«Pci e pds hanno due conti in Svizzera» di Susanna Marzolla

Si costituisce il leader delle Coop rosse, Donigaglia. In Procura interrogato Sama Si costituisce il leader delle Coop rosse, Donigaglia. In Procura interrogato Sama «Pei e pds hanno due tonti in Svizzera» Oggi Di Pietro a Lugano, Occhetto insiste: non è vero MILANO. Un muro a difesa del pds. Roberto Cappellini, ex segretario della federazione di Milano: «Mai parlato di tangenti, né dentro né fuori il partito». Giovanni Donigaglia, responsabile della Cooperativa costruttori Argenta: «Mai commesso atti illeciti. Sono militante da una vita; ho finanziato il pei-pds sempre alla luce del sole». Ma intanto Antonio Di Pietro sembra sicuro di trovare, oggi in Svizzera, una falla in quel muro: avrebbe scoperto traccia di due conti direttamente riferibili al pci-pds; la rogatoria è in corso e spera di aver in mano i documenti. La sofferenza giudiziaria, per il partito della Quercia e il suo gruppo dirigente, è tutt'altro che finita. Dei rapporti tra Montedison e pci-pds awrebbe parlato anche Carlo Sama, ex amministratore delegato della Montedison e cognato di Raul Gardini, che ieri sera è tornato da Di Pietro per una nuova deposizione. Sama, accompagnato dall'aw. Arata, è rimasto nell'ufficio del magistrato per un paio d'ore. La giornata di ieri, per il pds, pareva promettere bene. Per primo è toccato a Roberto Cappellini, nuovamente interrogato a San Vittore. Ha ribadito di aver ricevuto i soldi da Luigi Carnevale, ex vicepresidente della Mm, ignorandone però la provenienza. E sul punto cruciale è stato irremovibile: «Mai discusso di tangenti, o di una loro spar- tizione, con i vertici del partito». Era quello che sosteneva invece Carnevale, che cioè Cappellini gli avesse parlato di uno schema di divisione territoriale delle «contribuzioni», discussa con il tesoriere Marcello Stefanini. Cappellini, però, ha smentito su tutta la linea. E il suo avvocato, Gianfranco Maris, ne ha chiesto la scarcerazione perché «le accuse sono prive di riscontri ed ispirate ad un disegno calunnioso ed inquietante che si prefigge in tutta evidenza il depistaggio delle indagini». Poi è toccato a Donigaglia, che si è costituito verso le 14, a Palazzo di giustizia. Quale sarebbe stato il tono delle sue risposte lo si è capita subito, prima che entrasse nell'ufficio del gip: «Le bugie hanno le gambe corte - ha detto - la verità verrà a galla». Non nega affatto, Donigaglia, di aver dato soldi al «suo partito». Negli ultimi quattro anni avrebbe versato 850 milioni, sotto forma di pubblicità e di sottoscrizioni ai festival dell'Unità: «Tutti contributi leciti - dice - regolarmente messi a bilancio». Lui dice - tangenti non ne ha mai pagate, né al pci-pds, né ad altri. Simili risposte non accontentano i magistrati: e infatti Donigaglia viene spedito a San Vittore. «E' un'ingiustizia» lo si sente dire mentre sale sull'auto dei carabinieri che lo porta in carcere. Infine Primo Greganti. A Roma era rimbalzata la voce: «Ha parlato». Falso, se si intende che ha coinvolto il partito; vero, se si intende che abbia dato nuove indicazioni ai magistrati. Lo ha fatto, ma sempre all'interno della sua versione: «I soldi erano per me, per il mio lavoro di consulente dei Ferruzzi in Cina. Tanto per me - aggiunge - che i 525 milioni versati da Pino Berlini sono ancora sul mio conto». E fornisce a Di Pietro il nome di un commercialista di Lugano; avrebbe il conto in gestione. Anche sul fronte-Binasco, Greganti non si sposta di un millimetro. Messo ieri a confronto con l'imprenditore ha ribadito di avergli restituito tutti i soldi. Anche Bruno Binasco, comun¬ que, è rimasto sulle sue posizioni, continuando a sostenere di aver lasciato «un contributo» al partito. La sua credibilità, però, sembra subire qualche crepa: tra le altre cose aveva raccontato di una riunione con Lucio Libertini «il quale ci fece capire che il pei apriva all'imprenditoria privata da cui si aspettava un ritorno economico per il partito». Una riunione, dice sempre Binasco, cui furono invitati «i rappresentanti delle imprese Lodigiani, Astaldi e altri». Ma questi imprenditori, certo non sospettabili di simpatie comuniste, sembra abbiano decisamente smentito che un incontro del genere si sia mai tenuto. Insomma ieri il pds sembrava aver segnato diversi punti a proprio favore. E allora come mai quel sorriso sulla faccia di Di Pietro quando annuncia che va in Svizzera? In fondo potrebbe andare a scoprire che Greganti ha proprio ragione... Invece in serata comincia a serpeggiare la voce: «Non va in Svizzera solo per Greganti; ha scoperto qualcosa di molto più grosso». Ed eccola, la notizia che, sul fronte giudiziario, potrebbe segnare la sconfitta del pds: ci sarebbero tracce di due conti, il primo riferibile a «persone vicine al pei»; il secondo di epoca successiva, «riconducibile» al pds. E stavolta, a quanto «si dice», non si tratterebbe di un «compagno G.», ma di personaggi che in alcun modo potrebbero sostenere di agire per proprio conto. Non solo, la rogatoria sul conto sarebbe a buon punto: cosi quando arriverà in terra elvetica il magistrato potrebbe già ritrovarsi in possesso di una consistente documentazione. La notizia arriva in serata, mentre le agenzie battono il testo dell'editoriale di Occhetto che esce oggi sull'Unità: «Quando dico che non abbiamo conti in Svizzera, dico il vero», scrive il segretario del pds. Una frase che rischia di essere irrimediabilmente smentita? Da Lugano, oggi, la risposta. Susanna Marzolla Primo Greganti ieri a confronto con l'imprenditore Bruno Binasco