Le meraviglie dell'esotismo fra incanti e distruzione

Da Ghirri ai pionieri dell'orientalistica, le sorprese di «Torino fotografia» Da Ghirri ai pionieri dell'orientalistica, le sorprese di «Torino fotografia» Le meraviglie dell'esotismo fra incanti e distruzione 7n] TORINO L ' E lo merita, questa vol% ta, un debito inchino I j l'apparentemente son*sZJ nacchiosa Torino, che con questa davvero ben congegnata V Biennale Internazionale di Fotografia raggiunge un risultato di tutto rispetto: una mostra che giustificherebbe finalmente d'essere inserita nelle doverose tappe del turismo culturale. Del resto, e non lo si dice certo con perfida soddisfazione, la melanconica conclusione che si traeva quest'anno alla Biennale di Venezia era che in fondo soltanto la fotografia (ben scelta da Arturo Quintavalle) si salvasse in quel macello di frattaglie e di stanche velleità: quasi a rovesciare (o ad inverare) il discorso tradizionale, della fotografia che giunse a mettere in crisi il primato dell'arte. Prendiamo per esempio una delle brevi monografie esposte qui al Salone dell'Automobile, che è una delle principali sedi espositive della Biennale Fotografia, disseminata per la città sino al 17 ottobre. E' il ciclo 1973 di Atlante, del prematuramente scomparso Luigi Ghirri: un'idea da artista concettuale, ma risolta con un'eleganza grafica ed un'intelligenza visionaria, che sarebbe vano ricercare oggi in qualche epigono miserabile dell'arte povera. Alla ricerca di un esotismo mentale. Ghirri non fotografa la realtà, ma dettagli dilatati delle cartine d'atlante, dove la grana espansa del retino tipografico simula la porosità della sabbia desertica, dove i frammenti di leggenda-didascalica alla Raymond Roussel inventano paesaggi immaginari. E' la migliore ouverture per il tema di quest'anno, Mediterranea, come rivela subito il logo di Cocteau, scelto per il catalogo Mar.co Edizioni (testi dei diversi curatori, dei fotografi stessi e di Predag Matveievic, lo studioso bosniaco autore di Mediterraneo. Un nuovo breviario, recentemente tradotto da Garzanti). Per fortuna un'etichetta non troppo soffocante anche se basta, atmosferica mente, per collegare tra loro queste intense performances monografiche. Ed anche qualche forzatura: c'entrano davve ro col Mediterraneo quelle baite contadine jugoslave, o i Sacri Monti della devozione varesot ta, o la bellezza piuttosto nordica di Brigitte Bardot, afflitta e quasi punita dagli obblighi della moda in progress, scelta qui come un omaggio emblematico al paparazzismo? Non sarà nemmeno una vera scoperta Hernert List, l'amico di Braque e Cocteau e perfino di Morandi, l'allievo Rahaus del figlio di Lyonell Foininger e cantore de gli efebi di pietra e di un'Eliade tutta apollinea: ma sono davvero ben scelti questi trionfali scatti da poema sinfonico. Co me quel simbolico polipo visceralmente esposto al sole ancora di Ulisse, sul palcoscenico naturale di due seggiole di paglia. Solo a guardare i pionieri del- la nascente fotografia orientalistica (un po' prima dei viaggi innamorati di Flaubert, Delacroix e Maxime du Camp) si capisce che cosa dovevano essere l'autentico esotismo e il mal d'Africa. Le piramidi che stanno ancora per emergere dal mare di sabbia, nessun fastidio umano intorno all'Acropoli, soltanto ombreggiato qui e lì da qualche rado, indistinguibile indigenolillipuziano, quasi a misura delle dimensioni umane, come faceva Friedrich. E poi quest'aria minerale, inesorabile della carta salata, del cloruro d'oro sperimentato dal pioniere esploratore Frith, quella luce meticolosa che sembra ustionare dall'interno i sassi e le sabbie, che poi sarebbero divenuti i protagonisti dei «romanzi» di Ansel Adams e di Weston. Uno «sguardo» che sembra definitivamente perduto, azzittito dal colore, dalla modernità ecumenica e distratta del grigio televisivo. Uno sguardo antropologicamente finito, che rende grandi, per esempio, gli esperimenti ottocenteschi del nizzardo Charles Negre: non soltanto le gentili vedute della così «torinese» Nizza romantica, o gli scorci di Cimiez non ancora deformata da Matisse, ma anche i ritratti di gusto Napoleone III, che avrebbero fatto la delizia di un Praz. Il gottoso Lord Broughad marinato nella sua misantropia, un insolitamente affabile e poco ufficiale Garibaldi col ciuffo malandrino e la coppia aristocratica agghindata come per una seduta da Ingres, di cui peraltro Negre fu allievo. E che straordinario novelliere fu il futuro armatore Giacomo Costa, il quale grazie al Taxiphote d'epoca ci permette di rivivere le magiche stroboscopiche dei suoi emigranti proiettati sullo sgomento del ponte di Brooklyn, o le cechoviane amache di casa e l'odore di colonia di certi pranzi sociali, dove registri perfino il ghiaccio che imperla le caraffe. Se a pascolare sotto il cielo mediterraneo c'è sempre il rischio d'inciampare negli stereotipi Wertmùller, la processione, la monaca in posa, Carmen e il torero, le reti cartolinescamente stese al sole (ed un poco ci casca anche il grande Dieuzajde), Mimmo Jodice, con un sorprendente lavoro recente, brucia ferocemente tutti quei rischi. Una luce inquietante, dionisiaca, quasi medianica, un vento interiore che proviene da profondità telluriche, macera la classicità più prevedibile entro una sorta di nero solleone notturno, quasi di pulsar archeologica. E «archeologici», ancora, sono i bellissimi, ritrovati volti siculi di Fosco Maraini, dalle poetiche didascalie verghiane: rabdomantico poema di un'Enna invernale, il marmo barocco disfatto dalla nebbia. Non meno immaginifiche, astratte, mosse le immagini maghrebine proposte da Tahar Ben Jelloun: gli ectoplasmi bianco su bianco di Gasteli e le sue labirintiche mille e una notte architettoniche, o le anatomie grinzose di Ennadre, le mani callose del mondo od il mostro tascabile della seppia scoppiata d'inchiostro. Ma forse la vera sezione-choc è quella allo spazio Rivetti che, intelligentemente, prima dell'inevitabile ricostruzione, testimoniano lo sfacelo urbanistico della città di Beirut. Grandi fotografi come René Burri, Robert Frank, Gabriele Basilico documentano questo dilaniato inferno di cemento e follia, vere slabbrate spelonche del Moderno. Il regista-fotografo Dépardon racconta i distrutti cinematografi crivellati come bocche cariate, la città ridotta ad una parodica trina «veneziana» di edifici sfibrati dai proiettili. Il vecchio Koudelka sceglie formati inconsueti, longitudinali, per meglio comprimere lo sconcerto umano di questa città privata di umanità: grigi ammassi di moschee crollate, sbrecciate transenne che non sbarrano più nulla, la natura che ha ripreso barbaramente il sopravvento. Marco Vallerà , Piramidi nel mare di sabbia, l'Acropoli ateniese semideserta come in una veduta di Friedrich: e Garibaldi col ciuffo malandrino Fra le immagini del Mediterraneo la sezione-choc dello spazio-Rivetti «Autoritratto sullo specchio a terra» (1937), opera giovanile di Emilio Vedova esposta nella retrospettiva allestita al Museo d'Arte Moderna di Lugano Dominique Cros, «Créte», 1993. In alto una foto di Philippe Lafond, «Fète tassaout», Alto Atlante, Marocco, 1992

Luoghi citati: Africa, Beirut, Enna, Marocco, Nizza, Torino, Venezia