Nascosti a Lugano i soldi di Curtò

Il giudice non buttò nella spazzatura i 450 milioni della mazzetta Enimont Il giudice non buttò nella spazzatura i 450 milioni della mazzetta Enimont Nascosti a Lugano i soldi di Curio Nuovi arresti in arrivo MILANO. Altro che bidone della spazzatura. Sono ancora tutti in Svizzera i soldi del giudice Diego Curtò, mazzetta da 400 mila franchi (450 milioni) sull'affare Enimont. Nelle mani del giudice bresciano Guglielmo Ascione ci sono già le prove documentali sull'intensa attività bancaria del presidente vicario del tribunale di Milano in carcere a Verziano dal 3 settembre. Carte bollenti, che aprono nuovi orizzonti sull'attività (quella illecita) del magistrato milanese: più di un conto corrente, diverse banche elvetiche, svariati movimenti di denaro. Altri soldi oltre a quei 400 mila franchi? C'è solo Enimont o Curtò ha preso (mazzette) anche per altro? Tutte domande che aspettano ancora una risposta. Sì, è stata una caccia al tesoro riuscita la missione in Svizzera del giudice Ascione. Prima l'interrogatorio come testimone di Marco Gambazzi, il titolare della Fitam, la società panamense che «gira» i soldi di Curtò, poi l'incontro con il giudice del Canton Ticino Carla Del Ponte. E dal magistrato elvetico che cura tutte le rogatorie internazionali antitangenti sono andati ieri anche Antonio Di Pietro e Francesco Greco, che si occupano più direttamente delle mazzette miliardarie pagate ai politici dopo il divorzio di Enimont. E anche su questo fronte ci sarebbero novità importanti. Forse già delle richieste di arresto. Ma sono le rivelazioni su Curtò, il giudice scrittore coi conti in Svizzera a tenere banco. Fino ad oggi Curtò ha ammesso un solo conto, cifrato, nome in codice «Whisky». Quello dove nel '91 finiscono i 320 milioni «regalati» da Vincenzo Palladino, il custode giudiziario delle azioni Enimont. Soldi poi cambiati in franchi francesi, infilati nella borsetta di sua moglie Antonina Di Pietro, poi gettati nella spazzatura. Una debolezza, confessa lui nei due interrogatori. Bugia doppia. «L'esito di questa rogatoria è stato certamente rilevante e molto positivo», dice Guglielmo Ascione di ritorno dalla Svizzera. Non dice altro, ma è chiaro che la sua visita a Lugano ha fruttato non pochi sviluppi alla sua complessa indagine. Adesso non resta che aspettare di «aprire» quei conti, con la collaborazione delle autorità elvetiche, quelle bancarie in primo luogo. Solo allora si saprà quante sono state le «debolezze» di Curtò. I nuovi scenari sul presidente vicario del tribunale di Milano li dà Marco Gambazzi della Fitam. E' lui che fornisce al magistrato bresciano gli estremi e la movimentazione del conto «Whisky». Poi aggiunge altri elementi, conti, maneggi, soldi. Uno sfracello per Diego Curtò, cella singola a Verziano, «Il milione» lettura preferita. Un disastro per Antonina Di Pietro, la consorte che rischia di finire ancora di più nei guai anche se ha quel cognome. Ha già ricevuto un avviso di garanzia, e non è ancora stata interrogata. Si vedrà. Non finiscono qui le confessioni del titolare della società panamense. Ne ha viste passare attraverso la sua Fitam dal conto in Svizzera buono per più usi. Ha visto transitare i soldi di Vincenzo Palladino, custode giudiziario delle azioni Enimont, 22 giorni di lavoro, 7 miliardi intascati. Due da Eni e 5, in nero, da Montedison. E non è finita. Sul conto «FV Overseeas K5» di Palladino salta fuori un milione e mezzo di dollari, mai confessati dal legale. Da dove arrivano quei 2 miliardi e 400 milioni al cambio attuale? Altri soldi in nero per quei 22 giorni di lavoro? Altre operazioni? Tutte lecite?. Giorno dopo giorno gli sviluppi giudiziari dell'inchiesta Enimont riservano nuove sorprese. Vanno in via Luganello 3, quartiere residenziale Viganello, Di Pietro, Greco e Carla Del Ponte. Lì c'è il quartier generale del gruppo Ferruzzi in terra elvetica. Ma ci sono anche gli uffici della Montedison International Holding Company, la consociata svizzera di Foro Bonaparte. E' la società al centro di tutte le operazioni legate alle «provviste di danaro» raccolte per pagare le mazzette. 150 miliardi in tutto, finiti a politici di primissimo piano. E negli uffici della holding ci sono le casse sigillate con tutta la documentazione sequestrata. Carte importanti, con fatture miliardarie, la traccia indelebile dei maneggiamenti. C'è tempo anche per un interrogatorio, quello di Emilio Binda, ex direttore generale della consociata. Giornata di lavoro intenso per i magistrati in trasferta. Seguiti passo passo dalle telecamere anche davanti al bar «Buon pomeriggio», di fronte al tribunale di Lugano, unica pausa della giornata. E qualche curioso non dimentica di salutare i giudici, Di Pietro in testa. Altra inchiesta, altro detenuto. I legali dell'avvocato Giuseppe Sbisà, arrestato martedì per il suo ruolo nell'affare che lega la Sai di Salvatore Ligresti all'Eni, hanno chiesto che il loro assistito sia scarcerato. «Sbisà non ha commesso alcun ilecito, ha fatto semplicemente il suo lavoro», dicono i suoi legali. Fabio Potetti I