I carabinieri nel cuore del pds di Augusto Minzolini

I carabinieri nel cuore del pds I carabinieri nel cuore del pds Violate Botteghe Oscure, il tempio rosso DB TOGLIATTI ROMA. Domenica 19 settembre. Quella di ieri è una data che difficilmente i dirigenti, i funzionari, gli uomini del servizio d'ordine di Botteghe Oscure dimenticheranno. E non sarà certo un giorno da ricordare con commozione, come quello della «svolta» della Bolognina. Ieri, alle 11, i carabinieri sono entrati nel palazzo da cui Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer diressero il pei e da dove ora Achille Occhetto dà la linea al pds. E non è stata una visita di cortesia: per ordine dei giudici di Milano i carabinieri hanno messo sottosopra e rovistato l'ufficio di Marco Fredda, cioè del funzionario che gestisce il patrimonio immobiliare del pds, dell'uomo che ieri è stato arrestato insieme a Primo Greganti. Così anche il palazzo «rosso» di Botteghe Oscure è entrato nella storia di «Tangentopoli». Gli è successo né più né meno quello che nei mesi scorsi è capitato all'edificio stile ventennio di via del Corso, che ospita i socialisti italiani, o all'aristocratico palazzo Cenci Bolognetti di piazza del Gesù, che da quasi cinquant'anni è il simbolo della de. Ieri anche il tempio del partito «diverso» è stato violato davanti ai volti pallidi dei pochi uscieri che lo presidiano la domenica mattina e agli occhi incuriositi dei polacchi che ogni giorno di festa bivaccano e discutono con l'immancabile lattina di birra in mano davanti alla chiesa di San Stanislao. «Per la prima volta i carabinieri sono entrati a Botteghe Oscure» ammette con voce depressa uno sconcertato Emanuele Macaluso. Sono andati lì, nel tempio, a guardare nelle carte di un personaggio che non è certo un mezzo sconosciuto, un marziano piovuto chissà da dove come gli abitanti del palazzo «rosso» hanno sempre descritto Greganti. No, Marco Fredda è di casa a Botteghe Oscure. Anzi, è quasi un padrone di casa e non solo perché è l'uomo che amministra tutte le proprietà del pds. Fredda è un cognome storico nell'apparato del partito. Il padre, Cesare Fredda, è una leggenda tra i comunisti romani. Gli hanno addirittura dedicato una stanza, «l'aula Fredda», nella vecchia sede della Camera del lavoro della capitale. Il fratello di Marco, Angelo, è deputato e la sorella, Stefania, è la segretaria particolare di Achille Occhetto. Anche lei è una fulgida figura dell'apparato del partito, è una vestale del tempio: è entrata giovanissima nello staff delle segretarie di Luigi Longo, è passata nell'ufficio delle collaboratrici di Enrico Berlinguer e ora è l'ombra silenziosa, discreta, impercettibile ma onnipresente di Occhetto. Insomma, un pezzo di storia del «tempio rosso». Sì, i giudici hanno violato Botteghe Oscure. E non è stata una cosa facile. Adesso a rive¬ dere la cronaca di questo fine settimana, a riguardare attentamente i «flash» del comizio finale di Occhetto alla festa dell'Unità e di tutto quello che gli è successo intorno, si intuisce, si arguisce quanto i dirigenti del pds hanno fatto per difendere il loro tempio. C'è l'immagine di Occhetto che elogia nel suo di¬ scorso il «compagno Stefanini», tesoriere del pds, che commosso piange sul palco. C'è quella di Stefanini che al mattino, turbato, se la prende con quel «Greganti, che non è certo un eroe» e si lamenta perché «l'Italia sta diventando il Paese dei giudici». Eppoi viene in mente l'atmo- sfera elettrizzata, disperata di quel sabato pomeriggio con le «voci» che da Milano preannunciano gli arresti di Greganti e di Fredda, che tirano in ballo Stefanini, e lo staff di Botteghe Oscure che nei padiglioni della festa smentisce ogni notizia e respinge ogni accusa. Il compagno dell'ufficio stampa, Ligas, scommette davanti ai giornalisti che «Borrelli non firmerà mai quei mandati di cattura, questa è spazzatura». Il consigliere di Occhetto, Ottolenghi, parla delle «strumentalizzazioni» delle inchieste e «dei poteri» che vogliono colpire il pds. Il «ghost-writer» del segretario, De Angelis, se la prende a voce alta con Tiziana Parenti, la bestia nera del pds nella procura di Milano: «E' lei che rompe le scatole, è lei che fa uscire le cose». E intanto i dirigenti del partito entrano ed escono eia una stanza dove Massimo D'Alema teorizza «il complotto» dei giudici che hanno deciso gli arresti proprio in un giorno sacro del calendario che il popolo pidiessino ha ereditato da quello comunista, quello del comizio di chiusura del segretario alla festa dell'Unità. E' proprio vero, i sacerdoti hanno fatto di tutto per difendere il «tempio rosso». Ma invano. E ieri quando le gazzelle dei carabinieri sono arrivate a Botteghe Oscure hanno trovato il «palazzo rosso» rassegnato. Certo qualcuno come Macaluso ha dato voce allo sconcerto. «Io - ha spiegato - questa storia proprio non la capisco, sembra davvero che vogliano a tutti i costi trovare qualcosa nel pds». Altri come Fabio Mussi, Gavino Angius e Livia Turco, in pubblico e in privato, hanno sparato contro i giudici, hanno gridato la loro indignazione. «Immagino - ha ironizzato quest'ultima - che la de e il psi staranno brindando. Questa è una manovra, ci scommetto. Questa storia verrà strumentalizzata per dimostrare che il pds è come tutti gli altri partiti e per aprire la strada al colpo di spugna». Ma nessuno ha alzato la voce. E quando i carabinieri sono entrati nel palazzo né Occhetto, né D'Alema erano a Roma. Del resto che avrebbero potuto fare? Che avrebbero potuto dire? Per tutti ha parlato il povero Visani da Bologna per precisare che quella storia con Binasco non è una storia di «tangenti» ma di «evasione fiscale». Meglio passare per «evasori» che per «tangentomani». Augusto Minzolini

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