La MORTE della MODA

«Pacifisti in tuta mimetica, ricchi travestiti da poveri e bancari in T-shirt» Enzensberger: il trionfo del brutto nell'era della spersonalizzazione SMORTE della MODA mjl 0N senza piacere ricor|m do la dittatura della moIK da. Con attenta curiosità 1 si studiavano allora, dal A_U parrucchiere o al caffè, le riviste del settore, si accoglievano rispettosamente le dichiarazioni dei «creatori» o dei «papi» parigini e, alla dovuta distanza, le si seguivano puntualmente: vita segnata o morbida, risvolti sì risvolti no, e poi, ogni volta, «la linea nuova». Nomi leggendari, da tempo dimenticati come Poiret, Balenciaga o Schiapparelli passavano di bocca in bocca. Nei vecchi film si può avvertire ancora qua e là un lieve fremito di quelle lontane emozioni. Oppure bisogna entrare in un museo per ammirare, non senza commozione, gli stivaletti abbotto-, nati, le complicate sottovesti, i cappelli e i guanti, bizzarre invenzioni che, tumulate nelle loro vetrine, hanno incarnato qualcosa come uno stile, un anelito o quanto meno il capriccio di una stagione. Nel susseguirsi di quelle fugaci apparizioni c'era almeno una certezza: ciò che'la' moda concedeva alle sue vittime volontarie era destinato a sparire in fretta. Oggetti di un desiderio ardente ed eterno per tutta una stagione, le creazioni di moda avevano già due anni dopo un aspetto obsoleto. Anche solo per motivi commerciali il capo stravagante non era condannato a durare. Il fascino della moda stava tutto, come scrisse allora Georg Simmel, «nella sua rapida e intrinseca caducità». Di questa tranquillizzante prospettiva si è oggi persa ogni traccia. Ciò che oggi passa per moda s'attacca, viscoso come gomma da masticare, a un pubblico rassegnatosi al fatto che l'erroneamente detto trend è una maledizione, per esorcizzare la quale quasi non basta, l'intero arco di una vita umana. Solo un ottimista inveterato può ancora coltivare la speranza che gli eterni giubbotti in pelle, gli eterni jeans siano prima o poi destinati a sparire. Le regole valgono ormai per tutta la vita. «Prescritte», da quando la moda ha esalato l'ultimo respiro, non sono più le scarpe, bensì certe calzature larghe, tozze, sporche e soprattutto brutte come la notte al neon. In quelli che le portano, il passo pesante è diventato una seconda natura. Mai imparerà a camminare chi è entrato incespicando nella vita, ottuso come un concerto rock. Anche l'eschimo verde-oliva, il camiciotto cachi, la tuta mimetica, equipaggiamento militare di tutti i pacifisti, non servono solo a uniformare l'aspetto esteriore, ma sono diventati anche una necessità psicologica. D'altro canto in un'economia di mercato non può mancare la scelta. E a ciò si è provveduto. Poiché nelle vetrine tutto resta per l'appunto invariato, alla fantasia - nell'ambito di un repertorio fisso e immutabile non vengono posti limiti. Per fortuna lo sconveniente si lascia facilmente combinare con il suo simile. Strano risulta quindi lo spettacolo che si offre a chi gira oggi per le strade in Germania, Scandinavia o Stati Uniti, ma anche in altre parti del mondo, per non parlare dei Paesi dell'ormai scongelato blocco orientale. Il passante qualunque si è travestito da pescatore d'alto mare, paracadutista, clown, primatista sportivo, guerrigliero urbano, pezzente, pagliaccio, ruffiano o bombardiere, senza differenza di sesso, di classe sociale e di professione. Tutta questa mascherata sembra ispirarsi ai seguenti propositi: 1. Il corpo deve avere un aspetto il più possibile amorfo, di un gigantesco salame, di un pallone gonfiato o di un sacco di patate. E il volume voluto sembra davvero gonfiato, laddove resta incerto se il ripieno consista in aria o in carne agli estrogeni. 2. Ciò che si è, dev'essere smentito senza mezzi termini. L'impiegato delle imposte preferisce sembrare uno scassinatore di slot-machines e la liceale all'esame di maturità un rambo, mentre l'analfabeta indossa in bella vista un T-shirt, sulla quale si legge: University of South California. Figli di miliardari si fanno passare per senza-tetto disoccupati, e fior di sgobboni vanno in giro in una tenuta che li annuncia consegnati senza difese a un'eterna libertà. 3. In quanto acquirenti, i consumatori dei giustamente detti stracci non subiscono più l'assalto della pubblicità, ma si sono essi stessi posti al suo servizio. E' come imbattersi in colonne ambulanti di manifesti pubblicitari. Non c'è praticamente più nessuno che non sia infestato da etichette e slogan destinati a reclamizzare qualcosa, dal musicista rock a una marca di sigarette, a una visione del mondo. 4. Di particolare favore godono i colori da asilo infantile. Com'è noto, l'essere umano raggiunge più o meno all'età di cinque anni l'acme della completa narcosi estetica. A questo ideale, ai colori che abbagliano, alle tinte-confetto, alle scelte cromatiche che urtano orribilmente la vista, gli acquirenti di abiti confezionati si mantengono oggi fedeli fino all'età della pensione: infantile è bello! In questo circo senza speranza l'impiegato di banca, che veste come un impiegato di banca, dà addirittura l'impressione di essere lui quello che si è travestito. Con il suo abito decoroso, la camicia bianca, la cravatta a righe mi sembra il campione degli outsider. La sua protesta dignitosa è rinfrancante. Chiunque resti fedele a un guardaroba adeguato al suo ruolo nella vita, sia egli un cameriere o un ministro, un fornaio o un generale, costui suscita nello squallido ballo in maschera delle nostre zone pedonali la benefica impressione di un essere ancora perfettamente in sé. Il vero ribelle, relativamente all'aspetto esteriore, lo è diventato il piccolo-borghese mille volte bistrattato come conformista. Riguardo ai presupposti ideologici del nostro teatro ambulante dell'abbigliamento, non occorre cercare a lungo. Sono sotto gli occhi di tutti. Per un verso gli straccioni onnipresenti costituiscono un prodotto della putrefazione della cosiddetta cultura giovanile che, com'è noto, ha ormai raggiunto un'età veneranda e viene difesa con la massima fedeltà da chitarristi sessantenni. Quel che iniziò un tempo come choc e provocazione, si è ormai talmente diffuso che ne è rimasta soltanto una pellicola resistente e multicolore. Un altro momento di questa estetica della quotidianità è rappresentato dalla protesta politica. Cultura proletaria e militanza sono sparite: ne sono rimasti solo gli emblemi che, in un'ampia scelta di prezzi, intasano le vetrine. Anche il femminismo ha versato il suo obolo e ha prodotto, quale irraggiungibile, ma spes¬ so scimmiottato tipo ideale, la «scarpona» che fa di tutto per nascondere i propri eventuali pregi sotto uno strato protettivo di trascuratezza. I sommi trionfi questa fiera del brutto li ha ottenuti negli Stati Uniti dove designer assai ben pagati profondono tutte le loro energie per produrre va- rianti esclusive dello stesso immutabile sozzura-look. Non bisogna infine sottovalutare la parte che i creatori di cultura hanno avuto nella morte della moda. Anche in arte da molto tempo, per non dire da tempo immemorabile, regna il culto della spazzatura. Quale fossile-guida, l'archeologo potrebbe servirsi un giorno dei celebri resti alimentari che hanno dato luogo a veri immondezzai. Anche la vivacità cromatica dei windsurfer, dei corridori di motocross, dei cultori di deltaplano e dei campioni di sci che caracollano nei paradisi commerciali, si può senza difficoltà ricondurre al pop and op, all'hard edge painting, ai nuovi primitivi, alla neo-geo e ad altre forme dell'arte dei galleristi. D'altronde i prodotti dello zelo artistico da qualche tempo non vengono più chiamati altrimenti che «lavori» o «impianti». Ciò evidentemente dipende dal fatto che i loro produttori lavorano sempre meno e che molto di quanto offre il mercato ricorda gli scarti dei lattonieri. L'orrore, come si vede, zampilla da molte fonti. Ma non sarebbe onesto tacere il contributo apportatovi dal teatro. In tutti i Paesi di lingua tedesca i registi, da trent'anni a questa parte, si sono segnalati per il loro lavoro pionieristico. Da allora, sera dopo sera, stupiscono il pubblico delle prime portando sulla scena un Amleto rocchettaro heavy-metal, un Oreste avvolto in un mantello della Gestapo, una Nora ragazza-copertina e un Tasso tifoso di football. Generose sovvenzioni permettono ai nostri scenografi di costruire per 150.000 marchi al pezzo astronavi colorate, macelli rivestiti di marmo e paesaggi da fumetto coperti di rifiuti, nei quali l'intera compagnia può togliersi di dosso i suoi costumi carnevaleschi e liberarsi urlando del proprio sangue e di altri liquidi organici. A tal punto il teatro ha contribuito allo sviluppo di quel gusto che dà immancabilmente il tono a boutiques chiamate Fun, Riot o Ecstasy. Ma c'è chi in questo eterno festival, nonostante l'abitudine di anni, sente ancora il bisogno di strofinarsi gli occhi doloranti: a costui il poeta soltanto potrà offrire conforto. Robert Gernhard ha trovato la parola salvifica dopo aver attraversato Metzingen: Lode a te, brutto, A te così fidato. Il bello svanisce, scompare, sfugge - Quasi fa male al solo vederlo... Il bello ci ispira dolore. Il brutto ci allieta in eterno. Hans Magnus Enzensberger «Il conformista di un tempo è il vero ribelle» «Pacifisti in tuta mimetica, ricchi travestiti da poveri e bancari in T-shirt» LA STAMPA la spersonalizzazione RTE DA Un modello di Moschino dalla mostra che si è aperta a Milano. Nella foto sotto: Hans Magnus Enzensberger «Pamimtrae bariantmutaNolutarcultute demolttempcultofossitrebbcelebhannmondcromcorritori dni di radisza diand ai nue adgalledellotempmati«impdipedutte chmerclattoL'opillarebbto atuttiregispartloro lorail pudo schetste aGestpertfootpermdi coal pmacpaesrifiupagnsuoiberasangci. Atribgustil toFun cotorini radzaanai e gadetemm«imdipdue mlt Un modello di Moschino dalla mostra che si è aperta a Milano. Nella foto sotto: Hans Magnus Enzensberger

Persone citate: Balenciaga, Georg Simmel, Hans Magnus Enzensberger, Poiret, Riot, Robert Gernhard, Schiapparelli

Luoghi citati: California, Germania, Milano, Stati Uniti