C'è una falla nella difesa di Andreotti di Giovanni Bianconi

Il senatore a vita e l'ex patron del Cantagiro davanti ai giudici per un assegno di 170 milioni Il senatore a vita e l'ex patron del Cantagiro davanti ai giudici per un assegno di 170 milioni C'è una falla nella difesa di Andreotti «5?, ho pagato Radaelli» ROMA. «Io avrei anche taciuto il nome di Andreotti, ma non potevo. L'articolo 371 bis del codice penale prevede il carcere per il testimone che non dice la verità al magistrato, e io mica potevo finire in galera per questo...». Ezio Radaelli, l'ex-patron del Cantagiro, esce dal palazzo-bunker di piazza Adriana dove ha appena sostenuto un confronto con Giulio Andreotti; e davanti al senatore a vita ha ribadito la sua versione: nel 1977 ricevette proprio da Andreotti assegni per 170 milioni, e nel maggio scorso un suo segretario gli chiese di tacere questo fatto al giudice. L'ex-presidente del Consiglio, di fronte ad un testimone così sicuro nel ricostruire quei fatti, ha finito per ammettere: sì, versò quei soldi per uno spettacolo elettorale, e mandò il suo segretario. Ma non per intimidire o fare pressioni sul testimone, solo per farsi aiutare a ricordare come andarono le cose. «Lui dice così commenta Radaelli -, ma sarebbe come se, dovendo testimoniare su un incidente stradale, uno mi venisse a suggerire che la macchina veniva da sinistra mentre invece veniva da destra». Andreotti ammette la sua «ingerenza» dopo quasi quattro ore di interrogatorio davanti al procuratore di Roma Vittorio Mele, all'aggiunto Michele Coirò e al sostituto Giovanni Salvi. Prima domande e risposte, poi i «faccia a faccia»: con Radaelli, col suo ex-collaboratore Carlo Zaccaria (l'uomo che si recò dal patron), col finanziere Gennaro Cassetta. Siccome Andreotti è formalmente indagato per conconcorso in omicidio, al suo fianco c'è pure l'avvocato Franco Coppi, che alla fine dichiara: «Il senatore ha dato un ulteriore contributo per la dimostrazione della sua estraneità alla vicenda Pecorelli». Finiti i confronti nel palazzobunker, si cambia scena. Alle quattro del pomeriggio, in una via del quartiere Prati cinta d'assedio da poliziotti e giornalisti, compaiono prima i due magistrati Salvi e Ionta, poi Giulio Andreotti. Salgono al sesto piano di un palazzo, lassù abita Franco Evangelisti, l'ex-uomo ombra del senatore a vita che a causa delle sue condizioni di salute non può uscire di casa. Un altro confronto, stavolta non si parla di assegni ma del «caso Moro». Il «faccia a faccia» dura pochi minuti. All'uscita si verifica qualcosa di simile a quanto accadde in primavera nel cortile di Sant'Ivo alla Sapienza: fotografi e teleoperatori assaltano Andreotti per strappargli immagini e improbabili dichiarazioni; «piano, fate piano...» mormora l'ex-capo del governo che, guadagnata l'auto blindata, se ne va senza aggiungere altro. Nel confronto sostenuto a fatica per il fisico malandato e la difficoltà ad esprimersi, Evangelisti ha ribadito che una notte andò a trovarlo il generale Dalla Chiesa, con il memoriale Moro appena sequestrato nel covo Br di via Monte Nevoso, dicendogli che il giorno dopo l'avrebbe consegnato ad Andreotti. L'ex-presidente del Consiglio nega: lui il memoriale di Moro non lo ebbe dal generale ma - ricorda adesso - dall'allora ministro dell'Interno Virginio Rognoni, che a sua volta doveva averlo avuto dallo stesso Dalla Chiesa. Assegni milionari e «caso Moro» sono i punti chiave dell'inchiesta sull'omicidio Pecorelli, il possibile movente dei colpi di pistola sparati contro il giornalista il 20 marzo 1979. Secondo Tommaso Buscetta quel delitto fu commissionato dai cugini mafiosi Nino e Ignazio Salvo «per fare un favore ad Andreotti». Il quale poteva subire dei danni da Pecorelli che era a conoscenza di alcuni segreti: i milioni distribuiti dal senatore a vita e le carte di Moro, appunto. Gli assegni consegnati da Andreotti a Radaelli fanno parte di uno stock di titoli per un miliardo e 400 milioni provenienti dalla vicenda Sir-Italcasse e di cui, affermano i magistrati, l'expresidente del Consiglio «aveva la diretta disponibilità». Dagli articoli usciti prima sull'agenzia e poi sulla rivista O.P. si capisce che Pecorelli sapeva da dove ve¬ nivano quei soldi, tanto che aveva già preparato una copertina del settimanale intitolata «Gli assegni del presidente» che non uscì mai; fu una cena del giornalista con Claudio Vitalone, Franco Evangelisti e altre persone (con promessa di finanziamenti) a bloccare lo «scoop» di Pecorelli, assassinato subito dopo. Una sorta di tangentopoli dell'epoca che non venne alla luce. Ezio Radaelli era una delle «fonti» del direttore di O.P., così come, probabilmente, qualcuno dell'entourage del generale Dalla Chiesa. E' attraverso questo rapporto, ancora da chiarire, che l'inchiesta sull'omicidio Pecorelli s'è infilata nei meandri del «caso Moro». Pecorelli aveva scritto più volte che non tutto quel che c'era nel memoriale era saltato fuori. E ieri Andreotti, che in passato aveva negato di aver ricevuto il memoriale, ha invece ammesso di averlo avuto, anche se non direttamente da Dalla Chiesa. L'inchiesta continua e il senatore a vita, tramite il suo avvocato, «esprime apprezzamento per il lavoro dei magistrati». Giovanni Bianconi Altro drammatico faccia a faccia con l'ex fedelissimo Evangelisti sul memoriale Moro Si stringe il cerchio per il caso Pecorelli Giulio Andreotti, interrogato dai giudici sul caso Pecorelli

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