Il crollo del «Divo Giulio» tra vecchi amici e canzonette di Nino Rovelli

Il crollo del «Divo Giulio» tra vecchi amici e canzonette Il crollo del «Divo Giulio» tra vecchi amici e canzonette MILIONI E BUGIE F ROMA ORSE anche chi legge prova la stessa sensazione, ima vaga nausea, che prova chi scrive: la ripetizione infinita di uno stesso tema, la fine, il declino, la rovina del senatore Giulio Andreotti. E' dal giorno dell'omicidio di Salvo Lima che questo genere di note si sommano in una dissonanza allarmante, parente dell'ossessione e dell'incubo. Adesso l'incubo si colora di grottesco, prende i colori e gli odori della pastasciutta all'amatriciana, perché si arricchisce di spezie inattese. Ecco dunque Giulio Andreotti, l'immarcescibile, il callido, l'uomo che è stato chiamato «la volpe», o «le manine», finire inchiodato per la prima volta, a causa e per colpa di chi? Di un impresario di cantanti e ballerini, Ezio Radaelli ex patron del Cantagiro. E poi di quel suo ex fido e braccio destro, ex traffichino di boxe ed ex ministro della Marina Mercantile, che è Franco Evangelisti, il famoso «A Fra che te serve?». La storia di questa ultima caduta di Andreotti, il quale per la prima volta ha dovuto ammettere di aver mentito, e anche di essere rimasto irreparabilmente logorato da tanto esercizio del potere. E' stata una scena interna, girata come in un film, il nuovo genere di commedia all'italiana, con molti morti e molti assegni, all'interno di un appartamento: quello appunto del senatore Franco Evangelisti, il quale non sta bene e non può uscire di casa. Sembra incredibile e pudicamente impossibile che le storie di trame terribili ed indecifrate, quelle dell'uccisione di Aldo Moro e dell'eliminazione del genera le Carlo Alberto Dalla Chiesa, passino anche attraverso la stes sa sceneggiatura che comprende l'ingaggio di cantanti (sembra di sentire sullo sfondo le voci, che so, di Teddy Reno e Rita Pavone) che vengono pagati con denari segreti e illegali: gli assegni messi gentilmente a disposizione di Andreotti da uno di quei capitani di sventura dell'industria finto-pri vata italiana, che fu l'ingegnere Nino Rovelli della Sir, uomo alto e di bell'aspetto, dai capelli lisci e bianchi, uomo di mondo, gran protettore della chimica. Gli assegni di Rovelli, come quelli di Franco Caltagirone, e come quelli di tanti altri, servivano a finanziare i partiti (Evange listi raccontò a me, che nell'indifferenza generale lo resi pubblico, come gli assegni fossero portati anche al segretario politico della de Benigno Zaccagnini, ora beatificando), e a finanziare le corren ti, i singoli uomini politici, i por taborse, le loro gentili entraineuses, all'occorrenza i famosi nani e ballerine, ma anche più banalmente gli uomini, lepaillettes, le orchestre e le ugole del Cantagiro, se assoldate dalla commedia dell'arte politica per trillare e strimpellare in accordo con il tinnire dei bicchieri delle tavolate di Giulio Andreotti. E così, la storia pastasciuttara che ieri si è farcita di nuove inte¬ riora, vede un Andreotti trascinato in metaforici ceppi, quelli dell'inquisito, in casa del suo vecchio sodale Evangelisti, male in arnese; e poi vede lo stesso Andreotti, incastrato dal vecchio sottoposto, dover chinare la testa e ammettere di aver fatto l'impossibile (già, fino a che punto) per impedire che si sapesse l'origine dei soldi versati a Radaelli per aver allietato le tavolate elet¬ torali di una tornata amministrativa: un conto per i suonatori e i chitarristi di 170 milioni, una briciola della più cospicua pagnotta di quasi un miliardo e mezzo che formava il centro dell'affare Sir-Italcasse. Sembra una cosa da niente, quasi marginale, questa degli assegni a Radaelli. E invece non è così, e si capisce purtroppo molto bene perché Giulio Andreotti, se è vero ciò che filtrava ieri su questo interrogatorio, si era dato come si dice dalle sue parti «a Sant Nega» finché ha potuto: perché della stessa smazzata di assegni faceva parte anche quello, o quelli, che formarono il probabile compenso versato nelle mani del fantasioso ed equivoco pseudogiornalista Mino Pecorelli, finito poi morto ammazzato. Quello che è accaduto ieri, insomma, si accorda purtroppo con grande linearità alle rivelazioni di Buscetta, secondo cui Pecorelli fu assassinato dalla mafia su richiesta dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i quali a loro volta - dice Buscetta erano stati richiesti della cortesia, proprio da Andreotti. E quale sarebbe il movente? Chiudere la bocca a un uomo che sapeva o aveva capito troppo sui rapporti troppo stretti fra An- dreotti e il generale Dalla Chiesa, il quale avrebbe consegnato ad Andreotti i verbali segreti di Aldo Moro prelevati nel famoso covo delle brigate rosse di via Monte Nevoso a Milano. La storia è aggrovigliata e non pretendiamo di renderne evidente e disciolti i grumi, i nodi, le mostruosità e forse anche qualche falsità. Sta di fatto che O.P., il settimanale torbidamente enigmistico di Pecorelli, rinunciò a pubblicare rivelazioni sugli assegni messi a disposizione di Andreotti, in cambio di una mancia di 30 milioni portata a Pecorelli personalmente da Franco Evangelisti. Mancia pagata, guarda un po', con il denaro del munifico e magnifico Franco Caltagirone, quello che, stando a ciò che mi raccontò Evangelisti dodici anni fa, si presentava periodicamente al palazzo della de e cominciava la distribuzione dei suoi assegni, senza badare alla cifra: «A Fra', che te serve?...». E giù la firma. Ecco a che punto è arrivata la parabola declinante del «divo Giulio», dell'uomo sopraffinamente prudente. Il guaio, lo choc, la novità della giornata di ieri, è che Andreotti, come Cesare di fronte al pugnale di Bruto, ha abbassato la guardia e si è lasciato colpire ammettendo di aver avuto quegli assegni, e ammettendo implicitamente di avere mentito. E questo, si badi, è accaduto in via Ezio a Roma, fra le vestaglie e le pastiglie dell'ex amico ormai malato e come invasato, o indifferente alla vita e alla sorte del suo divo Giulio, ormai vulnerato. E se Evangelisti ha provocato un forte trauma raccontando delle sue visite a Mino Pecorelli, delle visite di Dalla Chiesa a Andreotti, di quel carnevale di assegni come stelle filanti che chiudevano bocche e pagavano coscienze e testimonianze, la riconferma di Radaelli, patron del Cantagiro, ha impresso il marchio della commedia, quella dei musicanti affittati e pagati in nero, sottobanco, con assegni della chimica, con assegni la cui origine sarebbe stata messa a tacere con altri assegni. Se non ci fossero di mezzo i rinascimentali omicidi di palazzo, ivi compreso a questo punto quello di Aldo Moro della cui morte si può ben dire che non sappiamo nulla di credibile, la materia si presterebbe a quel genere di commento che una volta si chiamava «nota di colore». Ma il colore di questa materia vieta esercizi del genere. Tuttavia, scavando a fondo nel Cantagiro, chissà che non si trovino le verità mancanti, fra mitra e mandolini. Paolo (Suzzanti «Gli assegni di Rovelli esistono» Uno show elettorale pagato in nero Evangelisti, l'ex-uomo ombra che il giorno dopo l'avrebbe L'ex-presidente del Conega: lui il memoriale dnon lo ebbe dal generale corda adesso - dall'allorstro dell'Interno Virgingnoni, che a sua volta averlo avuto dallo stessChiesa. Assegni milionari e «caro» sono i punti chiave chiesta sull'omicidio Pecpossibile movente dei pistola sparati contro il gsta il 20 marzo 1979. STommaso Buscetta quefu commissioncugini mafiosi Ezio Radaelli (a sinistra) ex patron del Cantagiro Sotto: Nino Rovelli

Luoghi citati: Caltagirone, Milano, Roma