«La ripresa dipende dal Gatt» di Stefano Lepri

D'accordo i Sette Grandi: solo commerci liberi batteranno la recessione D'accordo i Sette Grandi: solo commerci liberi batteranno la recessione «La ripresa dipende dal Colt» Barucci: l'export ci salverà WASHINGTON DAL NOSTRO INVIATO «In soldoni, dobbiamo creare nuovi posti di lavoro»: per spiegare al mondo il vertice dei sette grandi dell'economia, il ministro del Tesoro americano Lloyd Bentsen ha scelto parole semplici, colloquiali. Già, ma come si fa? Che cosa faranno, i 7 governi, visto che né le ricette keynesiane degli Anni 60 e 70, né quelle reaganiane degli Anni 80 sono più applicabili? Mentre a Washington si susseguono le riunioni di ministri e banchieri centrali, fino all'assemblea annuale del Fmi di domani, la ricetta sembra essere soprattutto una: per far ripartire a pieno ritmo il meccanismo dell'economia di mercato, ci vuole una promessa di libero mercato mondiale, senza più ostacoli. «L'unico modo è concludere entro l'anno il negoziato Gatt per la liberalizzazione dei commerci» ripete senza stancarsi ai giornalisti il ministro del Tesoro italiano Piero Barucci, e lo stesso stanno facendo nelle stesse ore molti suoi colleghi di altri Paesi. Al contrario, con una rottura «rischiamo di prendere la via delle vendette commerciali». Però è da sette anni che si ripete questo teatrino dell'«Uruguay Round», con tutti i governanti che ripetono: «Entro la fine di quest'anno o la va o la spacca» e poi non la va, perché i governi non riescono a mettersi d'accordo, né tuttavia la spacca, perché si rinvia. «Questa volta ho l'impressione che una proroga non ci possa essere» sostiene Peter Sutherland, che del Gatt è il direttore generale. Anzi, come va a finire lo si saprà tra breve. Il termine che i negoziatori si sono dati è il 15 dicembre, ma «si tratta di un accordo molto complicato, di centinaia di pagine, che non può certo essere abbozzato sul retro di una busta nella notte del 14 dicembre». Forse come butta lo si capirà già oggi qui a Washington, quando il vicepresidente della Cee Leon Brittan si incontrerà con il rappresentante commerciale Usa Mickey Kantor. Due volte nell'ultimo anno è stata annunciata la svolta: nel novembre del '92 con l'accordo di Blair House tra Usa e Cee, nel lu¬ glio del '93 a margine del vertice di Tokyo, con l'intesa quadrilaterale su molte materie tra Usa, Cee, Canada e Giappone. Però la Francia vuole cambiare l'accordo di Blair House e l'intesa quadrilaterale avrà vigore solo se si raggiungerà un accordo globale. Tutti dicono che se si fallisce è un disastro, ma il successo resta lontano. Sutherland illumina un aspetto interessante di questa schizofrenia dei governi: «Sui negoziati in ciascun settore commerciale esercitano troppa influenza gli interessi di quel singolo settore. Manca una capacità di leadership». Dettano legge le lobbies, i governi non sono capaci di soppesare vantaggi e svantaggi per l'insieme della popolazione. Eppure i vantaggi sarebbero molto superiori agli svantaggi, per quasi tutto il mondo, assicura un complicatissimo studio econometrico condotto dalla Banca mondiale e dall'Ocse e pubblicato ieri. Anzi, nota con ironia Ian Goldin, uno degli autori, «i vantaggi sarebbero maggiori proprio per quei Paesi ricchi che maggiormente fanno resistenza alla liberalizzazione dei commerci». Gli unici a perdere sarebbero alcuni Paesi molto poveri dell'Africa che importano generi alimentari; ma in una misura facilmente compensabile con gli aiuti internazionali. L'Uruguay Round così come viene negoziato potrebbe accrescere. eliminando il 30% dei sussidi e delle barriere tariffarie per i prodotti agricoli, di 190 miliardi di dollari (oltre 300.000 miliardi di lire) il reddito del pianeta. Quasi due terzi del guadagno andrebbero ai Paesi Ocse (i ricchi) e il resto agli altri; a confronto, le perdite per i produttori agricoli degli stessi Paesi Ocse sarebbero di 21 miliardi di dollari e non sarebbero sufficienti a impedire una crescita dei loro redditi nel prossimo decennio. Per l'Italia in questo momento, sottolinea il ministro Barucci, lo sviluppo dei commerci internazionali è vitale, perché la spinta per la ripresa non può venire dall'interno. I posti di lavoro in più, dice, «possono essere solo posti produttivi, in aziende in grado di stare sul mercato». Non è possibile dire quando la ripresa ci sarà da noi perché saranno gli altri Paesi a trascinarci, quando si muoveranno. La disoccupazione è grave, ma non peggiore che in altri Paesi vicini: «Ce ne accorgiamo di più che in crisi precedenti, perché investe i servizi e non solo l'industria». II governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, intervenendo per correggere le esagerazioni di alcuni giornali, precisa che il calo medio degli occupati dal '92 al '93 risulta del 2% circa, cioè di 400 mila; nessuno ha mai detto che da qui alla fine dell'anno si perderà un altro mezzo milione di posti. Stefano Lepri Il ministro del Tesoro Piero Barucci protagonista al G7