«Prigioniero dei curdi? E' stato bello» di Maria Corbi

Angelo Palego è tornato in Italia, ad attenderlo anche Ali Sapan Angelo Palego è tornato in Italia, ad attenderlo anche Ali Sapan «Prigioniero dei curdi? P stato bello» «Ma ho perso le prove dell'Arca» ROMA. Una bella avventura, quasi una vacanza. Angelo Palego, per 27 giorni in mano ai curdi, ricorda così la sua prigionia sul monte Ararat. Un'avventura terminata ieri alle tre del pomeriggio quando il Falcon inviato dal governo italiano è atterrato all'areoporto di Ciampino. Degli altri compagni di viaggio di Palego, solo Anna D'Andrea e il marito, l'elvetico Nico Pianta, hanno preso la strada del ritorno su un volo diretto in Svizzera. Gli altri, uno svizzero, due tedeschi e un neozelandese sono ancora in Turchia. Sull'aereo che ha portato l'ingegnere di Novara a Roma c'erano tutti i protagonisti della difficile trattativa con i curdi per la liberazione degli ostaggi. La delegazione dei cinque parlamentari italiani; l'uomo della Farnesina, il console Giuseppe Scognamiglio; don Matteo Zuppi della comunità di Sant'Egidio. Tutti rivendicano la loro parte di inerito per la conclusione della vicenda. «Difficile, anzi impossibile dire chi ha giocato un ruolo più importante di un altro - spiega don Matteo -: l'importante è che sia finita bene». Ma Ali Sapan, il portavoce degli indipendentisti curdi del Pkk, arrestato e poi rilasciato dalle autorità italiane, è di tutt'altro avviso. La soluzione si sarebbe sbloccata grazie alla presenza in Turchia dei cinque parlamentari. «Il loro contributo alla liberazione è stato di primo grado», ha detto Ali Sapan che attendeva all'aeroporto con sette mazzi di lilium, due per gli ostaggi e cinque per i deputati. «E1 necessario sapere - ha aggiunto - che sia la delegazione religiosa sia quella ufficiale italiana non hanno alcun collegamento con l'avvenuta liberazione». Chiara Ingrao, del pds, a nome della delegazione parlamentare ha avuto parole dure nei confronti della Farnesina «colpevole» di non essere intervenuta con una protesta ufficiale «quando i turchi hanno intensificato i combattimenti proprio nella zona in cui doveva avvenire il rilascio». «La Farnesina conclude il comunicato letto dalla Ingrao - intende chiaramente i vincoli di alleanza come la rinuncia a difendere la democrazia e i diritti umani ovunque essi vengano minacciati». E Palego ha confermato che, nonostante la liberazione fosse stata annunciata venerdì, l'intensificarsi dei combattimenti nella zona non ha reso possibile l'inizio della discesa dall'Ararat verso valle prima di lunedì pomeriggio. Una lunga marcia, dodici ore, nel buio della notte fino al paese di Dogubayazit, dove il gruppo è arrivato alle quattro del mattino di martedì. Tutti i particolari della prigionia Palego li ha raccontati al pm Franco Ionta che era ad attenderlo a Ciampino. Nella cittadina ai piedi del monte Ararat non sono però arrivati i due turisti tedeschi che i guerriglieri non hanno voluto liberare per l'atteggiamento in- transigente nei loro confronti del governo di Bonn. Ma su questo si è aperto un giallo. Palego ha raccontato che in un momento di distrazione dei carcerieri i due giovani sono riusciti a far perdere le loro tracce, arrivando nella tarda mattinata a Dogubayazit. Sapan ha smentito questa versione dicendo che i tedeschi non sono fuggiti, ma «sono stati liberati per ragioni umanitarie». Angelo Palego ha raccontato con tono eccitato la sua avventura insieme ai guerriglieri curdi. Un prolungamento della vacanza più che una prigionia, almeno a sentir lui. Gli ostaggi hanno persino insegnato ai loro carcerieri a giocare a bocce con dei sassi rotondi. L'ingegnere, poi, durante la sua permanenza all'«Hotel curd», come ha soprannominato il campo del Pkk, è anche riuscito a fare due spedizioni archeologiche sempre sulle tracce dell'Arca di Noè. Una ricerca che lo impegna dal 1984. «Ho fatto nove spedizioni sul monte Ararat. Sono testimone di Geova e credo in quello che dice la Bibbia: l'arca è là. Quattro anni fa ho avuto la gioia di vederla e di camminarci sopra, ma non avevo prove fotografiche che mostrassero al mondo la mia scoperta». In questa spedizione Palego ha rivisto l'Arca, ma anche questa volta potrebbero mancare le prove del suo biblico ritrovamento. «Appena arrivati a Dogubayazit - ha spiegato l'ingegnere - siamo stati presi in consegna dalla polizia turca che ci ha interrogato per ore e ci ha requisito le pellicole fotografiche, le lettere e anche i nostri diari». Una versione che spiega le voci che martedì parlavano di un arresto da parte delle autorità turche degli ostaggi accusati di collaborazionismo. Nessun arresto dunque ma un lungo interrogatorio in cui a Palego è stato anche chiesto se il rapimento non fosse stato concordato con le milizie del Pkk. «Assolutamente no», è stata la risposta dell'ingegnere, che però ha ribadito come questo fuori programma tra i guerriglieri per lui sia stato piacevole. E comunque «un modo per far parlare il mondo dell'Arca di Noè». Adesso per un po' l'intrepido ingegnere di Novara rinuncerà a tornare sull'amata montagna: «Devo stare vicino a mia moglie che è molto malata». Maria Corbi Il portavoce del Pkk: è stata determinante la presenza in Turchia dei parlamentari Le delegazioni religiose contano poco L'ingegner Palego e Anna D'Andrea. A fianco, gli ostaggi fotografati in Turchia subito dopo il loro rilascio