Shevardnadze e il padrino di Cesare Martinetti

Il condottiero Ioseliani l'appoggia, lui ritira le dimissioni Il condottiero Ioseliani l'appoggia, lui ritira le dimissioni Shevardnadze e il padrino Un bandito è il suo miglior alleato MOSCA. E' guerra in Georgia. I partigiani del deposto presidente Zviad Gamsakhurdia, dopo aver isolato Poti, il principale porto georgiano sul Mar Nero e conquistato alcune città all'Ovest del Paese, stanno marciando verso il centro della Repubblica. Si trovano ora a 250 chilometri dalla capitale. Nella notte tra martedì e mercoledì nove persone sono rimaste uccise e settanta ferite negli scontri tra i partigiani zviadisti e le truppe governative nei pressi di Lantckhouti. Ai combattimenti partecipa un gruppo di quaranta «mkhedrioni», truppe irregolari comandate da Dzhaba Ioseliani, alleato di Shevardnadze. Il presidente georgiano, che ha ritirato la minaccia di dimissioni dopo aver ottenuto martedì sera dal Parlamento lo stato di emergenza, è partito in serata per Koutassi, dove le truppe governative stanno preparando la controffensiva. Shevardnadze ha lanciato un appello a Gamsakhurdia. MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Alla fine Dzhaba è comparso in tv per comunicare il suo verbo, dissipare gli equivoci, dare quella che a tutti è parsa come una parola d'ordine: «Sono con il presidente Shevardnadze. I miei uomini sono con lui». E così il ladro e il diplomatico hanno ricominciato a pedalare sullo stesso tandem, il Parlamento ha votato lo stato di emergenza che poche ore prima aveva rifiutato e si è autosospeso per due mesi, come voleva il Presidente. Eduard Shevardnadze, l'ex ministro degli Esteri di Gorbaciov, può riprendere a coltivare l'utopia di governare la Georgia, patria di Stalin e di sanguinari condottieri. E ci può riprovare nell'unico modo possibile: accanto a Dzhaba Ioseliani, ladro, rapinatore, romanziere, comandante di quei 4 mila «mkhedrioni» (cavalieri) che con i loro Kalashnikov mettono il diplomatico che ha firmato la fine della guerra fredda nella più scomoda e paradossale delle situazioni. Ioseliani è uno di quelli che nell'ex Urss si chiamano «ladri in legge» e che noi semplice- mente chiameremmo padrino, boss, o, più mafiosamente, uomo di rispetto. La dissoluzione del comunismo ha consegnato a personaggi come lui il governo di una società civile piatta come una tavola rasa. Leggen e viventi di una resistenza al potere sovietico nel nome del crimine; ora rispettabili gerenti della transizione, «ghini di tacco» della privatizzazione. Si dice che Ioseliani si sia guadagnato il titolo organizzando una megatruffa ai magazzini Gum, sulla Piazza Rossa di Mosca. Negli Anni 50, insieme con qualche complice, si impadronì di alcune casse: per due ore ha incamerato soldi distribuendo scontrini fasulli e quando il popolo sovietico se n'è accorto lui era già scomparso con il bottino e il diritto ad entrare nella confrater- nita dei «ladri in legge», sempre pronta a riconoscere coraggio e fantasia. A 16 anni andò in carcere per la prima volta; dopo il secondo arresto fuggì a Leningrado, dove visse sotto falso nome frequentando per 4 anni l'università, facoltà di psicologia. A 29 anni una rapina a mano armata e la condanna a 25 anni di carcere. Ma la pena gli venne ridotta per un appello sottoscritto dagli «artisti del popolo» Sergio Zakariadze e Medea Dzhaparidze. Dal carcere fu inviato in una colonia penale agricola in Georgia. E lì divenne il boss della zona. A 40 anni finì gli studi in una scuola serale, e con l'aiuto del ministro delle Finanze Parnaoz Ananiashvili si iscrisse all'Istituto Teatrale che concluse con una tesi sulle «maschere della commedia del teatro georgiano». Ha insegnato arte a Tbilisi, scritto pièce messe in scena al Teatro Mardzhanishvili, ha capito che non poteva rinunciare alla politica nell'estate dell'89, quando l'Urss cominciava a bollire nelle periferie dell'impero dove la fraternità socialista tra i popoli si rivelava sempre più un altro mito di carta. Nella provincia di Marneuli, georgiani e azerbaigiani avevano ripreso le buone vecchie abitudini tribali sparandosi addosso e organizzando pogrom. Fu così che in quell'agosto Ioseliani riunì una trentina di patrioti nello stadio della Dinamo di Tbilisi, diede loro il nome di «mkhedrioni» e obiettivi sem plici: non dipendere da nessuna forza politica o struttura di Stato, ma difendere gli interessi dei georgiani. Ioseliani aveva pre sto alleato il suo esercito con quello analogo di Tenghiz Kitovani per rovesciare (gennaio 1992) Zviad Gamsakhurdia, il poeta eletto Presidente ma subito diventato dittatore. Ioseliani non poteva permetterlo: «Finché sono vivo, la dittatura non passerà». Insieme a Kitova ni si trovò così in mano il Paese, sentenziando con allegra ironia «Un famoso ladro e uno scono sciuto scultore sono al potere in Georgia». Sono stati loro a richiamare in patria Shevardnadze, che aveva lasciato Gobraciov e il ministero degli Esteri denunciando l'imminente golpe. I destini del ladro e del diplomatico hanno allora incominciato ad intrecciarsi in un paradosso romanzesco. Nel «Paese della limonata» (è il titolo del libro che Ioseliani sta scrivendo) può capitare di tutto. Cesare Martinetti In carcere per rapina e per truffa al Gum Ha 4 mila «cavalieri» I leader georgiano, Shevardnadze

Luoghi citati: Georgia, Leningrado, Mosca, Urss