La sua voce per il bambino mai nato

Ha registrato per tutta l'estate: ora la sua opera più celebre (milioni di copie nel mondo) è un audio-libro Ha registrato per tutta l'estate: ora la sua opera più celebre (milioni di copie nel mondo) è un audio-libro ORIANA FALLACI La sua voce per il bambino mai nato DMILANO OVEVA andare in vacanza nella sua bella casa in Toscana e invece ha passato 1 l'estate a leggere in uno studio di registrazione la Lettera a un bambino mai nato, il suo successo più grande, un milione e mezzo di copie in Italia, cinque milioni nel mondo. Ed ecco il risultato: un libro parlato, lo chiama lei. Un libro-spettacolo. Quattro cassette, per quattro ore e mezzo d'ascolto, in un cofanetto con il libro (Rizzoli). Incontenibile Oriana. Forse voleva un altro primato, essere a tutti i costi il primo scrittore in Italia a dire per intero una sua opera. O forse, semplicemente, ha voluto evitare la vacanza: «Riposarsi stanca. E annoia», dice. La Fallaci è in un albergo milanese. Elegante e profumata, una Sherman's fra le dita, nasconde bene il mal di testa che la tormenta. «Non sarà mica l'alieno che si riannuncia?». L'alieno: leggi cancro. E' più che testarda. Con la sua voce roca, bassa, con due costole rotte dall'alieno e una incrinata, con un enfisema che le taglia a metà i polmoni, ha voluto abbracciare un'altra sfida. Si è improvvisata, si è scoperta attrice. Come ha voluto realizzare il vaticinio che Visconti le fece tanti anni fa: «Lei è un'attrice. Non capisco perché lei non abbia mai fatto e non faccia l'attrice. Perché non incomincia con me?». Ma anche Zanuck voleva farle fare l'attrice: la parte di Caterina de' Medici nel film II tormento e l'estasi sulla vita di Michelangelo, interpretato da Charlton Heston. Sosteneva che la sua faccia era identica a quella di Caterina quando aveva diciott'anni. Ma lei rifiutò: «Non mi parve una cosa seria. E temevo di non riuscire». Incontentabile Oriana. Ascolti le cassette e senti subito che non si limita a leggere. La voce cambia di tono in continuazione: sale, scende. Cambia di ritmo: accele- ra, rallenta. E odi il fiato, il sospiro, non il respiro, che dà quasi sempre fastidio. Le parole le escono nostalgiche, o^rarnmatiche, leggere, senza enfasi o pause artificiali. Insomma, la Fallaci interpreta, recita. Se tu non sapessi che è la Fallaci, quasi la crederesti un'attrice. Davvero. E magari lo è, lo è diventata. Giudicando il suo sforzo, lei si paragona a chi impara a dipingere senza conoscere i pennelli, a suonare il piano senza conoscere la musica. E non si è fermata qui. Oriana ha sempre l'elmetto in testa, indossa sempre la tuta mimetica come all'assalto della collina 1338, nella battaglia di Dak-To in Vietnam. Ha voluto fare tutto da sé. Un regista? E che bisogno ne aveva? Clint Eastwood non ha forse fatto l'attore e il regista negli Unforgiven? Perché lui sì e lei no? Ha così travolto, quasi seviziato un povero tecnico innocente imponendogli infiniti rifacimenti. Il tecnico ogni tanto si azzardava a dire: «Va proprio bene». E lei a raffica: «Shit! Shit! Shit! Merda, che troiaio ho fatto!». Conclusa la registrazione, il tecnico ha esalato queste parole: «La mi' mamma dice che bisogna provarle tutte, nella vita. Questa l'ho provata!». Oriana ha anche scelto le musiche, per scandire i capitoli di questo dramma di una madre che scopre in sé il figlio quando è solo «una goccia di vita scappata dal nulla». E gli parla, al figlio, gli racconta tutto di sé e della vita, fino all'epilogo tristissimo. La morte di entrambi: della madre e del figlio. C'è Grieg (il più eseguito, tredici volte), c'è Sibelius (il più amato, ma c'è dieci volte), ci sono Dvorak e Smetana. Musiche nordiche, che hanno qualcosa di maestoso, di epico. «Nel libro c'è la tragedia, e la tragedia è sempre epica», dico Oriana. Del Nord vede la pace, non la tristezza. Per lei la Suite Karelia di Sibelius è ciò che per alcuni è '0 sole mio. Così il for- marsi del bambino che sorge è introdotto dal Mattino del Peer Gynt; il processo che la madre si fa nel delirio incomincia coi tamburi della sinfonia Dal Nuovo Mondo di Dvorak; la scoperta che il bambino sta morendo ha la malinconia del Valzer triste; la morte della donna ha il suo riverbero nella Morte diAase. Il libro parlato si apre e si chiude con la stessa melodia: Greensleeves, un'antica canzone che commuove Oriana perché piena di rimpianto, di nostalgia. Arriva a dire: «Quando muoio, per carità, non v'azzardate a farmi il funerale con la gente. Se volete farmi festa, farmi una gentilezza, mi suonate Greensleeves». Ci pensava da molto tempo, a leggere questo suo libro, a dare suono, il suo suono, al successo della Lettera. Il libro non è la sua storia, ma è certo che per quella madre protagonista Oriana ha pescato dentro di sé. Voleva assolutamente leggerlo lei, e per questo ha detto di no ad attrici come Liv Ullmann, Faye Dunaway, Sofia Loren. Tanto, a leggere i suoi libri è abituata. Soprattutto in inglese. Lo ha fatto spesso, in America. Nei teatri, nelle università. L'anno scorso, per Insciallah, lo ha fatto anche in Europa. Ad Amsterdam, lesse nella chiesa di Martin Lutero. Stava male. Tre mesi prima le avevano tolto l'alieno. I dolori eran duri da sopportare. Ma quando vide che le poltrone per il pubblico erano sistemate sopra antiche tombe, esplose in una gran risata: «Corna! Questo posto va esorcizzato. Ora ci penso io». E mcominciò la lettura. Continuò quasi due ore. Il pubblico non voleva lasciarla. Il pubblico non la intimidisce: «Se vengono ad ascoltarmi - dice - significa che mi vogliono bene». Tutt'altra cosa, il microfono di quest'estate. La intimidiva, quello, la frenava come un grande insetto pronto a bucarti. Non di rado Oriana sbagliava e rifaceva, sbagliava e rifaceva. A un certo punto s'è aiutata chiudendo la luce. A interrompere il buio, nella sala di registrazione, è rimasta accesa soltanto la minuscola lampada che ihuminava le pagine da leggere. E allora non ha avuto timori: ha potuto recitare con le mani, il corpo, la faccia. E l'eterna sigaretta. Sì, fumava anche recitando. «Tanto, lì al buio, nessuno mi vedeva. Neanche il tecnico». Anche con quella tra le dita faceva e rifaceva. Non perché sbagliasse la dizione: «Son toscana, io. L'italiano lo parlo bene». Per l'interpretazione. Trovare il tono giusto era difficile. Ogni capitolo era così diverso. Ora felice, ora disperato»... Il primo e l'ultimo capitolo sono stati un tormento. Le parole finali del libro, «Perché la vita non muore», le avrà incise cinquanta volte. «La donna muore nel momento in cui mormora non muore - racconta -. Il muore va dunque allungato come se fosse detto mentre essa esala l'ultimo respiro. E va soffocato per uccidere la parola morte...». Odia la morte. Non la teme («Sono pronta, ormai») ma la odia. E l'idea di leggere, di recitare la morte, la infuriava. E' il tema che scorre fin dall'inizio, questo della morte, del buio da cui si viene e a cui si torna. Nulla è la parola chiave. La voce di Oriana lo fa capire bene. «Nulla è peggiore del nulla... Io temo il niente, il non esserci». E' bello, quel niente. Oriana lo dice come se ci sprofondasse dentro. Con orrore totale, definitivo. Più avanti viene il riscatto, l'illusione della vittoria: c'è un «Perché io sono viva» dove quel viva è una fiamma sonora, uno scoppio d'orgoglio, di trionfo disperato. E prima di questo c'è un «Sono vecchia» che è un suono in grani, un rantolo di rassegnazione. Prima del rantolo, c'è un urlo, un nitrito di sofferenza: «Hiii! Dio che male!». Nel testo scritto quello hiii non c'era, non c'è. Ma lei lo ha detto lo stesso. Non c'erano neanche sospiri, nel testo scritto. Ma nel testo parlato ve ne sono molti. Per inserirli nel punto giusto, Oriana li registrava a parte. Poi appendeva al muro i pezzetti di nastro e li catalogava. Così: «Sospirane. Sospirino. Sospirano. Sospiracelo. Rantolo». Al montaggio ne ha aggiunti una decina. Ne sono avanzati almeno altrettanti. Leggere in studio è un'avventura che la tenta ancora. Oriana si vede già registrare alcune delle ottocento pagine del suo Insciallah (per questo romanzo, il primo ottobre, riceverà in Francia il Premio Antibes). E il suo nuovo libro è già concepito. «Ce l'ho già qui. In testa. Mi sento già incinta». Non pensa, non vuol pensare all'emicrania che l'assale così spesso. «L'alieno? Corna!». Claudio Alta rocca «Era il libro parlato ideale, perché è il monologo di una donna» Oriana Fallaci in poltrona nella sua casa di New York. FOTO DI OLMÈRO TOSCANI/ SETTE - CORRIERE DELLASERA

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