POLONIA IL MURO CHE NON CROLLA di Barbara Spinelli

« POLONIA: IL MURO CHE NON CROLLA me in Serbia, i neocomunisti non esitano ad abbracciare l'ideologia della pulizia etnica, pur di salvare i posti e le carriere delle nomenklature. Non esitano neppure ad abbracciare il capitalismo e il libero mercato, se questo è utile dal punto di vista del potere. Oggi i nomenklaturisti più tenaci sono anche i più convinti difensori del capitalismo: Milosevic è un banchiere liberista, Brazauskas in Lituania e Rakovski in Polonia esaltano i «valori capitalistici». E' dal 1917 che i comunisti non credono in quello che dicono, ma dicono e fanno quel che serve la loro ascesa al potere. Oggi giudicano utile il caos economico e morale che essi stessi hanno creato in mezzo secolo di regime (tre quarti di secolo in ex Urss) e per l'ennesima volta mentono ai cittadini quando dicono che il caos è cominciato nell'89- Importante è occupare i posti che contano, e da questo punto di vista qualsiasi ideologia è buona. Importante è ripetere come una filastrocca che il comunismo è morto, che un ciclo assolutamente nuovo sta cominciando - e nel frattempo non morire ma fare il morto, aspettando che il tempo cancelli le responsabilità, e le colpe. Questo cinismo trasformista ha molte incarnazioni, nei Paesi cosiddetti postcomunisti. In Polonia una delle incarnazioni è Jerzy Urban, il pubblicista e eminenza grigia di tutti i regimi passati. Fra l'89 e oggi si è arricchito come pochi, ha difeso strenuamente la separazione fra Stato e Chiesa, si è presentato come difensore dello Stato laico, dell'illuminismo, e del libero mercato. «Nel capitalismo conviene sempre essere un capitalista - così ha spiegato nei giorni scorsi il suo itinerario - allo stesso modo in cui nel Medioevo era meglio stare dalla parte dei signori». La Polonia non è dunque un'eccezione. Ma è un laboratorio sperimentale, come spesse volte in passato. E molte cose appaiono più chiare, osservando quel che accade a Varsavia. Innanzitutto appare chiara la natura del caos, della confusione morale, e politica, che caratterizza l'era postcomunista. Caos e confusione sono certo un ingrediente inevitabile nella transizione dal vecchio regime alla democrazia, ma un caos così vasto non era ineluttabile, né necessario. Poteva essere evitato, se non fosse circolata così sistematicamente la menzogna sulla morte ormai definitiva del comunismo, e della sua ideologia. Si può avere il caos e al tempo stesso un grande desiderio di ricostruzione e di rinascita spirituale - come nella popolazione italiana e tedesca dopo il nazifascismo - se si rompe esplicitamente con il passato, e non si negoziano i cambiamenti con i massimi responsabili del regime barcollante o morente. Non sono necessarie rivoluzioni. Basta avere l'atteggiamento fermo di Solzenicyn: «Non darò mai fiducia a un comunista fintantoché non ammetterà in riunioni pubbliche il male che ha fatto, i milioni di morti che ha causato, e non si dichiarerà pronto al pentimento, e alla conversione». Nulla di tutto questo in Polonia, dove i comunisti hanno goduto di una completa impunità giudiziaria, politica, finanziaria. Nulla è stato fatto perché le istituzioni democratiche divenissero forti e stabili, capaci di funzionare a prescindere da questo o quel dirigente carismatico, da questo o quel partito vincente, dalla popolarità o non popolarità di Walesa. Nulla è stato fatto perché nascesse finalmente uno Stato laico, separato rigorosamente dalla Chiesa, non più dominato da organi che si propongono di cambiare dall'alto la vita delle persone, le sue abitudini private, la natura stessa dell'uomo. La responsabilità della Chiesa cattolica in Polonia è enorme, la sua influenza si è rivelata negativa. La sua ingerenza nella vita delle singole persone è stata pesante, e da molti è stata vissuta come una seconda costrizione semi-totalitaria, come un'altra forma di prigione clericale delle menti. Anche in questo Solzenicyn si mostra più prudente: lo Stato deve essere scrupolosamente laico, consiglia, la Chiesa deve innanzitutto occuparsi dell'infinità di credenti che ha perduto. Non è questa la via scelta dalle gerarchie cattoliche in Polonia, e dai partiti che le rappresentano. Impauriti dalla democrazia, impauriti dai rischi del libero mercato, parroci e prelati hanno contribuito a occultare le responsabilità dei comunisti nel caos presente, e a volte hanno perfino esaltato gli aspetti buoni del comunismo - l'eguaglianza nella povertà che esso prometteva pur di continuare a dominare i fedeli e a preservare, per sé, i privilegi di ricchezza accumulati o acquisiti. Hanno contribuito anche ad occultare, come tutti i dirigenti di Solidarnosc, le responsabilità specificamente polacche del colpo di Stato dell'81. Jaruzelski è oggi considerato un pa- tdpmVcganddOlcQsesms triota, in Polonia: avrebbe fatto del male, ma almeno evitato il peggio. Tutto questo è storicamente falso: nell'ultima visita a Varsavia, Eltsin ha confermato che si tratta di una favola menzognera. Che i sovietici non ebbero alcuna tentazione di intervenire, nell'81, nonostante le insistenze del generale golpista. Ogni nazione è responsabile della storia che ha fatto, e che fa. Ogni persona è responsabile del lavoro che svolge con onestà, o che svolge in maniera corrotta. Questa saggezza la Polonia non sembra ancora averla acquisita, ed è per questo che conosce una straordinaria crescita economica, ma politicamente e moralmente sprofonda in una vischiosa palude cattolico-comunista, profondamente consociativa, sentimentalmente anticapitalista e al tempo stesso selvaggiamente capitalista e inegualitaria: così simile alla palude di cinismo e di disillusione in cui l'Italia ha vissuto, democraticamente, per tanti decenni. Barbara Spinelli

Persone citate: Brazauskas, Eltsin, Jaruzelski, Jerzy Urban, Milosevic, Solzenicyn, Walesa