Neruda La fatica di essere rossi

Vent'anni fa moriva il poeta cileno. Lo scrittore Jorge Amado ricorda l'amico: i viaggi, le battaglie, i rimpianti Vent'anni fa moriva il poeta cileno. Lo scrittore Jorge Amado ricorda l'amico: i viaggi, le battaglie, i rimpianti la fatica di essere rossi ~w| L 23 settembre del 1973, I nella sua casa di Isla NeI gra - casa di marinai I eretta sulle rive dell'O—fflceano Pacifico - morì il poeta Pablo Neruda, pochi giorni dopo l'assassinio del presidente Salvador Allende e la presa del potere da parte dei gorilla cileni, quando aveva inizio il terrore di Pinochet. Dall'alto della casa, come in barca, il poeta infermo poteva vedere le onde selvagge che si schiantavano contro la scarpata della montagna e, più che sentire, indovinava il rumore degli stivali dei soldati all'invadere le case, la reazione scatenata, la carneficina, la fine del sogno e della speranza, l'inizio della folle tragedia. Matilde proteggeva il poeta nel suo grembo, cercava di impedire che venisse a sapere - chi ci sarebbe riuscito? Pablo morì nel momento stesso in cui cominciava il calvario del popolo cileno, il suo funerale fu il primo atto di protesta contro la dittatura militare appena instaurata. Questo accadde vent'anni fa, il popolo cileno a poco a poco recupera la vita democratica, ancora limitata dalla presenza di Pinochet a capo delle truppe, una democrazia sotto sorve.gjiapza. Penso ai poemi che Paolo avrebbe scritto nel corso di questi anni, se avesse vissuto l'epoca del martirio e dell'indignazione. L'incomparabile poeta dell'amore, delle 20 poesie d'amore e della canzone disperata, il vate delle dimore sulla terra in movimento, è lo stesso bardo del «Canto General»; Walt Whitman della nostra America, quella povera, quell'oppressa, Pablo Neruda innalza i compiti del cittadino alla condizione d'opera d'arte. Immagino - non immagino, so, poiché ho visto e testimoniato - come a volte fu difficile, a Pablo, compiere i suoi doveri di cittadino comunista, addetto e devoto al progetto di società che Lenin impiantò sul falò della guerra nella Russia zarista. Ai tempi della devozione incondizionata, ai nostri tempi stalinisti (convinti e ferrigni), ci furono occasioni in cui forse gli sembrò eccessivo il peso dell'obbligo e il poeta arrivò al limite del suo impegno. Ricordo due episodi, del primo ne parlammo nel riserbo della nostra fraternità, al secondo ero presente. Così potei percepire come sanguinasse il cuore di Pablo. Il primo risale alla mostruosa campagna sovietica contro lo scrittore Boris Pasternak, quando gli fu concesso il premio Nobel. Pablo dovette ingoiare lo sdegno che lo indusse a dichiarazioni di protesta a giornalisti peruviani, dichiarazioni che il picei cileno giudicò degne di condanna e che pubblicamente condannò screditando così il militante illustre. Il secondo avvenne a Pechino, in Cina, nel 1957. Pablo e Matilde, Zélia ed io vi eravamo arrivati allegri e fiduciosi. All'improvviso, invece della chiara luce del giorno, si abbatterono su di noi le tenebre della notte. Eravamo arrivati riconfortati dalla recentissima tesi di Mao Tse-tung, che stabiliva per il regime comunista cinese l'urgente necessità di effettuare una apertura ideologica, permettendo così che le bocche si aprissero e parlassero: «Che sboccino i cento fiori», aveva scritto Mao, accendendo le speranze. Ansiosi viaggiatori, eravamo lì per assistere allo sbocciare dei cento fiori, per presenziare allo spettacolo delle bocche finalmente libere dai bavagli. Ebbene, era tutta una grande bugia, la tesi del dirigente massimo non era che una farsa, sanguinosa. Ciò che vedemmo fu esattamente il contrario, l'inizio di un periodo di repressione violenta, di persecuzione agli intellettuali, ai poeti e romanzieri, periodo che precedette lo stabilimento della maldenominata Rivoluzione Culturale di triste memoria, triste e sanguinosa (è necessario ripetere la parola «sanguinosa», poiché oltre ad aver predominato, rende l'idea). I nostri amici più cari, grandi nomi della letteratura della Cina, militanti messi alla prova dal Partito dai lunghi anni dedicati alla causa, la scrittrice di romanzi Ting Line, presidente dell'Unione degli scrittori della Repubblica Popolare Cinese, i poeti Emi Siao (Siao Sam), dirigente del Movimento mondiale per la pace, l'amico di Majakovskij, e Ai Ching, immenso poeta, dolce creatura, furono arrestati, all'improvviso scomparvero dal nostro sguardo, si fece notte, ci scoprimmo ciechi, nel buio. Prima della nostra partenza per Mosca, gli scrittori e gli artisti organizzarono un banchetto di addio, si scambiarono gli usuali discorsi - da molto tem¬ po ormai, in tali brindisi, il formalismo aveva superato la fraternità -, gli elogi ai visitanti, compagni di lotta, scrittori di fama. Uno degli oratori, ministro, dignitario del Partito, levò il calice per salutare due poeti, disse con solennità altisonante: «A Pablo Neruda, il maggior poeta delle Americhe, e a Mao Tsetung, il maggior poeta dell'A¬ sia». Guardai Pablo, lui levò il suo calice e disse di sapere che Mao Tse-tung era autore di esattamente 17 poemi, né di più, né di meno, (seppi così di quanti poemi erano composte le «Poesie complete» del leader), non gli sembrava corretto classificare colui che aveva scritto così ben pochi versi come il maggior poeta dell'Asia; lui, Pablo, rinunciava alla comparazione, non gli sembrava un elogio. Si fece un silenzio da finimondo, quanti secondi durò? Si accorciò il banchetto, tacquero i discorsi, il giorno dopo par- timmo per Mosca, scappammo - proprio così: scappammo. Pablo mi disse: «Se non avessi detto quello che ho detto, sarei morto, compare». Pablo è morto vent'anni fa, la sua poesia è la nostra eredità. La sua poesia e la sua dignità di uomo. Lo ricordo in piedi, la voce lenta e tiepida, pronunciando i versi di un poema, gli piaceva declamare i suoi poemi: «Quiero escribir los versos mas tristes està noche... Voglio scrivere i versi più tristi questa notte... Jorge Amado «Non brindò a Mao Tse Tung "poeta": gelo al banchetto» «Dalla montagna sentiva i soldati di Pinochet seminare terrore» Neruda visto da Levine. o a sinistra: Jorge Amado Mao e Pasternak. Amado: «Per quell'amico ingoiò lo sdegno» Pablo Neruda visto da Levine. In alto a sinistra: Jorge Amado Sotto: Mao e Pasternak. Dice Amado: «Per quell'amico Pablo ingoiò lo sdegno»

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