Quell,«amico americano» nato per caso trent'anni fa di Furio Colombo

Quell,«amico americano» nato per caso trenf anni fa Quell,«amico americano» nato per caso trenf anni fa GIORNALISMO E TV USA C#E' ™ personaggio mitico nella vita della televisione americana, nel rapporto fra il piccolo schermo e il pubblico. Il suo nome leggendario - che designa la posizione più ambita nel mondo del giornalismo - è «anchor man». Per aver un'idea del livello della leggenda, basti ricordare il nome di Walter Cronkite. Oggi si dice «anchor» per rispetto alla correttezza politica che dai campus universitari si è estesa alle redazioni. «Anchor» infatti, è la persona che guida il telegiornale. Può essere un uomo o una donna (benché, a differenza dell'Europa, in Usa dominino ancora gli «anchor» uomini) ed è bene - si ritiene nel galateo giornalistico americano - che il titolo non rifletta il genere maschile o femminile nella persona guida. «Guida» è la parola che meglio definisce la funzione dell'anchor. Quando è nato - primo nel mondo - il telegiornale americano, si è avuta subito l'impressione di una mongolfiera che si alzava nell'aria, di un nuovo tipo di comunicazione che non avrebbe più avuto il peso che aveva prima il fascicolo di un giornale. La preoccupazione è stata: come dare consistenza a questo nuovo modo di comunicare noti- zie, come «ancorare» un telegiornale di immagini e di parole destinate a disperdersi mentre uno le ascolta, affinché possano concorrere con la forza, credibilità e stabilità del giornalismo scritto? Mi sono rivisto, al «Museo delle Immagini» e a quello del «Broadcasting» (due diverse fonti del passato televisivo americano) l'evoluzione del tg in Usa. Comincia, come si può immaginare, con un signore rigido e burocratico che legge notizie che qualcun altro gli ha scritto. Chi è appassionato di cinema ricorderà i film di fantascienza in cui qualcuno, in doppiopetto grigio e con occhiali, legge da fogli che gli vengono passati la notizia della invasione degli «alieni» sulla Terra. Rapidamente quel personaggio si evolve. Occorrono meno di dieci anni per arrivare a quel famoso giorno del 1965 in cui Walter Cronkite, in pieno telegiornale si toghe gli occhiali, mette da parte il mucchietto di carte che sono le notizie del giorno, guarda gli spettatori e dice: «E' venuto il momento di ripensare il nostro coinvolgimento nella guerra del Vietnam». Ecco, quello è l'istante in cui l'America scopre l'«anchor». Non è solo qualcuno che legge il telegiornale. E' qualcuno che lo guida, lo firma, e investe in quello che dice l'immagine e la testa, la responsabilità giornalistica e quella umana. E' una persona intera che si assume la sua responsabilità di fronte all'immenso pubblico del notiziario tv. Una precisazione importante. Gli anchor che sto descrivendo (e che adesso hanno il nome di Peter Jennings, di Tom Brokaw, di Dan Rather, di Dan Sawyer, di Barbara Walters, di Connie Chang, ma le donne sono ancora «sostitute» o «coadiutrici» nell'importantissimo compito) non sono protagonisti in proprio, non sono commentatori, non sono lì a dire «la loro opinione». Valgono le regole del più stretto legame oggettivo con gli eventi, della più chiara, più dimostrata rappresentazione di un evento (con la scheda per sapere i precedenti, il materiale di repertorio per fare dei confronti, le testimonianze dal vivo per offrire le prove) secondo il dettato del miglior giornalismo americano. Ma l'«anchor» non è un postino. E' un responsabile, che scrive il suo testo, lo presenta, lo firma. Ecco perché il prestigio di una rete tv americana dipende non tanto dai suoi sceneggiati quanto dal suo telegiornale. La gente si fida e si affida a un narratore responsabile che investe nella presentazione delle notizie valore professionale, prestigio e credibilità. Il suo non è un monologo. Nei tg americani non esistono né carrellate filmate senza autore in campo, né generiche sequenze in cui si sventaglia sulla realtà senza un punto di vista (o con un punto di vista implicito, come accade da noi, omaggi a questo o a quel corpo dello Stato, con protagonisti in posa come in un video di famiglia) né servizi come «il ritorno a scuola», che potrebbero essere uguali da un anno all'altro. Se si parla di qualcosa, ci deve essere una ragione. Quella ragione è bene che sia presa dalla realtà e non dalla decisione personale di chi compone il telegiornale. Se c'è una ragione nella realtà, ci saranno protagonisti e testimoni che vanno visti e sentiti. Se parla un politico non è mai per offrirgli un balconcino da cui compiacersi e spiegare le cose belle che sta combinando. Ma solo per una domanda e una risposta su un fatto specifico, a cui il giornalista fa seguire commento e giudizio, basato sui materiali raccolti. Ma soprattutto c'è sempre in campo l'altro grande protagonista del tg americano, l'inviato o il corrispondente. E' un professionista che riproduce, nel riquadro più limitato del suo campo, esattamente la stessa responsabilità del suo «anchor». E' lui che narra la notizia, con le parole sue, non con quelle di altri (la tv americana si rende conto che le virgolette non si vedono nell'etere), con testimoni ed evidenze sue, sotto la sua responsabilità, persino se parla accanto al Presidente degli Stati Uniti. Ecco perché gli americani tendono a credere ai loro telegiornali e non li vedono come un'appendi¬ ce di qualche altro potere. Fino a prova contraria si fidano della re sponsabilità di quel professionista detto «giornalista» come di un medico, di un giudice, di un notaio. Salvo che il suo linguaggio è semplice, e si vede sempre la sua preoccupazione di ambientare quello che narra, non nel mondo specialistico dei politici o dei tecnici di cui si parla, ma nel nostro. L'«anchor» dunque è qualcuno che «porta a terra», cioè vicino allo spettatore utente il discorso politico, quello scientifico, quello strategico, quello economico, utilizzando i corrispondenti e il loro linguaggio, gli inviati e le loro prove, i testimoni e le fonti alternative, in modo che tutto sia chiaro e risulti di interesse comune. E' un sistema perfetto? Certo no. Concorrenza, ricerca di simpatia presso il pubblico, budget pubblicitari e persino l'ambientazione in certi periodi dell'anno (più sereni a Natale o nei giorni del «Thanksgiving») premono sui telegiornali. Inserzionisti e azioni delle grandi reti vorrebbero premere ancor di più. La resistenza è nella responsabilità personale del professionista delle notizie. Con molte imperfezioni e molti difetti, finora questo sistema di narrazione quotidiana della notizia sottratta al tran tran burocratico di un lettore senza firma ha funzionato. Furio Colombo Uno che non dà lezioni ma sa parlare alla gente Walter Cronkite creò nel '65 la figura dell'«anchorman»

Persone citate: Barbara Walters, Connie Chang, Dan Rather, Peter Jennings, Sawyer, Tom Brokaw, Walter Cronkite

Luoghi citati: America, Europa, Stati Uniti, Usa, Vietnam