Rabin conquista un pezzo di Likud di Aldo Baquis

Il «partito del no» vuol cacciare i ribelli. Peres: il popolo ebraico ha una coscienza ISRAELE Il «partito del no» vuol cacciare i ribelli. Peres: il popolo ebraico ha una coscienza Robin conquista un pezzo di likud Sì della Knesset alla pace, in tre tradiscono Shamir TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Al termine di un'aspra battaglia parlamentare durata tre giorni, il primo ministro Yitzhak Rabin è riuscito ieri ad ottenere dalla Knesset di Gerusalemme la ratifica degli accordi con l'Olp, grazie a una maggioranza esigua che - a suo avviso - gli consente ugualmente «un ampio margine di manovra». L'esito positivo del voto è stato dovuto all'astensione di cinque deputati del partito ortodosso Shas e di tre del Likud. Dei 119 deputati presenti in aula, 61 hanno appoggiato gli accordi per l'autonomia palestinese a Gaza e a Gerico, 50 si sono opposti, otto si sono astenuti. Più che una vittoria parlamentare per i laboristi, è stata una sconfitta della rigida linea imposta da Benyamin Netanyahu al Likud. «Se Netanyahu non ci avesse imposto di votare contro - ha detto Meir Shitrit, uno dei tre ribelli del Likud, che ora rischiano l'espulsione dal partito - altri sette compagni di lista si sarebbero pure astenuti». Una convinzione che è condivisa anche dal politologo Hannan Cristal: «Il 20-30 per cento dei sostenitori del Likud - ha scritto sul quotidiano Hadashot - approvano gli accordi di pace e sono disposti a verificare se possano essere realizzati sul terreno». Prima di poter toccare con mano questo successo, Rabin ha passato alcune ore di grande tensione. In mattinata si è recato dal leader spirituale dello Shas, il rabbino Ovadia Yossef, per indurlo a ordinare ai suoi deputati di astenersi dal voto. Ovadia gli ha risposto di essere in preda a forti dubbi: da un lato, gli accordi con l'Olp lasciano intravedere la possibilità di una rappacificazione con gli arabi, mentre dall'altro rischiano di destabilizzare ulteriormente la vita di oltre 120 mila coloni ebrei nei Territori. Da questa risposta, il premier ha creduto di comprendere che l'astensione di questi deputati- rabbini (che fino a due settimane fa siedevano al tavolo del governo) fosse cosa fatta. Ma quando sul podio della Knesset è salito il ministro degli Esteri Shimon Peres, i laboristi hanno scoperto che lo Shas si sarebbe astenuto sulla mozione del governo, ma avrebbe poi votato a favore di una dura «mozione conclusiva», stilata dal Likud. In termini pratici, gli accordi sarebbero stati ratificati ugualmente ma agli occhi dell'opinione pubblica il successo di Rabin sarebbe apparso molto opaco. L'intervento di Peres - che in origine doveva essere di dieci minuti - si è così protratto per un'ora mentre, dietro le quinte, i laboristi cercavano affannosamente di trovare una via d'uscita. Alla fine, sono riusciti a convincere lo Shas a presentare una sua «mozione conclusiva», diversa da quella del Likud solo nel preambolo: «Shas ritiene che gli accordi con l'Olp lascino intravedere una speranza di pace...». Nel suo discorso, Peres ha cercato a più riprese di placare le apprensioni suscitate nel Paese dagli accordi con Arafat. No, ha detto il ministro, Israele non ha accettato il «diritto al ritorno» dei profughi palestinesi. No, ha aggiunto, il futuro di Gerusalemme come capitale unificata dello Stato ebraico non è in discussione. No, ha incalzato, interrotto a più riprese dall'opposizione di destra, lo Stato palestr. jsp non si farà, ci opporremo s-- c-uamente. «Il XX secolo è finito - ha detto Peres - e adesso si tratta di scegliere se vogliamo tornare al XIX secolo, e poi indietro fino al Medio Evo, oppure se vogliamo proiettarci nel XXI». E ancora: «Il popolo ebraico ha una coscienza. Non potevamo caricarci del dolore e del sangue di Gaza». L'esito del voto non gli ha poi lasciato dubbi: «Adesso tutti al lavoro - ha concluso - per edificare il nuovo Medio Oriente». Aldo Baquis

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