Gli intellettuali? Non spariranno

Storia di una categoria demonizzata: un libro di Norberto Bobbio su «Il dubbio e la scelta» Storia di una categoria demonizzata: un libro di Norberto Bobbio su «Il dubbio e la scelta» Gli intellettuali? Non spariranno Se ne annuncia la fine, è un errore logico «Il dubbio e la scelta» è il titolo del libro che Norberto Bobbio pubblicherà in ottobre per le edizioni La Nuova Italia scientifica. Si tratta di una raccolta di interventi e saggi comparsi in varie sedi sulle figure dell'intellettuale (cui viene associata l'immagine del dubbio) e del politico (la scelta). Ad essi il filosofo fa precedere un'ampia introduzione, di cui pubblichiamo qui una parte inedita. m|L dibattito tra intelletI tuali sugli intellettuali, I cioè su se medesimi, non il ha tregua. Da quando ho _JL cominciato a raccogliere e ordinare questi miei scritti, solo nell'anno 1992 di libri sugli intellettuali ne sono usciti tanti che non facevo in tempo a leggerne imo che già ne usciva un altro. Nei giorni in cui stavo scrivendo questa introduzione, il nostro piccolo mondo fu messo a rumore da un articolo di un noto e autorevole storico della letteratura italiana, uomo politicamente impegnato, che lamentava il «silenzio degli intellettuali» (naturalmente su un episodio specifico). L'accusa scatenò la loro loquacità, tanto che sui giornali il dibattito sull'argomento durò alcuni giorni. Il silenzio veniva confutato per il solo fatto che se ne parlava. Che appaiano tanti scritti sugli intellettuali non deve stupire. Chi parla degli intellettuali svolge per ciò stesso un compito che spetta abitualmente agli intellettuali, e diventa, almeno in quell'occasione, un intellettuale. Quando poi gli intellettuali parlano degli intellettuali parlano in realtà di se stessi, anche se per un curioso sdoppiamento parlano della propria consorteria, come se loro non vi appartenessero. Non c'è bisogno di esser medici per parlare di medicina o fantini per parlare di ippica. Ma non si può parlare di intellettuali senza fare quello che fanno abitualmente gl'intellettuali, e quindi senza essere per lo meno in quel momento un intellettuale, anche se non si è cosciente di esserlo. Solo questo inconsapevole sdoppiamento permette a un intellettuale di parlare tanto male degli altri intellettuali. Prova ne sia che dei libri che ho davanti a me mentre scrivo, ce n'è uno che parla della «decadenza», un altro del «discredito», un altro ancora del «declino» degli intellettuali. Il capostipite di questa lunga serie di contestazioni li accusò addirittura di «tradimento». Ma chi si sia occupato un po' della storia del problema, si è imbattuto in altre rappresentazioni non meno distruttive della natura e della sorte dei confratelli, come il «fallimento», il «crollo», l'«eclis si», il «tramonto», oppure il «disagio», il «disorientamento», il «trasformismo», la «metamorfosi». Si è arrivati sino a pronosti carne la «scomparsa», l'«estin zione», la «fine». Qualcuno recentemente ci ha paragonati ai dinosauri di cui si è perduta la specie. E ha solennemente proclamato: «Intellettuali, siete morti!». E lui? «E lui», mi domando, perché chi parla in questo modo si rivela come la quintessenza dell'intellettuale. Che sia l'unico ancora vivo, con il solo compito di pro¬ clamare che tranne lui noi altri siamo tutti morti? La maggior parte di questi discorsi sono viziati da un comunissimo errore logico, di cui un intellettuale dovrebbe ben guardarsi: la falsa generalizzazione. Frequentissima nello straripante linguaggio polemico quotidiano, che non va tanto per il sottile nell'analisi dei fatti e nell'uso delle distinzioni o delle suddistinzioni, perché il suo scopo è prima di tutto quello di persuadere o di dissuadere, non già quello di conoscere e far conoscere, la falsa generalizzazione è deprecabile nel discorso razionale. Conviene al linguaggio volgare, fabbricato con stereotipi, per cui i politici sono tutti corrotti, i medici sono tutti ammazza-malati, e naturalmente gli intellettuali sono tutti indistintamente arroganti, spocchiosi, credono di essere chi sa chi e via maledicendo oppure, com'è stato detto recentemente, «lamentosi». Il parlare degl'intellettuali, come se appartenessero ad una categoria omogenea e costituissero una massa indistinta, è un'insensatezza; a un'affermazione perentoria come «gli intellettuali tradiscono», viene subito da domandarsi: «Proprio tutti, e, se non tutti, quali?». I «clercs» di cui aveva parlato Benda erano una particolare specie di scrittori, che avevano acquistato un peso particolare nella formazione dell'opinione pubblica francese nell'era dei nazionalismi esasperati. Ma Benda si considerava egli stesso un «clerc». Se il proclamare che i chierici avevano tradito era una consapevole falsa generalizzazione, lo scopo era puramente polemico. Se era un errore logico, era tale perché aveva un motivo pratico ben preciso e non troppo difficile da scoprire. Lo stesso dicasi per altre frequentissime accuse, come l'opportunismo o, all'estremo opposto, il delirio di potenza. In qualsiasi modo vengano definite la natura e la funzione dell'intellettuale (definizione che di solito vien data come presupposta) non è possibile darne una definizione così restrittiva che renda plausibile un giudizio di assoluzione o di condanna globale. Tutti innocenti, tutti colpevoli. Gli intellettuali sono trasformisti. Ma anche chi pronuncia tale severo verdetto? E non è anche lui un intellettuale? Sugli intellettuali ormai è caduto un generale discredito. Ma se chi lo ha detto è un intellettuale, o ritiene di fare eccezione, e quindi non è vero che il discredi- to ha colpito tutti, oppure è anche lui in discredito, e allora che valore si può dare al suo giudizio? Del resto, vi è una prova irrefutabile della superficialità di queste asserzioni perentorie: la loro contraddittorietà secondo da quale parte provengano. Gli intellettuali sono da deprecare perché sono sempre «contro». Ma lo dicono i potenti del giorno. No, gl'intellettuali sono da esecrare perché sono conformisti. Ma lo dicono coloro che aspirano a diventare i potenti del futuro. Parlano troppo, sono dei grilli parlanti, pronti a rispondere a tutte le domande pur di far apparire il loro nome sui giornali o peggio di essere chiamati a intervenire in un dibattito televisivo. No, ma lo dicono coloro che non vogliono compromettersi troppo con le questioni che scottano. Stanno sempre zitti, non si compromettono perché non vogliono scontentare nessuno, ma lo dicono i cercatori di consenso, siano essi degli arrivisti o dei già arrivati. Sono degli incorreggibili e molesti «enfants terribles». No, sono i «cani da guardia» del potere costituito. Si potrebbe continuare. In secondo luogo, si deve osservare che la maggior parte di questi giudizi risentono degli umori del momento o di situazioni particolari, tanto che chi li legge qualche anno dopo li trova generalmente esagerati o addirittura sbagliati. Mi riferisco con questa seconda osservazione non tanto ai giudizi sulla natura dell'intellettuale e sulla sua funzione nella società, quanto a quelli sulla maggiore o minore rilevanza nella società in cui operano, con cui si decreta con assoluta certezza il loro declino o eclissi o decadenza, e se ne pronostica la prossima morte. In questo caso l'errore dipende non da una falsa generalizzazione ma dalla mancanza, peraltro anch'essa riprovevole, di distacco storico, caratteristico di chi è troppo addosso agli avvenimenti per darne una valutazione che si salvi dal consumo immediato dell'ascoltatore cui si rivolge, e trae maggiore soddisfazione dall'oracoleggiare che dal condurre una puntigliosa analisi per un arco di tempo più lungo di quel che cade nell'ambito del¬ la contemporaneità. L'errore dipende anche dalla ristrettezza, in questo caso non di natura logica ma di origine storica, con cui viene usata la categoria degli intellettuali, come se essa fosse nata quando, alla fine del secolo, con l'affaire Dreyfus si è diffuso l'uso della parola, prima in Francia e poi in tutto il mondo civile, e non fosse sempre esistita, se pure con altri nomi. Oggi si chiamano intellettuali quelli che in altri tempi si sono chiamati saggi, sapienti, «philosophes», letterati, «gens de lettre», o più semplicemente scrittori, e nelle società dominate da un forte potere religioso, sacerdoti, chierici (e non a caso così li ha chiamati Benda). Gli intellettuali, pur con nomi diversi, sono sempre esistiti, perché è sempre esistito in ogni società accanto al potere economico e al potere politico il potere ideologico, che si esercita non sui corpi come il potere politico, non mai disgiunto dal potere militare, non sul possesso di beni materiali, di cui si dispone per vivere e sopravvivere, come il potere economico, ma sulle menti attraverso la produzione e la trasmissione di idee, di simboli, di visioni del mondo, di insegnamenti pratici, mediante l'uso della parola (il potere ideologico è strettamente dipendente dalla natura dell'uomo come animale parlante). Ogni società ha i suoi detentori del potere ideologico, la cui funzione cambia di società in società, di epoca in epoca, mutevoli essendo i rapporti, ora di contrapposizione ora di alleanza, rispetto agli altri poteri. Vi sono società in cui il potere ideologico è monopolio di una casta, e altre in cui i centri d'irradiazione del potere ideologico sono molti, anche in concorrenza tra loro. Come del resto accade per gli altri due poteri. Ci sono società monocratiche e società policratiche. Nelle democrazie moderne, che sono società pluralistiche, il potere ideologico è frammentato, si esercita nelle più diverse direzioni, anche in forte contrasto fra loro. E questa è un'altra ragione per cui ogni giudizio globale sugli intellettuali è sempre inadeguato, fuorviante, oltre che l jgettivamente falso. In una società pluralistica, la scomparsa degli intellettuali, di cui si favoleggia, è improbabile: spento un canale attraversò cui passava un flusso di potere ideologico, se ne apre subito un altro. Del resto, anche in una società monocratica, com'è stata l'Unione Sovietica, pur nel potere ideologico, non è mai venuta meno la vena del dissenso attraverso la costituzione di reti di comunicazione non ufficiali, anzi clandestine, che hanno avuto una loro grande efficacia, se pure in una cerchia ristretta. Norberto Bobbio Julien Benda, autore del celebre pamphlet sul «Tradimento dei chierici» Norberto Bobbio e un'illustrazione sul caso Dreyfus: fu la prima volta che si parlò di «intellettuali» nella Francia dell'Ottocento

Persone citate: Benda, Dreyfus, Julien Benda, Norberto Bobbio

Luoghi citati: Francia, Italia, Unione Sovietica