con quello italiano, più di ogni altro. I due Paesi con cui sento maggiore affinità culturale sono la Germania e l'Italia. Sono due Paesi contraddittori e complementari e questo, ne sono convinto, non è mai stato evidente quanto nel Medioevo ai tempi del Sacro Romano Impero e di Federico n». Ma lei è nato a Marsiglia, la cultura francese vorrà dire qualche cosa per lei. «Marsiglia non è la Francia. Me ne sono reso conto a 19 anni quando sono arrivato a Parigi per la prima volta, finita la guerra: mi sono trovato in un Paese completamente straniero. Era più spaesante per me arrivare a Parigi che per un giovane d'oggi andare in Thailandia. Subito dopo sono andato a studiare a Londra, a Stoccolma. Ma non erano Paesi più stranieri per me». Se Marsiglia non è Francia che cosa è? «Una città mediterranea, come Genova o Barcellona». Il Mediterraneo. Un altro tema che torna spesso nei suoi balletti: in «Thalassa», nelle «Sette danze greche». E' presente anche nel suo prossimo lavoro «Ballade de la rue Athina», ambientato nei bassifondi di Atene e costruito sulle musiche di Manos Adjidakis? «Solo in parte. In questo caso mi interessa di più mettere in risalto l'atmosfera pasoliniana di questa strada malfamata di Atene. Un ambiente fatto di esseri che si incontrano, si amano, si uccidono, senza una storia precisa, con molta violenza e con la nostalgia per l'Atene del dopoguerra». Sergio Trombetta «Altro che destra e sinistra: lo scrittore giapponese e Pasolini vicini per ideologia e umanità» «Porto in scena la morte, le ossessioni e l'omosessualità, di Mishima»