E' morto Barilla l'ultimo patriarca di Pierangelo Sapegno

13 Aveva 80 anni, se n'è andato nel sonno. Domattina i funerali nella cattedrale di Parma ¥ morto Boriila, l'ultimo patriarca Artigiano, costruì un impero PARMA. Se n'è andato nel sonno, «senza soffrire» ha assicurato il medico di famiglia. Pietro Barilla, 80 anni, è morto intorno all'ima della notte tra mercoledì e giovedì nella sua casa di Parma, probabilmente per arresto cardiaco. Da tempo la sua salute era a rischio proprio per problemi di cuore, due volte era stato colpito da infarto. Alla moglie dell'industriale, Marilena De Luca, 57 anni, e ai figli Guido, Luca, Paolo e Emanuela - la più giovane, 25 anni - ieri mattina il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi ha fatto giungere un messaggio in cui esprime «dolore» per la scomparsa di Pietro Barilla, «esemplare e popolare figura di industriale, coraggiosa espressione della migliore imprenditoria italiana». Partecipazione e cordoglio sono arrivati alla fa¬ miglia Barilla anche da parte del sindaco di Parma, Stefano Lavagetto, che ha ricordato commosso «l'uomo di grande classe personale, attento ai problemi di questa città, che amava di amore vero, tanto da contribuire al suo sviluppo su tutti i fronti, non soltanto su quello industriale. Con la sua morte, Parma perde molto». Ieri mattina hanno fatto visita alla famiglia Barilla il vescovo Benito Cocchi e gli amici più stretti, tra i quali padre Callisto, un religioso cui Pietro Barilla era particolamente legato. I familiari hanno reso noto che non sarà allestita camera ardente. I funerali domani mattina, sabato, alle 10,30 nella cattedrale di Parma. La cerimonia sarà officiata da monsignor Cocchi e per volontà dei familiari sarà la più discreta e semplice possibile. [r. cri.] IN una notte tiepida di settembre se n'è andato Pietro Barilla. Nel sonno, hanno detto i medici. Se n'è andato, nei primi minuti del 16 settembre, e forse non ha fatto neanche in tempo a capirlo. Se ne sono accorti solo al mattino, quando il domestico è entrato in camera per svegliarlo come tutte le mattine: «Cavaliere, sono le sette». La Gazzetta di Parma era già in edicola. Piccole notizie nelle pagine di cronaca: il papà di Nicola Berti, calciatore delL'Inter, accusato da una donna («ho avuto un figlio da lui»), i funerali di Raffaele, bimbo di 9 anni stroncato da un infarto mentre giocava al pallone. Oggi, tutta la prima pagina non parlerà d'altro. Parma ha perso un pezzo della sua vita, il nome più famoso della città», come ha scritto il direttore della Gazzetta, Bruno Rossi. Qualcosa di più, anche. «Io fuori dalla verità sono perduto», diceva ai suoi amici, il cavaliere. Oggi, a Parma, non piange solo Graziano Guareschi, 50 anni, operaio della Barilla, che racconta del padrone come si fa di un amico. Se n'è andato, ierLnotte a Parma, l'ultimo patriarca, un padrone magari paternalista, ma prigiòniero_del. suo'lév'óró' còme di una bella donna. Lo capì bene, Pietro Barilla, quando fu costretto a vendere la sua azienda. Nel 1970. Cominciavano gli anni di piombo. E lui restò 9 anni, ricco, ma senza lavoro. «Un inferno. Gli anni peggiori della mia vita», raccontò a Bruno Rossi. «Sentivo di aver tradito la generazione che con fatica infinita aveva creato quest'azienda. Aver tradito mio padre. Poi, il senso del nulla». E ogni tanto, parlando con i suoi dipendenti, ricordava ancora quel periodo parlandone come si parla di una malattia: «Invecchiavo da un giorno all'altro, ed era un po' come morire. Uno può andarsene a Miami e mangiare tutti i giorni l'aragosta. Ma poi cosa fa? Finisce che dopo 20 giorni l'aragosta la tira dietro ai camerieri». Quando rientrò, guardò i suoi collaboratori quasi con timore. «Sentivo una certa diffidenza», confidò a Giancarlo Artoni, il suo avvocato. Scioperi a singhiozzo, poca produzione, scarti infiniti. Ma l'azienda non perdeva. Cominciavano gli Anni Ottanta, finiva il terrorismo, tornava il boom. «Grazie a tutti per essere di nuovo insieme», disse Pietro Barilla. Il padrone era tornato a casa. E se c'è una cosa che identificava l'uomo questa è proprio la casa. La casa e quello che significa, perché la famiglia non è mica una trovata pubblicitaria del placido Gavino Sanna, guru dell'immagine Barilla nel mon¬ do, incantatore di mamme e di nonne casalinghe. La casa di Parma, con tutta la famiglia attorno, la moglie Marilena, i figli Guido, Luca, Paolo, Emanuela. La casa di Cortina per le vacanze, dove a Natale radunava tutti quelli della famiglia e lui era capace di travestirsi con il vestito rosso e la barba bianca da' Santa Klaus. La casa come immagine pubblicitaria per lanciare il Mulino Bianco («Una scelta avvenuta negli anni», spiegò lui una volta. «Noi maturammo l'idea della famiglia, Gavino Sanna ci ha messo il gusto, lo stile, il garbo»). E la fabbrica casa, persino. I suoi uffici, a Pedrignano, assomigliano. a una galleria d'arte, l'hanno scritto in tanti. Alle pareti ci sono i De Chirico, i Morandi, i Morlotti, i Maccari. Il suo studio ha un colore azzurrino. Nei corridoi, c'è un'aria cordiale, un po' retorica forse, ma simpatica. Grande collezionista, finanziava le arti e la letteratura. Riviste e grandi mostre. In questi giorni, nella Villa Magnani, è esposta la sua collezione. «Un uomo generoso», dice Graziano Guareschi. Eppure, a suo figlio Paolo che correva in macchina, soldi ne passava pochi. E poco importava se Paolo fosse bravo o no al volante. Qualche anno fa vinse anche una 24 ore di Le Mans, ma.le cose non cambiarono molto. Il cavaliere storceva il naso. I suoi figli, li doveva veder bene solo in fabbrica, a fare il lavoro che faceva lui, forse a rifare pure la vita che aveva fatto lui. Come da tradizione. Suo nonno era pastaio, suo padre anche. Adesso i suoi giovanotti, che hanno magari studiato filosofìa, girano per i trenta stabilimenti sparsi per l'Italia. E il cavaliere era contento così. «Quando sono nato la mia famiglia faceva pane e pasta da trent'anni. Stavamo al secondo piano, una casa di strada Vittorio Emanuele. Ero il secondo di tre figli. Ricordo una casa indaffarata. Un mondo di miseria. Un lavoro duro». In quel 1913, stava per arrivare la Grande Guerra. A Parma, girava la prima utilitaria, si chiamava Zero, era della Fiat. Venne al mondo, Pietro Barilla, il 16 aprile di quell'anno. Prese la fabbrica a 34 anni, nel 1947. Miss Italia è la commessa mila- nese, Lucia Bosé. In Sicilia, a Portella delle Ginestre, la banda di Salvatore Giuliano spara sui contadini. Finisce l'epoca della tessera annonaria, finisce l'emergenza. Suo padre morì, e la fabbrica finì sulle spalle dei figli, Pietro e Gianni. «Peccato che mio padre non abbia potuto vedere com'è cresciuta, la fabbrica». E' cresciuta, piano piano, in Italia e nel mondo. A immagine del suo patriarca, casa e successo. L'immagine del Mulino Bianco, ma anche della Roma calcio, che da 13 anni porta sulla maglia il marchio Barilla. Il cavalier Pietro non era un tifoso di calcio, ma era grande amico di Dino Viola, amava la capitale, e da quella squadra ha ricevuto anche soddisfazioni. La Roma vinse lo scudetto nell'83, e Paulo Roberto Falcao finì sui manifesti con un piatto di pastasciutta in mano e la scritta: «Obrigado Barilla», grazie Barilla. Certo, di tempo ne è passato tanto in 80 anni. E il cavalier Pietro ci ha camminato insieme, sempre. Da quando «c'era il forno con la legna e l'acqua bisognava andarla a prendere nel cortile di una chiesa, al di là della strada. Alle sei del mattino, mio padre mi diceva: vado giù nella fabbrica. E dopo i lavori di casa andava giù anche mia madre». Ai giorni nostri. «Non abbiamo mai fatto un'ora di cassa integrazione», si vantava spesso Pietra Barilla. E' quello che ripetevano ieri i suoi operai, davanti ai cancelli, per ricordarlo. Gli avrebbe fatto piacere. Pierangelo Sapegno «Signore della pasta» e grande appassionato d'arte moderna Per i suoi spot scelse il mito della famiglia Pietro Barilla è morto per arresto cardiaco nel sonno la notte scorsa Da sinistra Luca Barilla, Lombardini e il cavalier Pietro