Andremo in sella solo con abiti omologati di Cosimo Mancini
Andremo in sella solo con abiti omologati MOTO Dibattito fra i tecnici sull'utilità di usare indumenti con protezioni rigide o in gommapiuma Andremo in sella solo con abiti omologati La Cee sta studiando i requisiti che dovranno avere le tute Andremo in motocicletta indossando solo abiti omologati? E' quello che prevede una direttiva Cee che dovrebbe diventare operativa dal primo gennaio del 1995. Nel frattempo la commissione tecnica presieduta dall'ingegnere tedesco Cristoph Mayer è al lavoro per stabilire le specifiche alle quali si dovranno attenere in futuro i fabbricanti. «I lavori della commissione spiega il tecnico - accusano un certo ritardo e non credo che si arriverà alla stesura definitiva delle specifiche prima di maggio dell'anno prossimo. Siamo, comunque, sulla buona strada e abbiamo già stabilito le norme fondamentali dei controlli che consentiranno di arrivare alla certificazione. Visto che le idee di partenza erano molto diverse, ritengo che si tratti di un buon risultato». Erano due le scuole di pensiero in antitesi: da una parte tedeschi e inglesi, sostenitori delle protezioni in gomma-spugna, dall'altra gli italiani, in particolare la Dainese di Velate (Vicenza) che veste quattro piloti da gran premio su dieci (22.000 tute vendute all'anno). Da noi si puntava sulle protezioni rigide. Alla fine l'hanno spuntata gli stranieri ma la Dainese non vuole darsi per vinta ed ha diffuso, in questi giorni, la documentazione relativa agli studi condotti con una macchina che riproduce gli effetti delle cadute sul corpo umano. «Mettiamo a disposizione di tutti - spiega il dottor Vittorio Cafaggi, direttore marketing della casa di Velate - i risultati delle nostre ricerche per dimostrare che sono l'unica via giusta per raggiungere un buon livello di sicurezza. La gommaspugna si adoperava alcuni decenni fa. Ancora oggi ha una sua validità, ma soltanto in al¬ cune parti del corpo soggette allo strisciamento al suolo. Le principali articolazioni ossee, invece, devono essere protette con ripari rigidi, in grado di ripartire su una grande superficie l'urto con oggetti acuminati». Il concetto lo spiega con efficacia il dottor Claudio Costa, il medico sempre presente sui campi di gara con l'ormai famosa clinica mobile: «Se cammino con le scarpe sulla neve affondo, se adopero le racchette mi muovo con la leggerezza della Fracci». Il grande nemico del motociclista che cade sono i corpi appuntiti che, all'impatto con l'osso, lo sbriciolano e perforano la carne provocando ferite che complicano i successivi interventi chirurgici. La gommaspugna si buca e finisce per offrire poca resistenza. Dopo anni di ricerche l'azienda vicentina ha messo a punto e brevettato delle protezioni anatomiche che seguono la forma delle ginocchia, dei gomiti, degli omeri e della schiena. Dalla parte interna sono imbottite di schiuma poliuretanica a bassa memoria che assorbe l'urto distribuendolo su una grande superficie e diminuendo i danni. La macchina messa a punto per i test consiste in un dispositivo che lascia cadere un peso di cinque chili su una base che porta nove sensori collegati ad un computer. Si poggia la protezione in fase di studio sui sensori e si lascia cadere il peso. Il computer traccia un grafico che riproduce gli effetti dell'urto. Se questo si distribuisce uniformemente sui nove sensori, la soluzione è perfetta. Cosa ne pensa il dottor Costa delle protezioni rigide? «Il primo requisito di una tuta per motociclista - dice il medico - è quello di consentire la massima mobilità al pilota. Più cose si aggiungono, più si limita il movimento. Il secondo requisito è quello di dare un senso di benessere, mitigando il caldo o il freddo. Occorre una tuta per ogni condizione climatica. Il terzo elemento della tuta deve essere quello di consumarsi nelle scivolate sull'asfalto. In tal modo il pilota perde velocità, ma la tuta deve essere ancora in grado di ripararlo dalle abrasioni che complicano la situazione per il medico che deve intervenire in caso di fratture. Da quando esiste il paraschiena, non ricordo di essere più intervenuto per curare questo ti- po di lesioni». Sull'utilità del paraschiena sarebbe stato interessante vedere quello della tuta indossata da Wayne Rainei nel drammatico incidente di Misano dove il pilota americano ha riportato la frattura di una vertebra. L'esperienza acquisita nelle gare dai fabbricanti di tute viene messa al servizio del motociclista che, pagando due o trecentomila lire in più, può avere un abbigliamento che lo proteggerà in caso di caduta nelle gite domenicali. Cosimo Mancini Per chi compie lunghi percorsi in motocicletta le tute sono un accessorio importante per viaggiare più comodi e aumentare la sicurezza
Persone citate: Claudio Costa, Cristoph Mayer, Dainese, Fracci, Wayne Rainei
Luoghi citati: Vicenza
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